domenica 30 giugno 2013
sabato 29 giugno 2013
venerdì 28 giugno 2013
giovedì 27 giugno 2013
mercoledì 26 giugno 2013
martedì 25 giugno 2013
lunedì 24 giugno 2013
domenica 23 giugno 2013
"Un caffè macchiato" di Corinne Quadarella
Roma, un sabato mattina di fine giugno, quartiere Flaminio.
Incorniciato da una parte dal Palazzetto dello sport di Vitellozzi e Nervi, dall'altra dal Villaggio olimpico delle Olimpiadi del 1960 (una buona annata) e dal recente "Ponte della Musica" che in prospettiva collega via Guido Reni al più famoso Auditorium di Renzo Piano. Non è immobile il Flaminio, cambia e non ha paura di rinnovarsi seguendo le esigenze di un'architettura sempre alla ricerca di spazi che siano spazi sociali, piazze per incontrarsi e incontrare.
L'incolpevole chiusura settimanale del sabato del bar all'angolo di via Fracassini, è stato solo l'inizio dell'avventura di stamattina. Alla ricerca del caffè perduto...... bar del Maxxi apertura ore 12, in settimana chiusura alle 19.
Cioè viene escluso il canonico orario della colazione mattutina, fascia 8-11, che a Roma equivale a un suicidio annunciato. Fumanti cappuccini con cornetto, caffè con schiuma, senza, al vetro, corretto, al gingseng, la fantasia applicata alla torrefazione, supera ormai ogni senso del limite. Per non parlare dei tanti salutisti che avrebbero preso dei meravigliosi centrifugati di frutta e verdura a 6 euro l'uno senza scomporsi. Anzi contorcendosi e snocciolandosi seguendo un'affollatissima lezione di Yoga, in programma sempre al Maxxi, nelle mattine del fine settimana, nello spazio antistante l'ingresso del museo. Molti "seguaci" di quella che ormai possiamo definire una setta dell'equosolidale e del biologico, con crusca integrale sempre a portata di mano, in perfetto natur-vegano style. Tutti con il proprio tappetino, convinti da un silenzioso e attento Maestro. Ma neanche un caffè, il bar è chiuso.
Si apre a mezzogiorno, si sbraccia una cameriera da dietro il bancone, intravista a malapena dietro la vetrata del portone d'ingresso, dopo aver cercato più volte e inutilmente di aprire forzando quella specie di maniglione antipanico, tanto di moda. E siamo alle 11e30. I fortunati avventori presenti dopo le 12 avranno sicuramente goduto dei cornetti ormai secchi, rimasti nel cartone del fornitore, chissà. Ma anche l'orario dell'aperitivo, o happy hour che dir si voglia, 18-21 per intenderci, viene ritenuto superfluo per i gestori del suddetto esercizio in armi al polo museale di via Guido Reni. Ormai diventato l'happening di ogni buco appena degno di chiamarsi bar, dal centro città ai Castelli romani, la scusa- ritrovo x incontrare/bere/divertirsi/socializzare (ai miei tempi si diceva rimorchiare), è il momento della giornata che tutti aspettano. No, loro chiudono alle 19, non sia mai viene qualcuno!
E per finire in bellezza, ciliegina sulla torta, libreria dell'Auditorium, sempre sab 22 giugno, pomeriggio inoltrato, quando tutti ma proprio tutti, escono a cercare un po' di fresco, pronti a comprarsi anche una muta da sub o una tenda da campeggio, pur d'ingannare la noia d'essere rimasti in città, loro che fanno? Chiudono x inventario.
Io lo farei a gennaio l'inventario, voi no?
Forse sono io che sono strana, ma al primo che mi viene a dire che non c'è lavoro, ce lo mando e con gusto. Dove?
A quel paese sì, ma non in Italia.
Incorniciato da una parte dal Palazzetto dello sport di Vitellozzi e Nervi, dall'altra dal Villaggio olimpico delle Olimpiadi del 1960 (una buona annata) e dal recente "Ponte della Musica" che in prospettiva collega via Guido Reni al più famoso Auditorium di Renzo Piano. Non è immobile il Flaminio, cambia e non ha paura di rinnovarsi seguendo le esigenze di un'architettura sempre alla ricerca di spazi che siano spazi sociali, piazze per incontrarsi e incontrare.
L'incolpevole chiusura settimanale del sabato del bar all'angolo di via Fracassini, è stato solo l'inizio dell'avventura di stamattina. Alla ricerca del caffè perduto...... bar del Maxxi apertura ore 12, in settimana chiusura alle 19.
