sabato 31 dicembre 2016
venerdì 30 dicembre 2016
F di Gaetano Altopiano
Ieri su F ho incrociato il sosia di mia moglie. Somiglianza incredibile, solo che questa vive a Melbourne e sembra abbia qualche anno di meno. Per il resto è in tutto e per tutto lei. Potevo non scriverle? Abbiamo finito con lo scambiarci l’amicizia, e, già che c’eravamo, ci siamo mandati anche dei cuoricini e abbiamo fatto un po’ di sgallino virtuale. Stamattina la sorpresa: ci sono due bollette da pagare mi scrive, il sacchetto della spazzatura da buttare, un quadro di cinque metri quadrati da appendere e alle undici vuole essere accompagnata dall’estetista. Firmato, mia moglie. Cazzo, è proprio spiccicata. Potevo non ubbidire?
ALTRI INCIPIT (Antonio Castelli) di Francesco Gambaro
L'impresito
grammaticale ha fondi multipli. Parti del discorso contadino, dove le
parti sono, sì, le voci e il discorso è il costrutto che esse
riorganizzano, adempiono, ma sono anche e propriamente parti, sì,
individui, persone. Srutturalmente, biologicamente, i contadini
medesimi tutti. Parte è il contadino di Castelbuono, e parte è il
contadino di Capo d'Orlando, parte è quello delle Madonie ed è
quello dei Nebrodi, parti sono i contadini dell'Agrigentino, del
Siracusano. - E il discorso, il discorso è un ordito di fonemi, ed è
pure il logos contadino, intelletto, discorso, parola. Il discorso è
uno e molteplice, molteplici essendo le parlate. Quante vallate tante
parlate. Le quali tutte, distinte però non scrporabili, pulsano
dentro la galassiaa del discorso contadino. Che è supremamente
uno.......................... Ci si è fermati, aristocraticamente,
all'ugola, all'emissione impostata; non si è scesi oltre – paura
di incatramarsi? - nella trachea, per esplorare la sede
dell'emissione fisiologica, sporgere lo sguardo, l'orecchio
nell'arcano, umano cavo orale della cultura contadina.
Antonio
Castelli, Parti del discorso contadino, Edizioni Ente Parco delle
Madonie, 2002
giovedì 29 dicembre 2016
CONTRADDIZIONI di Gaetano Altopiano
CONTRADDIZIONI
di Gaetano Altopiano
Costretti a esprimere un giudizio, qui e adesso, non abbiamo molto da scegliere: parlare o tacere. Fornita la risposta abbiamo preso un impegno. Ma solo per quel preciso istante. Dato che sarà sempre possibile tornare sui propri passi senza che questo per forza venga interpretato come una contraddizione, almeno tra persone intelligenti. Qualunque sia la risposta fornita, però, ne avremo sempre esclusa un’altra, o più di un’altra, che è quella che non abbiamo dato, e questo per n tempo, ossia (è solo teoria) all’infinito. Il motivo dipende dal fatto che allo stato attuale qualunque risposta fornita in un momento “preciso” si baserebbe unicamente sul sistema binario, che come sappiamo è formato dal bit coppia 0 e 1 in tutte le combinazioni possibili ma sempre e soltanto come valore negativo dello 0 e positivo dell’ 1. In un futuro neanche tanto lontano il sistema di calcolo quantistico potrebbe rivoluzionare il risultato delle nostre risposte. Il suo sistema è basato infatti sul qubit che (in teoria) prevede la possibilità che 0 e 1 siano anche sovrapponibili. Potremo dire no, insomma, mentre invece è un sì, o sì e no contemporaneamente, o dare più giudizi nello stesso istante senza contraddirci mai.
Costretti a esprimere un giudizio, qui e adesso, non abbiamo molto da scegliere: parlare o tacere. Fornita la risposta abbiamo preso un impegno. Ma solo per quel preciso istante. Dato che sarà sempre possibile tornare sui propri passi senza che questo per forza venga interpretato come una contraddizione, almeno tra persone intelligenti. Qualunque sia la risposta fornita, però, ne avremo sempre esclusa un’altra, o più di un’altra, che è quella che non abbiamo dato, e questo per n tempo, ossia (è solo teoria) all’infinito. Il motivo dipende dal fatto che allo stato attuale qualunque risposta fornita in un momento “preciso” si baserebbe unicamente sul sistema binario, che come sappiamo è formato dal bit coppia 0 e 1 in tutte le combinazioni possibili ma sempre e soltanto come valore negativo dello 0 e positivo dell’ 1. In un futuro neanche tanto lontano il sistema di calcolo quantistico potrebbe rivoluzionare il risultato delle nostre risposte. Il suo sistema è basato infatti sul qubit che (in teoria) prevede la possibilità che 0 e 1 siano anche sovrapponibili. Potremo dire no, insomma, mentre invece è un sì, o sì e no contemporaneamente, o dare più giudizi nello stesso istante senza contraddirci mai.