Cioè viene escluso il canonico orario della colazione mattutina, fascia 8-11, che a Roma equivale a un suicidio annunciato. Fumanti cappuccini con cornetto, caffè con schiuma, senza, al vetro, corretto, al gingseng, la fantasia applicata alla torrefazione, supera ormai ogni senso del limite. Per non parlare dei tanti salutisti che avrebbero preso dei meravigliosi centrifugati di frutta e verdura a 6 euro l'uno senza scomporsi. Anzi contorcendosi e snocciolandosi seguendo un'affollatissima lezione di Yoga, in programma sempre al Maxxi, nelle mattine del fine settimana, nello spazio antistante l'ingresso del museo. Molti "seguaci" di quella che ormai possiamo definire una setta dell'equosolidale e del biologico, con crusca integrale sempre a portata di mano, in perfetto natur-vegano style. Tutti con il proprio tappetino, convinti da un silenzioso e attento Maestro. Ma neanche un caffè, il bar è chiuso.
Si apre a mezzogiorno, si sbraccia una cameriera da dietro il bancone, intravista a malapena dietro la vetrata del portone d'ingresso, dopo aver cercato più volte e inutilmente di aprire forzando quella specie di maniglione antipanico, tanto di moda. E siamo alle 11e30. I fortunati avventori presenti dopo le 12 avranno sicuramente goduto dei cornetti ormai secchi, rimasti nel cartone del fornitore, chissà. Ma anche l'orario dell'aperitivo, o happy hour che dir si voglia, 18-21 per intenderci, viene ritenuto superfluo per i gestori del suddetto esercizio in armi al polo museale di via Guido Reni. Ormai diventato l'happening di ogni buco appena degno di chiamarsi bar, dal centro città ai Castelli romani, la scusa- ritrovo x incontrare/bere/divertirsi/socializzare (ai miei tempi si diceva rimorchiare), è il momento della giornata che tutti aspettano. No, loro chiudono alle 19, non sia mai viene qualcuno!
E per finire in bellezza, ciliegina sulla torta, libreria dell'Auditorium, sempre sab 22 giugno, pomeriggio inoltrato, quando tutti ma proprio tutti, escono a cercare un po' di fresco, pronti a comprarsi anche una muta da sub o una tenda da campeggio, pur d'ingannare la noia d'essere rimasti in città, loro che fanno? Chiudono x inventario.
Io lo farei a gennaio l'inventario, voi no?
Forse sono io che sono strana, ma al primo che mi viene a dire che non c'è lavoro, ce lo mando e con gusto. Dove?
A quel paese sì, ma non in Italia.
sabato 22 giugno 2013
venerdì 21 giugno 2013
Morto James Gandolfini, viva Tony Soprano! (di Alfonso Leto)
Mi dispiace che sia morto James
Gandolfini, il Tony Soprano dell’omonima fiction a tema mafia americana.
Mi dispiace perché era (e rimane)
un attore eccezionale, il mio attore
preferito della mia fiction preferita che, da quando è apparsa sui teleschermi, già nel 1999, era lampante la sua caratura rispetto agli altri telefilm
di specializzazione poliziesca o criminologica.
![]() |
James Gandolfini |
Già dalla sigla di apertura
filozappiana (“Woke Up This Morning" degli Alabama 3) e, via via (Elvis
Costello, i Morfine, i Cream, Otis Redding, Springsteen…) con la ricercatezza delle musiche (in tutte le puntate di
tutte le serie), si notava una cultura e una ricercatezza rare, in quel mondo seriale
di produzione; ma le storie, poi, i personaggi, l’attenta scrittura di ogni
puntata, l’interpretazione di ogni singolo attore, a cominciare da Gandolfini,
appunto, alla moglie Carmela nel film (interpretata dalla superlativa Edie
Falco), alla psicologa del boss interpretata magistralmente da Lorraine Bracco.
Veri momenti di spasso di alto livello, le sedute di Tony Soprano, di cui nessuno deve sapere perché possono essere -e lo sono- oggetto di scherno nella “famiglia”: -un mafioso che va dallo strizzacervelli e per di più donna!- Così com’è un vero e proprio tabu "invalidante", per l'organizzazione, se si viene a sapere in giro che un maschio della “famiglia”, (nell’intimità del sesso, coniugale e non) pratica il cunnilingus alla partner. Questi e altri aspetti grotteschi sparsi qui e la in una dimensione quotidiana fatta di soldi, sesso, sacrafamiglia, tradizioni della perduta patria italiana e di un cinismo senza fine: quel cinismo che manca proprio a tutti gli sceneggiati sulla mafia e perfino ai migliori ed enfatici La Piovra e Il Padrino. Ne I Soprano l’enfasi e la retorica sono banditi: si uccide verisimilmente con estrema facilità e banalità (la banalità della banalità del male). Le storie dei Soprano sono una rappresentazione fedele della balordaggine e dell’umanità dei mafiosi di grosso calibro come quelli americani e di tutti i loro sottoposti e fiancheggiatori. Guardandoli uno pensa: sono proprio così, ricchi e laidi, vivono in mezzo a noi, vanno a scuola con i nostri figli, hanno in mano le nostre città, e le mogli sono quasi sempre delle “brave signore” (non scopabili, però, nemmeno col pensiero, pena la morte in una discarica fetente) timorate di dio, angeli sempre freschi di parrucchiere nel focolare arredato di tuttopunto, trasbordante di comforts, di sogni di far laureare i figli nelle migliori università, isteriche ma servizievoli compagne del buon padre di famiglia estortore, assassino, corruttore, manager della truffa e della morte, che arriva stanco la sera, con i suoi sensi di colpa (ma non per la gente che ha ammazzato, no) per i conflitti con la vecchia madre (dal carattere impossibile) che è stato costretto a mettere in una casa di riposo di gran lusso. Tony Soprano è pronto a tutto pur di garantire questo movimentato paradiso a se e alla sua famiglia.
Veri momenti di spasso di alto livello, le sedute di Tony Soprano, di cui nessuno deve sapere perché possono essere -e lo sono- oggetto di scherno nella “famiglia”: -un mafioso che va dallo strizzacervelli e per di più donna!- Così com’è un vero e proprio tabu "invalidante", per l'organizzazione, se si viene a sapere in giro che un maschio della “famiglia”, (nell’intimità del sesso, coniugale e non) pratica il cunnilingus alla partner. Questi e altri aspetti grotteschi sparsi qui e la in una dimensione quotidiana fatta di soldi, sesso, sacrafamiglia, tradizioni della perduta patria italiana e di un cinismo senza fine: quel cinismo che manca proprio a tutti gli sceneggiati sulla mafia e perfino ai migliori ed enfatici La Piovra e Il Padrino. Ne I Soprano l’enfasi e la retorica sono banditi: si uccide verisimilmente con estrema facilità e banalità (la banalità della banalità del male). Le storie dei Soprano sono una rappresentazione fedele della balordaggine e dell’umanità dei mafiosi di grosso calibro come quelli americani e di tutti i loro sottoposti e fiancheggiatori. Guardandoli uno pensa: sono proprio così, ricchi e laidi, vivono in mezzo a noi, vanno a scuola con i nostri figli, hanno in mano le nostre città, e le mogli sono quasi sempre delle “brave signore” (non scopabili, però, nemmeno col pensiero, pena la morte in una discarica fetente) timorate di dio, angeli sempre freschi di parrucchiere nel focolare arredato di tuttopunto, trasbordante di comforts, di sogni di far laureare i figli nelle migliori università, isteriche ma servizievoli compagne del buon padre di famiglia estortore, assassino, corruttore, manager della truffa e della morte, che arriva stanco la sera, con i suoi sensi di colpa (ma non per la gente che ha ammazzato, no) per i conflitti con la vecchia madre (dal carattere impossibile) che è stato costretto a mettere in una casa di riposo di gran lusso. Tony Soprano è pronto a tutto pur di garantire questo movimentato paradiso a se e alla sua famiglia.
Per fortuna che i Soprano (per
chi volesse approfondire) possono sempre essere visti in streaming su questo benemerito sito (se non
si complica con spam e inserti vari) http://www.italiafilm.tv/telefilm/8989-i-soprano-the-sopranos-streaming-megavideo.html.
Quanto al povero James
Gandolfini, mi spiace davvero che sia morto, a cinquantun anni e proprio a Roma ( “Che
vergogna morire a cinquant’anni”, disse di se Ettore Petrolini in punto di
morte!).
Era atteso al Festival del cinema di Taormina, dove doveva partecipare a una tavola rotonda insieme al regista Gabriele Muccino. Povero James, morire per risparmiarsi Muccino: che coraggio, che abnegazione!