SORIE DEL SIGNOR JFK (63) di Francesco Gambaro
Alzandosi
di botto allo squillo del telefono sarebbe potuto scivolare sulla
pianella, avrebbe incrociato il ginocchio con lo spigolo del
poggiapiedi di vetro, lacerato il ligamento crociato. A quest'ora,
invece che essere qui, saremmo dovuti andare a trovarlo in ospedale.
Con la gamba appesa in trazione e la faccia tumefatta. A JFK viene da
ridere, infila la faccia sotto il cuscino. Addomesticò gli squilli,
si riaddormentò.
mercoledì 28 dicembre 2016
ESERCITI di Gaetano Altopiano
Avevo tutto il diritto di saltare da pagina 112 a 123. E forse ne avevo anche il dovere, visto che presagivo il saggio come perfettamente inutile per la mia corteccia prefrontale. Da un po’ di tempo però soffro di avarizia e di un inspiegabile senso di rispetto nei confronti del lavoro degli altri mai percepito prima. E devo ammettere che è stata una fortuna visto che quelle pagine si sono rivelate tra le più belle del libro, non fosse che per l’involontario lirismo di alcune descrizioni. “Quando Tigrane l’Armeno, accampato su di una collina con quattrocentomila uomini, si accorse che contro di lui marciava un esercito romano di soli quattordicimila uomini se ne rallegrò dicendo: costoro sono troppi per un’ambasceria, e troppo pochi per un combattimento. Ma prima del tramonto scoprì che furono sufficienti a metterlo in fuga con un incalcolabile massacro.” Francesco Bacone, Saggi.
IL MIO PIATTO PREFERITO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/28/il-mio-piatto-preferito/
martedì 27 dicembre 2016
CARAVAGGIO MORSO DA BOSCH di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/27/caravaggio-morso-da-bosch/
domenica 25 dicembre 2016
RACCONTO DI NATALE ½ ciac di Gaetano Altopiano e Francesco Gambaro
Erano
loro i matematici che hanno risolto il problema più difficile del
mondo: E8, l’oggetto a 248 dimensioni. Loro che scrissero la
prefazione agli ultimi diari di Landolfi. Loro che ispirarono a Bosch
il suo miracolo definitivo. Si chiamavano Leone, Sigismondo,
Juliettus, Bartholomaus, Dietwolf e Guerriero, meno uno. E vivevano a
Lillehammer, in Norvegia, ma non uno. Vi sembrano nomi di signorine?
Vi sembrano nomi di emorroidi? O, magari, un mucchio di nomi a cazzo?
Perché allora quello che non viveva a Lillehammer, la notte del 25,
da bravo attor di cinema quale pretendeva di essere, si alzò e
brindò con un vinello da due e cinquanta alla salute delle sorelle
rientrate? Quattro bicchieri. Se solo li avesse trattati con
quell’amore maschio col quale ci si tratta tra fratelli di sangue
quando si ricompare: stringendo un patto, stendendo un’alleanza,
guardandosi però dallo spalmare creme sulla parte, e non avesse
tentando di guidare subito dopo (sapete come sono fatti i norvegesi)
di sicuro avrebbero passato un buon Natale.
/
Era
bravo, era un attor di cinema, era un atleta delle emorroidi. Esse
scendevano e risalivano in un solo volo. Scendevano a ogni
evacuazione. Pigiando, su qualsiasi tasto di quel vecchio pianoforte
che era diventato, al rilascio pigramente risalivano. Bisogna dirla
tutta: avevano bisogno d'aria. Non so, anche di libertà. Forse. Ma
lui era bravo. Un allenatore, un educatore. A caldo le faceva
rientrare anche velocemente, passionalmente come un direttore di
orchestra o un padre. Scuoteva un po' le natiche e quelle, senza
nemmeno rendersene conto, rincasavano. Flop flip. Ognuna di voi a
loro posto, ragazze, e la lezione riprendeva. Era un maestro bravo,
ci sapeva fare con le ragazze del suo culo. Le metteva in ascensore
sino al sesto piano, li chiudeva dentro le mutande al settimo piano.