Era atteso al Festival del cinema di Taormina, dove doveva partecipare a una tavola rotonda insieme al regista Gabriele Muccino. Povero James, morire per risparmiarsi Muccino: che coraggio, che abnegazione!
giovedì 20 giugno 2013
mercoledì 19 giugno 2013
lunedì 17 giugno 2013
martedì 11 giugno 2013
" 7 righe" di Corinne Quadarella
Il Grande Fratello - Piccole donne
La Grande bellezza - Il Piccolo Lord
La Grande vallata - Dieci Piccoli indiani
Il Grande Gatsby - Piccoli omicidi tra amici
Grandi Speranze - Il Piccolo Principe
Il Grande Dittatore - La Piccola fiammiferaia
Il Grande Bluff - Questo Piccolo Grande Amore
La Grande bellezza - Il Piccolo Lord
La Grande vallata - Dieci Piccoli indiani
Il Grande Gatsby - Piccoli omicidi tra amici
Grandi Speranze - Il Piccolo Principe
Il Grande Dittatore - La Piccola fiammiferaia
Il Grande Bluff - Questo Piccolo Grande Amore
sabato 8 giugno 2013
"Lettera aperta a chi mi ha ipotizzato elettore di Ignazio Marino" di Fulvio Abbate
Nei
giorni scorsi ho inviato questa lettera a chi mi chiedeva di partecipare
a un evento culturale, di fatto elettorale, è bene che sia resa
pubblica.
Caro ***,
l'altro giorno al telefono ti ho detto che sarei venuto alla tua presentazione, che è, in verità, un momento politico ed elettorale, vista la presenza di Goffredo Bettini, garante di Veltroni, e di altre figure che in questi mesi hanno fiancheggiato il Pd e segnatamente Veltroni, al punto da appartenere pienamente al sistema clientelare di quest'ultimo. In verità, non ci sarò, né andrò a votare per Marino, se lo votino i Lodoli, le Lidia Ravera e tutti i signori e gli altri che in questi anni hanno usufruito di tutti i vantaggi del clientelismo dal volto umano che avete messo in atto in questa città, personalmente la mia posizione è nota e ufficiale da tempo: mai più in mio nome. Non dimentico che, sempre nei medesimi anni, istituzioni culturali che avrebbero dovuto essere inclusive hanno agito ancora una volta in termini clientelari, penso alla Casa delle Letterature e penso ad altre occasioni di democrazia perduta per la città, e ancora resterà agli atti il silenzio di tutti coloro che oggi fiancheggiano il Pd in città nei confronti della vergognosa nomina di Giovanna Melandri alla presidenza del MAXXI. Così come l'uso che il tuo amico Veltroni ha fatto di Pasolini in funzione autoassolutoria.
Con amicizia
Fulvio Abbate
Caro ***,
l'altro giorno al telefono ti ho detto che sarei venuto alla tua presentazione, che è, in verità, un momento politico ed elettorale, vista la presenza di Goffredo Bettini, garante di Veltroni, e di altre figure che in questi mesi hanno fiancheggiato il Pd e segnatamente Veltroni, al punto da appartenere pienamente al sistema clientelare di quest'ultimo. In verità, non ci sarò, né andrò a votare per Marino, se lo votino i Lodoli, le Lidia Ravera e tutti i signori e gli altri che in questi anni hanno usufruito di tutti i vantaggi del clientelismo dal volto umano che avete messo in atto in questa città, personalmente la mia posizione è nota e ufficiale da tempo: mai più in mio nome. Non dimentico che, sempre nei medesimi anni, istituzioni culturali che avrebbero dovuto essere inclusive hanno agito ancora una volta in termini clientelari, penso alla Casa delle Letterature e penso ad altre occasioni di democrazia perduta per la città, e ancora resterà agli atti il silenzio di tutti coloro che oggi fiancheggiano il Pd in città nei confronti della vergognosa nomina di Giovanna Melandri alla presidenza del MAXXI. Così come l'uso che il tuo amico Veltroni ha fatto di Pasolini in funzione autoassolutoria.
Con amicizia
Fulvio Abbate
venerdì 7 giugno 2013
Invito alla lettura: “È l’Europa che ce lo chiede!- Falso!” (di Alfonso Leto)
Il piccolo ma
insidioso libro di Luciano Canfora smonta pezzo per pezzo il tabù dell’europeismo d’accatto, curiosamente
condiviso sia dalla sinistra europea che dall’internazionale capitalista; ma la critica è lucida, tridimensionale, non quella xenofoba e idiota di una
destra cieca e piccoloborghese. Conviene leggerlo!

Quale è il partito d'opposizione che non sia stato tacciato di comunista
dai suoi avversari che si trovano al potere?...»
Parafrasando il celebre incipit del “Manifesto” di Karl Marx, potremmo
dire di e con un libro di Luciano Canfora: “Uno spettro si aggira per la cultura
europeista della sinistra - lo spettro dell'euroscetticismo. Tutte le
potenze della vecchia Europa, la Merkel e Draghi, Monti e Hollande, Letta e Van
Rompuy…. etc.,
etc., etc.... Qual’è il partito di opposizione che non sia stato
tacciato dell’infamante accusa di antieuropeismo dai suoi avversari che si
trovano al potere?”
E possiamo anche chiederci: quale intellettuale
o
economista o esperto politologo
dell’area della sinistra o progressista, in ogni parte del mondo occidentale (Stati
Uniti compresi) che si sia permesso di muovere critiche o esprimere motivati
dubbi sui vantaggi dell’Europa (non solo per i mercati e gli speculatori) o
promuovere cambiamenti
sostanziali del processo d’integrazione
comunitaria, specialmente nell’ambito economico e fiscale, non sia stato
tacciato dall’infamante accusa di di antieuropeismo (o euroscetticismo)?
Il piccolo ma efficacissimo
saggio di Canfora, ha il dono di fare comprendere a noi sudditi comunitari, ma
soprattutto a noi libertari o aspiranti/sedicenti tali, sempre attivi nella
critica al sistema, specie quando questo sistema lede la nostra stessa
sopravvivenza, che l’Europa non è e non può essere un dogma inattaccabile. Già
che i dogmi, in quanto tali, in un
aspirante libertario, fanno venire la voglia insopprimibile di munirsi di armi
di sfondamento in quanto, ogni dogma nella sua regalità o santità, nasconde sempre più
infime e pericolose motivazioni, figuriamoci il dogma politico che nasconde
in se il dogma economico di una egemonia neocapitalistica europea che sta
macinando giorno dopo giorno l’autonomia politica e democratica dei singoli
stati e dei suoi cittadini in nome di un principio d’integrazione europea i cui
risultati attuali dimostrano la scarsità di benefici e l’inefficienza delle
istituzioni comunitarie davanti alla crisi economica e finanziaria.
Leggendo
il libro di Canfora, edito già un anno fa ma molto letto ancora oggi, si coglie
tutta l’energia di una analisi calcabile sui fatti che si stanno verificando
oggi sotto i nostri occhi sempre più increduli, prima e dopo le elezioni della
scorsa primavera incluso l’attuale
governo-Letta, che è stato già pre-letto nella sfera di cristallo dell'autore.
Canfora ne preconizza lucidamente l’incedere dei fatti (in 7 mosse) che poi sono quelle che oggi determinano ciò che lui chiama la nascita di un «partito della nazione », l'impalcatura eurocompatibile, su cui si costruisce l'eurozona; in altri termini tutti quei governi della solidarietà nazionale “a norma CEE” che costituiranno il presente e il futuro di ogni stato-membro d'Europa e a cui pare ci dobbiamo rassegnare se non vogliamo essere tacciati del peccato civile e politico (quasi sovversivo) di antieuropeismo=agnosticismo rispetto alla teologia politica di questa Europa.
Canfora ne preconizza lucidamente l’incedere dei fatti (in 7 mosse) che poi sono quelle che oggi determinano ciò che lui chiama la nascita di un «partito della nazione », l'impalcatura eurocompatibile, su cui si costruisce l'eurozona; in altri termini tutti quei governi della solidarietà nazionale “a norma CEE” che costituiranno il presente e il futuro di ogni stato-membro d'Europa e a cui pare ci dobbiamo rassegnare se non vogliamo essere tacciati del peccato civile e politico (quasi sovversivo) di antieuropeismo=agnosticismo rispetto alla teologia politica di questa Europa.
Ecco, tra le 7 mosse di questo processo ben
descritto da Canfora, iniziatosi con l'abrogazione “del principio proporzionale
(…) in omaggio alla religione idolatrica del bipolarismo”, la sesta mossa di un
processo che abbiamo visto consumarsi sotto i nostri occhi, prima con il
governo Monti e ora proprio con la nascita del governo Letta:
« A questo punto i teorici del “superamento” della distinzione
destra/sinistra in quanto concetto obsoleti possono esultare. E difatti
esultano. É impressionante che, in Italia, inconsapevoli della gaffe lessicale,
alcuni si dispongono addirittura a dar vita a un “Partito della Nazione” (il
partito fascista si chiamò per l'appunto “nazionale”, e “nazionali” erano detti
i seguaci di franco, mentre “socialista-nazionale” era il partito del Fürer)»
La settima mossa espone «gli effetti della progressiva assimilazione
tra i due poli culminata nella “coesione”» e cioè « il non-voto di coloro che
non si riconoscono nella melassa». E Canfora aggiunge: «Ma questo non preoccupa l'ormai coesa élite, (…) anzi gioisce
ulteriormente perchè si può sperare di raggiungere i record delle cosidette
“grandi democrazie” dove- come negli USA- vota meno della metà degli aventi
diritto. Anzi i più sfacciati dicono che il non-voto è un segno di maturità della
democrazia».