Ma quelle, quelle scendevano lo stesso a pianterreno un attimino dopo
lontano dalle sue mutande. Poi, scodinzolando, se ne andavano senza
cappotto a vedere il luccichio del mare. Erano emorroidi diversamente
abili, erano emorroidi di Natale.
sabato 24 dicembre 2016
UN FUMOIR IN PENOMBRA di Gaetano Altopiano
Sogno di essere interrogato da un giudice. Procedo da uno stadio iniziale in cui le sue signore segretarie mi fanno attendere in un ufficio di parquet scuro (più vicino allo studio di un avvocato che non al corridoio di un palazzo di giustizia) a uno successivo in cui il giudice ha bei capelli bianchi e ricciuti e sta seduto dietro la scrivania di una stanza che mi ricorda un fumoir in penombra. Fino a un terzo e ultimo stadio in cui cominciano le domande e che è ambientato nella piazzetta di un vecchio rione popolare e in mezzo a diversi agenti di polizia che mi incalzano. Conosco il motivo di quell’interrogatorio e aspetto domande che invece non arrivano se non riguardo a cose non pertinenti. Siamo tutti seduti, e non so cosa voglia dire, in una strana disposizione semicircolare. Alcune delle domande sono addirittura incredibili: “Avete costruito un bell’ospedale a Pollina, eh?” Ma io non ho mai costruito ospedali, né a Pollina né in nessun altro luogo.
venerdì 23 dicembre 2016
UNA RAGAZZA di Gaetano Altopiano
Le facce di troppe persone mi diventano sempre più estranee, mi confida questa ragazza. E anche se in passato sono riuscita a controllarmi, con questi lombrichi non riesco più a trattenere il mio risentimento verso il mondo della natura. Ma cosa ci ho nel sangue, è il veleno? Porto dentro di me l’odio accumulato dai miei antenati, lo sento, forte e meraviglioso: stilla su stilla potrei contarlo. La moltitudine non è la mia razza, questi non li conosco; quelli non so chi siano; questi altri hanno volti da mostri. Solo i sovrani hanno diritto a otto file di danzatori: non usurpate i privilegi reali. Brava ragazza.
LA FIASCA E IL SUO DOPPIO (a Astro Nauta) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/23/la-fiasca-e-il-suo-doppio-a-astro-nauta/
giovedì 22 dicembre 2016
IL FALLITO DI SUCCESSO di Francesco Gambaro
Nulla
di più insano della gratificazione. Se sei gratificato ti
disinteressi del mondo, eccedi dentro il capitale che hai guadagnato
o che ti hanno fatto credere di esserti guadagnato, smetti di
cercare, di curiosare, di sognare e confondi il concetto di fallito
con il concetto di successo. Questa perniciosa patologia ha la sua
rappresentazione giornaliera nei talk politici e ha creato l'equivoco
del fallito di successo, un perditempo istituzionalizzato, incapace
di recepire o praticare concetti come astrazione, radicalizzazione,
sperimentazione. Già ai tempi della sacrilega moltiplicazione delle
immagini di Padre Pio (“si parla più di Padre Pio che di Dio”)
la teologa Adriana Zarri utopicamente proponeva, all'oggi
irriconoscibile Michele Santoro di Samarcanda, che il salario dei
lavoratori fosse inversamente proporzionale al grado di
responsabilità e alla qualità del lavoro stesso.
PRIMA DIMORA di Gaetano Altopiano
Scegliere di vivere indifferentemente in una nazione o in un’altra, magari anche a latitudini proibitive o in metropoli decadenti, e non patire. Un bel vantaggio. E’ una cosa che si impara da giovani e che va esercitata, e a cui per giunta non tutti riescono a abituarsi. La maggioranza parte solo perché “sa” che deve tornare ed è quello il vero obiettivo: il ritorno alla terra nativa è un refrain di cui pochi riescono a liberarsi; e chi è avanti con gli anni, o chi si è spostato pochissimo non ha alcuna speranza, difficilmente cambierà residenza senza subire effetti importanti. La differenza consiste nel modo in cui si considera la prima dimora, se come “terra” o “luogo”. L’osservazione diretta mi suggerisce il successo di chi considera casa propria un “luogo”: nessun rito sacrale al rientro, né cerimonie di ringraziamento alla madre terra, solo calze spaiate, valigie mai disfatte del tutto, monete disseminate, fialette di vitamina D sparpagliate sul comodino.
mercoledì 21 dicembre 2016
PICCOMU MI DISSI di Francesco Gambaro
Il
Papa (chiddu) parla argentino io parlo come mi pare eppiace sono un
tratturista sono un pezzo di niente non sono un catone che ci posso
fare questo sono e a lei che è il padrone e a lei che è mio
servitore ripeto piccomu mi dissi ho fatto quello che era giusto
fare. (allistimuni) (pisciami fora 'a jurnata).
martedì 20 dicembre 2016
BEVODUNQUESONO 2 di Gaetano Altopiano
Un’aziendina fondata da giovanissimi imprenditori che aspirano unicamente al politicamente corretto e al biologico a tutti i costi ha messo in commercio una novità assoluta per il mondo enologico e i per suoi appassionati: la bottiglia vuota. Insieme è fornito un kit che contiene un bel grappolo d’uva, un piccolo torchio, un catino, una botticella di rovere, e tutti gli altri ammennicoli per produrre il vino da soli in casa propria e a rischio zero. Visto il successo già si parla di un kit per la produzione del latte.