Da questo lampante capitolo centrale del
libro, Canfora ci espone cosa mai sia questo Partito della Nazione e nel
leggerlo vediamo apparire come evocati da una forza di analisi tridimensionale
i volti e le situazioni della miserevole politica italiana, senza risparmiare
colpi a destra, al centro e a sinistra, e a scanso di equivoci differenziandosi
molto, nell'analisi, da altre visioni antieuropee quali quelle della Lega Nord
o di altre formazioni o derive governate da una visione xenofoba e
qualunquistica.
«L'ideologia dichiarata defunta,
ritorna in forme impreviste e alquanto fatue» – continua l'autore - «come
ideologia dell'Europa, come valore in se! L'”europeicità” è diventata la nuova
ideologia, soprattutto presso la ex sinistra. Qui alligna oramai sempre più
spesso il monito intimamente compiaciuto e pensoso: “Ce lo chiede l'Europa!” Un
tale ritornello che serve a tappare la bocca a qualunque rilievo critico».
Nella sua analisi Canfora pone la
questione della tanto osteggiata svalutazione
dell'euro come possibile soluzione alla crisi, ma sappiamo bene dice il filologo che la Germania è ostile a
questo provvedimento in quanto “dalla situazione attuale ha solo vantaggi in
quanto “L'eurozona è il suo mercato” e una svalutazione dell'euro l “la
detronizzerebbe dalla sua posizione dominante. Ma non è un motivo sufficiente
per rinunciarvi, conclude nel capitolo intitolato “Come uscire vivi dalla
morsa” “I sudditi hanno pur diritto di alzare la testa”.
E qui Canfora pone l'argomento
di un'altra ostilità forte alla svalutazione dell'euro proveniente dai centri
di potere statunitensi (cioè la Trilateral) che vedrebbero il pericolo di una
concorrenzialità delle nostre merci e sulla ripresa della nostra economia in
ginocchio. Dunque, siamo certi che anche
in Europa non vi siano uomini preposti al compito di impedire misure di tal
genere?
Il testo prosegue con altri
capitoli che delineano anche uno scenario di progressiva uscita (non solo del
nostro Paese) da un sistema tutto forgiato sugli interessi di una nuova Internazionale del
capitalismo che richiede da parte di noi tutti una re-visione di quel
sistema politico, culturale, infine economico, nato come sistema liberatorio di
crescita e di libertà dei popoli, si sta trasformando sopra le nostre teste
come un vero e proprio ritorno alla schiavitù in virtù del fatto che «la crisi, rapida in fine, dei sistemi politico-sociali detti del
socialismo reale, ha ridato fiato in modo spettacolare al mito dell’eternità
del capitalismo».
Insomma, un libro istruttivo e intimamente,
esplicitamente eversivo rispetto alla nuova dittatura economica e mentale che
si chiama Europa, nuovo tabu intoccabile del nostro tempo al quale pare non c’è
modo di sottrarsi, a meno che il ciclico errore antico di ogni tirannia
(antica, moderna e contemporanea) non abbia tenuto in conto della
raccomandazione di “non mettere nello
stesso luogo schiavi che parlano la stessa lingua, onde evitare che si
coalizzino e si ribellino”.
Buona lettura.
“È l’Europa che ce lo
chiede!- Falso!”-
Luciano Canfora ed. Idòla-Laterza,
pagg. 80- Euro, 9,00 “
Alfonso Leto
giovedì 6 giugno 2013
mercoledì 5 giugno 2013
"LA TRANSEUCARESTIA" di Alfonso Leto
LUXURIA, BAGNASCO E LA TRANSEUCARESTIA
Ai funerali di don Gallo, l’immagine di
Vladimiro Guadagno, che pure avendo scelto di chiamarsi col nome di uno dei
sette peccati capitali, ostinatamente in coda a guadagnarsi il pasto
eucaristico per mano del cardinale Bagnasco (messo davanti al fatto compiuto) suscita
in me – ateo – un’impressione tale che mi chiedo se prima di fare la comunione,
Luxuria, abbia letto attentamente istruzioni, posologia ed effetti collaterali.
![]() |
Alfonso Leto. "ORAL"(II vers.) olio su tavola. 2005 |
Hai
voglia di espiare? Espia, Vladimir: per me può anche valere la massima di
Rasputin che dice: “Peccate, fratelli, perché senza peccato non c’è espiazione
e senza espiazione non c’è assoluzione, dunque peccate più che potete"; ma dico pure che se un sacerdote ha
assolto i tuoi “peccati” si è dimenticato di non assolvere il tuo nome che per sua stessa ammissione è la persona
fatta peccato e il peccato fatto persona. Qualcosa non ha funzionato nelle
procedure, ammettiamolo. Almeno Almodovar nel suo “L’indiscreto fascino del
peccato” ha avuto più fantasia a chiamare le inquiete religiose Suor Derelitta,
Suor Maltrattata da tutti, Suor Topa, suor Perduta.
Francamente
questa insistenza di tanti gay, transgender, e lesbiche, etc. ad accedere ai
sacramenti della chiesa cattolica lo trovo un fatto molto curioso, e che per me
non depone tanto a favore del loro status e del loro legittimo desiderio
religioso (che non m'importa mettere in discussione) bensì della loro pretesa
di inventarsi un dio a loro immagine e somiglianza e di andarselo a covare
giusto-giusto nel ventre della chiesa cattolica apostolica romana, proprio
quella che li ha odiati per duemila anni (se ci mettiamo solo l'era cristiana) fino ai nostri giorni, e trattati
come merde, al disotto della sentina da gettare nella Genna, dalla sacra Bibbia
fino ad ogni codicillo morale applicato al nuovo Testamento.
Che molti
di loro insistano nel delegare proprio la chiesa cattolica a far da tramite "istituzionale" e spirituale
con dio e da essa essere per forza
riconosciuti lo trovo assai penoso. Così
come ho trovato penoso per il senso teologico dell’eucarestia che dalle mani
del cardinale Bagnasco un’ostia consacrata sia finita nella bocca di una
persona, rispettabilissima quanto si vuole, che pur chiamandosi Vladimiro
Guadagno abbia deciso di chiamarsi Luxuria.
Le cose sono due: o non c’è più religione oppure avrà ragione Woody
Allen quando dice che "Dio è gay e fa l'arredatore".
Io
opto per la seconda ipotesi senza alcun problema, ma quel tuo nome, cara
Vladimir Luxuria, - ne converrai con me - se leggi meglio indicazioni, posologia
ed effetti collaterali, ti accorgi che è controindicato all’assunzione
dell’eucarestia. In nome di Dio, pensaci.
Alfonso Leto
martedì 4 giugno 2013
"Non vale più indignarsi per il razzista Borghezio" di Michele Fusco
No. Indignarsi per Borghezio con una ventina d'anni di ritardo sulla tabella di marcia non vale. Non vale nulla, assolutamente nulla. L'ultima notizia che lo riguarda ha del comico: lo hanno espulso non dal Parlamento Europeo, come sarebbe giusto e democratico, ma semplicemente dal gruppo che gli dava riparo istituzionale, il fantomatico Efd (Europa per la libertà e per la democrazia) la cui ideologia, leggo da Wikipedia, pencolerebbe tra euroscetticismo, conservatorismo nazionale e populismo di destra. Sostanzialmente il nulla. Braccia rubate ai campi di pomodori. Tra gli italiani, oltre ai deputati della lega Nord, c'è anche il mitico Magdi Allam con il suo «partito» Io Amo L'Italia. Ma vai a lavorare.
Secondo «Europa per la libertà e la democrazia», Borghezio avrebbe superato il segno dopo aver detto che il nostro ministro Kyenge «è una bongo bongo, nominarla è stata una scelta del cazzo...» Nei giorni scorsi ci aveva provato a sfangarla, buttandola sulla malatraduzione dall'inglese. Comico, neanche mister Bean. Sentite le sue parole: «Mi autosospendo per tutelare la Lega e l'Efd in attesa di fare piena chiarezza sulle frasi pronunciate sul ministro Kyenge. Dopo una riunione del gruppo ho chiesto un rinvio per tradurre in inglese il testo integrale dell'intervista. Sono tranquillo, la vicenda si risolverà entro un mese».
Peraltro, qualche giorno fa Borghezio si era ulteriormente distinto parlando con Giuseppe Cruciani ma non alla Zanzara, bensì su Panorama. Per carità di patria non vi neghiamo le perle dell'intervista. Si definisce «un po' nazista un po' fascista», bello no?, poi rigetta l'etichetta di «razzista» (ma va'?) per virare su un più rassicurante «differenzialista», infine ritorna fortunatamente in sè con un paio di sane convinzioni. La prima: «Preferisco che la massa dei neri resti a casa sua». La seconda, compendio della prima: «Il meticciato è un obbrobrio perchè inquina la differenza tra le etnie».
Questo qui, nel senso di Borghezio, lo abbiamo allevato noi. E’ figlio nostro, figlio della nostra terra, non di una terra lontana, proprio della nostra. Non si può saltare sul carro del vincitore (che non c'è) quando in Europa si accorgono di chi è veramente. Questo qui è un figlio di primissimo letto Umberto Bossi, di Bobo Maroni, di Calderoli, di Speroni, di Castelli, ma anche di tutti quelli che con la Lega hanno fatto alleanze, molto spesso la destra, ma non esclusa la sinistra in tempi un po' più lontani. Ma ve lo ricordate quel filmato ignobile in cui puliva con il disinfettante i sedili di uno scompartimento del treno dove si erano sedute delle donne nigeriane?