MI VACA MEO VECIO PROFILO (a Rossella Valentino) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/20/mi-vaca-meo-vecio-profilo-a-rossella-valentino/
lunedì 19 dicembre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (62) di Francesco Gambaro
Stanco
di dovere infilare spinotti, del caricabatterie della macchina
fotografica del cellulare del profilattico riscaldante, del router
dello scaldino dell'hardfish di mcdonald's dell'organetto di barberia
yamaha della sveglia dello spazzolino rotante, stante che è
progredita in lui una malattia compulsiva che gli fa vedere spinotti
dasppertutto e soprattutto da infilare dappertutto, JFK decide di
togliersi la luce.
domenica 18 dicembre 2016
NECROPOLI di Gaetano Altopiano
Le volte che uno dei miei figli si ostina ad avere una visione diversa dalla mia vado in escandescenze. Ieri sera, ad esempio, a proposito di una discussione teologica. Temendo di esagerare, però, ho cercato conforto in pareri che potevano legittimarmi. Subito ho pensato a Chodasevic e alle parole del letterato Brjusov il quale in Necropoli rammenta: “non amare, non compatire, adora solo te stesso senza limiti”. E allora quasi mi sono convinto di avere ragione. Per togliermi ogni dubbio ho voluto rileggere il passo di quel libro ma mi imbatto nella parte in cui Chodasevic riferisce le parole del suo padrone di casa, il quale: “è molto probabile che per ogni domanda esistano, non una, ma alcune risposte veritiere, forse anche otto. Affermando una sola verità noi ne trascuriamo sconsideratamente altre sette.” E mi sono convinto del tutto.
GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (7) di Francesco Ganbaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/18/giganti-della-canzone-italiana-7/
sabato 17 dicembre 2016
NON PER SOLDI di Francesco Gambaro
SONO STANCO DI PAGARE BOLLETTE
e per questo il miliardario JFK si suicidò
e per questo il miliardario JFK si suicidò
IL SECONDO ERRORE di Gaetano Altopiano
Nell’attesa, procediamo a tentoni e cerchiamo di riconoscere i nostri simili laddove ci auguriamo che ce ne siano. Pensiamo di averne individuato l’odore in un bar di San Lorenzo, di averne percepito la voce all’angolo tra via XX settembre e via Carducci, decriptato il messaggio in codice trasmesso da un occhio benigno dentro il Forum di Brancaccio. Ma riconoscersi in questo buio cosmico è quasi impossibile. Nessuna speranza per me e per i miei compagni: esitiamo. “Quello che veramente ami rimane, Paquin, il resto è scorie. Quello che è veramente tuo non ti sarà strappato, quello che veramente ami è la tua vera eredità. Il mondo a chi appartiene, a me, a loro, o a nessuno? Oh Paquin Paquin, qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella differenza che fece esitare”.
GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (6) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/17/giganti-della-canzone-italiana-6/
venerdì 16 dicembre 2016
GIGANTI DELLA MUSICA ITALIANA (5) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/16/giganti-della-canzone-5/
giovedì 15 dicembre 2016
NEGAZIONI di Gaetano Altopiano
Non riesco a accostare la figura di Giovanni Paolo Sartre a quella di Roberto Dylan; mi pare di tentare una diagnosi disperata volendoli affratellare a ogni costo solo perché entrambi hanno rifiutato “la consegna” di un premio come il Nobel per la letteratura, uno nel ‘64 l’altro proprio adesso (Pasternak a parte). Sono le azioni però che rivelano gli uomini e non i programmi, e anche il coraggio di un uomo - persino del più temerario - viene testato per la prima volta solamente in guerra, e se un Francesco Bacone o un Sun Tzu hanno speso la loro luminosissima intelligenza creando categorie di comportamenti umani “prevedibili” lo hanno fatto per noi: a parità di effetto, dunque, parità di causa. E non importa se il primo lo ha rifiutato davvero e il secondo alla fine lo ha ritirato mettendoci la faccia di Patti Patrizia Smith. E’ comunque una negazione del premio.