Questo qui, come altri razzisti in giro per il mondo, va mandato a casa per sempre.
michelefusco2013@yahoo.it
lunedì 3 giugno 2013
Su "La grande bellezza" di Paolo Sorrentino
Fin quando si tratta di parlare male di Andreotti non ci sono problemi, siamo tutti d'accordo sull'orrore, la gobba, le trame, su quanto quello, lo statista democristiano, fosse assai brutto, con i topi in cantina a rosicchiare il cadavere in camicia di popeline del povero Aldo Moro, i problemi cominciano invece quando occorre mostrare quant'è misera e piccolo borghese Roma, una città dove è impossibile essere artisti, dove l'eventuale modello cui è ispirato il personaggio di Servillo altro non è che un trombone con foulard, Dudù La Capria, dove il massimo lirismo elegiaco municipale consentito è semmai Renato Zero vestito di bianco con la colomba che gli caca sulla bombetta del medesimo colore. Ecco perchè "La grande bellezza" non c'è, non esiste rispetto a se stesso, così come non c'era "Habemus Papam" di Nanni Moretti, un film non meno fallito per timidezza nei confronti della tiara, della pantofola papale, dell'anello del pescatore di Lavinio Padiglione. Ma io dico, se hai soggezione verso il potere mettiti a fare il chitarrista classico, no? Se non l'hai capito sono affari tuoi.
Fulvio Abbate
Fulvio Abbate
Zanonato, il ministro che s'incazza se la gente va al parco (di sabato)
Perchè Flavio Zanonato è ministro della Repubblica Italiana ma soprattutto: chi ha pensato a lui per questo ruolo? Il mistero si è infittito in maniera quasi insostenibile nella giornata di sabato, quando il titolare dello Sviluppo Economico ha fatto conoscere al Paese una delle misure più ficcanti a cui aveva pensato per far ripartire i consumi: chiudere i negozi di sabato. All'iniziale senso di smarrimento dell'opinione pubblica, il ministro ha opposto motivazioni che persino Chance il giardiniere avrebbe considerato un filo eccentriche: «Il sabato - ha detto solennemente - la gente non si lagna, va nei parchi, fa il barbecue, va a sentire i concerti».
Ma restiamo calmi e cerchiamo di analizzare i tre motivi portanti del nostro Sviluppatore economico. Il primo: la gente non si lagna. Presa così, la dichiarazione non significa una cippa. Andrebbe, per così dire, contestualizzata. Grazie alla soffiata di un collaboratore di Zanonato, ora sappiamo l'interpretazione autentica: visto che la gente non si lagna, le chiudiamo i negozi al sabato così s'incazza da bestia. Una frustata al nostro orgoglio. L'obiettivo del ministro è pedagogico: «Aprite la finestra e urlate: sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più».
Secondo motivo: la gente va nei parchi. Effettivamente può capitare che gruppi di persone, nuclei familiari, coppie di fidanzati, guardoni, donne sole, uomini soli, uomini con uomini, donne con donne, trans, poeti, santi e navigatori, vadano al parco di sabato. Non dovrebbe succedere ma succede. Quando Zanonato passa per un parco e vede un sacco di gente che passeggia o anche solo seduta su una panchina, non fa mistero del suo nervosismo. Chiama la moglie e le pone l'inquietante interrogativo: «Scusa cara, ma tutta questa gente che di sabato va al parco non lavora, non produce, non spende, insomma che cazzo fa?».
La signora, che ormai conosce a menadito lo Zanonato-pensiero ormai pensa sia meglio non contraddirlo opponendogli la visione più serena della vita, secondo cui andare al parco sarebbe anche un esercizio di lietezza interiore, e anzi lo monta ancora di più: «Ma hai visto Flavio, roba da matti, questo Paese è pieno di parassiti che succhiano dalle tette dello stato...», ma poi interrompe di getto la comunicazione perchè sopraffatta dal ridere. Zanonato insomma la pensa come Nenni nel '48: «Parchi pieni, negozi vuoti».
Sul terzo e quarto motivo, barbecue e concerti, i collaboratori del ministro ci chiedono di non infierire. Di non sottolineare che i concerti si tengono sì di sabato ma la sera, per cui ci sarebbe tutto il tempo di fare un po' di shopping.
michelefusco2013@yahoo.it
domenica 2 giugno 2013
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