GIGANTI DELLA CANZONE (4) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/15/i-giganti-della-canzone-4/
mercoledì 14 dicembre 2016
I GIGANTI DELLA CANZONE (3) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/14/i-giganti-della-canzone-3/
martedì 13 dicembre 2016
GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (2) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/13/giganti-della-canzone-italiana-2/
CERVELLI di Gaetano Altopiano
La parte più bella e istruttiva del romanzo Zero K di Don DeLillo - mi pare l’inizio della seconda parte - è il dialogo del cervello di Artis Martineau con un non ben identificato interlocutore che si suppone possa essere uno dei medici di Convergency (la società che si occupa dell’ibernazione dei corpi) che ne segue il traghettamento. L’organo ormai crioconservato e separato dal corpo giace in una delle capsule di vetro sepolte nei sotterranei del centro di quell’organizzazione e si pone delle domande. Non solo chi è - dove si trova - cosa gli stia succedendo, ma anche “cos’è” e “cos’è” in relazione a un corpo che non lo contiene più. In relazione alla mancanza di un’esperienza sensibile e alla sopravvenuta inevitabile impossibilità di comprendersi se non come intelligenza in sé. Ma il cervello di Artis Martineau curiosamente non riesce a concepirsi se non come cervello di Artis Martineau, e il tentativo di Don DeLillo di immaginare la possibilità che un cervello separato dal corpo diventi un cervello perfetto fallisce istruttivamente.
lunedì 12 dicembre 2016
GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (1) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/12/giganti-della-canzone-italiana-1/
domenica 11 dicembre 2016
C'ERANO UNA VOLTA LE CARTOLINE (a Cochi e Renato) di Francesco Gambaro
Esse
vivevano di luce propria. Di lucido proprio. Esse si chiamavano per
nome: Cartolina. Esse avevano lo stesso nome. Di nome proprio. E si
offrivano ai clienti dei paesaggi di montagna e di mare. Esse si
vendevano in edicola, per strada, al bar di Casal Utveggio. Anche a
Casal. Anche per Santa Rosalia. Esse si potevano inviare senza
raccomandata. Senza essere raccomandate. Esse venivano imbucate.
Proprio così. Ma in quel buio non perdevano il colore. Uscivano
dalle buche non come cartelle esattoriali. Esse uscivano di nuovo a
colori. Più che mai. Come la televisione a colori. Esatto. Queste
erano le cartoline. Che erano tutti i giorni così. Non solo a
Natale. Esse contenevano anche un regalo. Nel retro contenevano tra
destinatario e mittente, parole. Un bel regalo. Anche a Natale.
Parole lucide. Come di carta cartolina. Esatto. Esse non avevano
sotto le parole le righe. Certe volte sì. Esatto. Alcune parole
cadevano in verticale, altre poco poco oblique. Così e così. Certe
parole tremavano come le mani dei bambini o dei vecchi. Dei vecchi,
non tutti però. E dicevano saluti. Non dicevano, noi stiamo bene e
voi come state. Dicevano soltanto, Saluti. E' in quel momento che si
rigirava la cartolina. Lucida, luccicante. E leggevi in
sovrimpressione, saluti da Barcellona. E allora capivi che avevano
copiato. Come bambini impreparati. Le rivoltavi cercando il bollo sul
francobollo, e scoprivi che questi bambini. Bambini impreparati e
bugiardi. A Barcellona non c'erano mai stati.
sabato 10 dicembre 2016
E LA TERRA PARTORI' POLTRONE di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/10/e-la-terra-partori-poltrone/
BEVODUNQUESONO di Gaetano Altopiano
Di lui, più di ogni cosa, amo l’eleganza e la puntualità della proposizione che riesce a imbastire, che è inarrivabile. Mi piacciono le sue argomentazioni precise, la sua conoscenza della filosofia oltreché i modi superiori e la ferrea indulgenza mostrata nei confronti di chi la pensa diversamente ma mostri segni inequivocabili di intelligenza. Ma anche la cortesia tipica del gentiluomo con la quale mi invita a essere un virtuoso, nel caso, nella specifica materia del bere: convincente come pochi. Seppure anche un irriducibile come il mio amato Sir Roger Scruton ha dovuto ammettere la bontà di una sbornia: “Qui, tuttavia, devo temperare le mie osservazioni e ricordare che la qualità dell’ubriachezza dipende anche dalla qualità della coscienza che in essa si dissolve.” A pagina 178-179-180 di Bevo dunque sono, Raffaello Cortina Editore.
venerdì 9 dicembre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (61) di Francesco Gambaro
A
84 anni pensò alla sua prossima evanescenza. Si immaginò senza un
braccio, continuò a guidare senza il sinistro, morto sulla coscia
sinistra. Incrociò un paesano e alzò il braccio fasullamente morto
per salutarlo. Si morse i denti. Allora pensò di essere senza più
denti, sdentato, alle prese con un crastone affumicato che, invece,
gli si sciolse in bocca senza bisogno di essere addentato. Provò a
essere zoppo ma si procurò applausi in teatro. Si finse cieco e una
luce, una luce che non aveva mai visto gli si parò davanti: era
Maria, la donna dei suoi sogni mariani. Senza dare tempo al tempo JFK
saltò di gioia sui suoi 84 anni e fu subito Singin' in tre rain.
giovedì 8 dicembre 2016
REALTA’ di Gaetano Altopiano
Qualcuno teorizza una deriva epocale: siamo così lontani da quello che ci succede da avere la convinzione che quello che ci succede stia accadendo, sì, ma in un mondo che non è il nostro. Come se avendo un’emicrania la percepissimo solo concettualmente, mentre l’effetto doloroso avverrebbe nella testa di un nostro doppio in una dimensione parallela. Avremmo, incredibilmente, una percezione della realtà “dettata” dai sensi di qualcun altro. Lo stesso dell’effetto garantito da un anestetico in un intervento chirurgico: ci si ritrova depilati, disinfettati e con una cerniera di bei punti allineati senza averci capito un cazzo. Questa teoria meriterebbe approfondimenti che non mi sento di fare in questo momento, dato che sto seguendo lo spoglio del referendum. Sembra abbia vinto il no, ma in effetti ha vinto il sì.
ALTRI INCIPIT (Fedor Sologub) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/08/altri-incipit-fedor-sologub/
mercoledì 7 dicembre 2016
MERDA NOVA di Francesco Gambaro
Sento Mieli, sento il goliardo Mentana che fa battute grevi alla Sardoni, sento il ciuffo canterino di De Bortoli, il ciuffo frocesco di Freccero, il non continuare a sapere parlare italiano ma solo cremonese di Franceschini, il ricordo di Berlusconi, taglio, e penso che abbiamo bisogno di merda nuova.
UN TANGO (anche a dicembre) di Francesco Gambaro
Si
sente un tangeros, anche se non sa ballare il tango né sa dove
andarli a trovare i tangeros. Eppure, in un angolo della della sua
memoria, ci sono, precisamente sotto i portici di via Mariano Stabile
che poi, verso il mare, defluisce verso la Galleria Instabile dei
suoi amici pittori e ceramisti e facitori di tende con finestrelle
che alzano rettangoli di gonna al vento e donano, ah già, luce alla
casa. Si sente che vuole stare bene a tutti i costi e si infila un
dito in testa, l'unghia è vecchia, sembra un lp rigato piuttosto che
una chiavetta SP da 8 GB, suona qualcosa ma non si capisce, rumore,
saranno i Gardel Volver's? Sarà che stanotte voleva ripassarsi la
lezione della sua prima serata alla scuola di tango? Poi pensa altre
cose, la sua testa va verso altri desideri, un'arancina al burro, qui
sotto c'è Alba, altra notte, altra musica.
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UNA MILONGA di Gaetano Altopiano
La stanchezza ha avuto il sopravvento e le sue condizioni psicofisiche si sono aggravate. Le invettive di lei, alle 20 e 30, lo hanno stremato: ora è disposto a tutto pur di non sentirla più lamentare, anche all’estremo sacrificio. Lucidati le scarpe, gli comanda. E lui corre. Tira fuori lo smoking. Subito subito. Il mio costume plissettato, le scarpette, corri corri. Ci mangiamo una cosa al volo, occhei? Occhei. E’ tanto felice di non sentirla più blaterare che ride e comincia a parlare da solo - dunque - si sente su di giri come avesse preso una sbronza. Che gli succede? Ha cominciato il conto alla rovescia: arriverà un momento in cui tutto scomparirà – Tango, Milonga, o Vals criollo - e lui finalmente morirà al centro della sala.
martedì 6 dicembre 2016
domenica 4 dicembre 2016
APPARTENENZE di Gaetano Altopiano
Quando si parlava del rispetto delle tradizioni ero sempre combattuto. Ne sa qualcosa mia madre. Forse perché ne avrei salvate alcune mentre di altre avrei fatto benissimo a meno. Forse per la mia naturale tendenza a sgusciare dall’incastro dell’appartenenza: ero, e sono, un membro della comunità in cui vivo, è innegabile, eppure non me ne sentivo e, tutt’ora, non me ne sento parte. Il rispetto delle tradizioni ha però una sua importanza - le feste del paese, la mietitura, il matrimonio (solo per citarne alcune) - che credo di aver finalmente apprezzato dopo un paio di buone letture e con la conquista del privilegio degli anni. Avere qualcuno che ti insapona la schiena, ad esempio, è impagabile.
sabato 3 dicembre 2016
venerdì 2 dicembre 2016
IL SACCO DI VIA MAQUEDA A PALERMO di Francesco Gambaro
Secondo
un mio amico e me, via Maqueda doveva tornare a essere la via più bella di
Palermo, il suo centro naturale. Sfumando verso la Stazione , verso le sue
montagne collinari e Gibilrossa che guarda il mare. Un manipolo di criminali
comunali, al soldo di chi sgoverna questa città nella apatia generale chiamata
in codice ZTL, da primavera a inverno, svendendosi all’amore per i cani alla
cacca dei cavalli e all’odio indifferenziato per commercianti e sopravviventi
umani, ne ha scacciato vita e respiro. Gli zombie, infatti, non hanno bisogno
di emettere o aspirare aria. Basta loro correre in mutande per rinvigorire il
tono muscolare, per assecondare il niente del loro corpo antitesticolare in una
città ospitale, che aspira a diventare idillicamente una pista ciclabilmente
ipocerebrale. Via Maqueda sta al sacco di Palermo (allo strasburgo), come una medina
senza cuore. Tutto intorno è traffico.
STORIE DEL SIGNOR JFK (60) (Hasta la victoria siempre) di Francesco Gambaro
JFK
ferma l’auto all’altezza della fermata dell’autobus. La solita. Quella dalla
quale aspetta ogni giorno alle 14 e 15 il 118 che lo riporta a casa. Piove,
esattamente perché è il primo venerdì della settimana di dicembre. Infatti
dovrebbe avere l’ombrello e il grazioso cappellino di ceramica, dono
prenatalizio di una graziosa alunna di nome Piccola Kety. La più brava del suo
corso di Scolpir Palpando e dell’intiero Istituto di Belle Arti. JFK abbassa il
vetro lato passeggero per chiamarlo ma tra la folla di futuri occupanti la
linea 118, stazionanti e stazzonati sotto la tettoia di cortesia, non individua
nè fedele ombrello né cappellino manufattu né, in buona sostanza, se stesso.
Controlla l’orologio, le 14 e 14, osserva il cielo, proprio la stessa pioggia
del primo venerdì di dicembre. Abbia sbagliato anno? Impossibile. A 84 anni JFK
ha sviluppato una precisione maniacale e pedante che gli impedisce perfino di
andare diversamente di corpo se non nello stesso water, come un orologio, in un
unico conatus festeggiato mentalmente con hasta la victoria siempre. Perciò
pensa piuttosto a un indebolimento della vista, ridirige gli occhi alla fermata
e con tempestiva premura, sono già le 14 e 15, profferisce la pargoletta
magica: Dài, Sali! E JFK sale.
L’ERRORE di Gaetano Altopiano
Non passiamo le nostre giornate a chiedere l’identità di ognuno che ci si presenta. Se dovessimo aprire a uno sconosciuto, però, riusciremmo immediatamente a classificarlo come tale senza bisogno di controllargli i documenti. Ci basiamo sulla memoria. Solo su dati certi quindi, mai su impressioni. Quando incontro mia moglie per casa, difatti, sono certo che quella donna sia lei, non ne ho l’impressione, e lo stesso vale per gli altri parenti e per quelle tre quattromila persone che considero conosciute: ho un ricordo preciso del volto di ciascuna di loro, che, replicato, me ne permette “l’identificazione”. Ma in un supermercato mi capita di fallire in modo clamoroso questo processo di convalida: abituato a vedere un tale dietro il vetro di uno sportello postale, fuori contesto non lo avevo riconosciuto. Ne avevo un ricordo viziato, concludo, dalla cornice in cui abitualmente lo individuavo. Come classificarlo allora? Non tra gli sconosciuti, perché sconosciuto non era. Non tra i conosciuti, perché di fatto non l’ho riconosciuto. Non frutto di errore della memoria: inammissibile più delle altre due deduzioni. Perché ammettendo come possibile l’errore - secondo logica - ammetterei come impossibile la sua mancanza. E in tal caso dovrei modificare il mio comportamento. Poiché, siccome è tipico dell’errore l’impossibilità della sua conoscenza se non a posteriori, non potrei sapere mai come e quando mi si presenterebbe e nei confronti di “chi” avverrebbe, ma solo che ora “potrei aspettarmelo”. Sempre. Ne consegue che sarei costretto a convalidare di volta in volta l’identità di ognuno che si presenta per essere certo di non sbagliarmi. Compresa quella di mia moglie e dei miei figli. Il che è inammissibile.
giovedì 1 dicembre 2016
IL RE DEI PESCI (a Carola Susani) di Francesco Gambaro
Il re dei pesci è mia figlia, che disegna pesci dove le capita.
Non soltanto sui muri, nella sua testa. La sua testa è la testa dove le capita
di ricordare di disegnare pesci. Alle volte, però, non le capita di avere la testa.
Lei disegna pesci lo stesso fuori di testa. Il re dei pesci è mia figlia che
disegna teste nei suoi pesci, alle volte le capita di trovarseli già disegnati,
altre volte li ridisegna, fa piupiu muta dal marcipaiedi e quelli pesci
guizzano dal cemento e fanno piupiu muti pure a lei. Il re dei pesci spesso non
ricorda di essere il re dei pesci (mia figlia), e allora pesca niente, un re
non sa, non può disegnare, non può pescare, un re è un re, se è un re dei
pesci. Non è masculo, non è feminulo non è fifìgliulo. Spesso i pesci prendono
in giro il re dei pesci. Muori, gli dicono, quando hanno l'amo in gola e stanno
morendo di risate. Pesci coraggiosi. Un re dei pesci è magnanimo, non butta non
prende e non pesca pesce. Un vero re dei pesci sogna di essere una figlia di un
padre che sogna di avere una figlia che è il re dei pesci. Accetta pure di
essere un rivolo di Frascati e se nella casa che abita non arriva più un goccio
di vino, mia figlia pensa: quando arriva il Re dei pesci? E comincia a
preoccuparsi.
mercoledì 30 novembre 2016
LA PIANISTA di Gaetano Altopiano
INTRAMOENIA (Vittorio Sermonti) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/30/intramoenia-vittorio-sermonti/
martedì 29 novembre 2016
TERRA E MARE di Francesco Gambaro
Dovremmo aspirare a
non avere più casa. Né centri. Né aspettative ricoverarie. Non
sono per la guerra. Ma una guerra la dobbiamo purfare non aspirando
ma per respirare. Non facendo le cose giuste ma sfidando il
nonsipuofare. Il sociale mi interessa meno del malsociale. Ne avessi
la forza raggiungerei controcorrente le spiaggie della Libia
percominciare. Da questa parte del mondo le mie orecchie hanno smesso
di essere orecchie. Sono defunte, miserabilmente,
otorinolaningoiatricamente. Non sono per la colonizzazione però
vorrei mettere un punto a questo viaggiare verso la civilizzazione,
affogare nel mistero del sì e del no mi fa starmale, piuttosto il
buio nero del mare, questo sconosciuto che l'Occidente impropriamente
chiama Terra.
“La domanda
cruciale è dunque questa: qual'è il nostro elemento? Siamo figli
della terra o del mare?” Carl Schmitt
lunedì 28 novembre 2016
CAPO D'ORLANDO (a Rossella Valentino)
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/28/capo-dorlando-a-rossella-valentino/
COGLIONI 14 di Gaetano Altopiano
Quando ci riferiamo a qualcosa scendendo troppo in particolari è come ci fossimo immersi negli abissi marini: se non si è all’altezza (altezza?) è meglio evitare. Solo il sommozzatore esperto saprà risalire districandosi più o meno agevolmente a rivedere la luce. L’inesperto rischia davvero grosso: è smascherato immediatamente. Il problema di ogni discesa, infatti, non è tanto immergersi ma riemergere senza danni. E’ in quella fase che si rischia un’embolia gassosa, se non si effettua una corretta decompressione non rispettando i tempi di attesa di risalita che solo un esperto conosce. E’ nella fase di ritorno che ci aspetta il nostro interlocutore: sputato il particolare dobbiamo dimostrare di conoscerlo andando fino in fondo. In caso opposto meglio tenersi sul vago, o, ancora meglio, evitare persino di indossare la muta. Mi riferisco a quelli che declamano il primo verso di una poesia perché è l’unico che conoscono.
domenica 27 novembre 2016
COME DISTRARRE IL KILLER CHE TI VUOLE UCCIDERE di Francesco Gambaro
Appena piombato in
casa alle 22, prima che dalla sua pistola parta il colpo destinato al
tuo cuore, pregarlo: solo un momento. Aprire l'armadietto dei
medicinali, prendere la scatola del Cumadin, domandarsi oggi cos'è,
24 mi pare, allora una pillola e un quarto. Poi ingoiare e aspettare.
Se il killer esita, confortarlo con questa affermazione: le cose da
fare sono quelle che più ci stancano. Pensi, io questa pillola la
dovevo prendere 5 ore fa. Fraternizzare. Invitare a gustare neonata
viva delle tirreniche praterie di mare, condita con salicornia.
Stappare un Glicine della ditta Corvo spruzzato di polvere pirica
allo zafferano e aspettare. Quando il vostro killer sarà meno crudo
della vostra neonata e bencotto del vostro vino, quando avrà
adagiato la testa sul piatto, recuperate la sua pistola e sparatevi
al cuore. Curandovi poi di riporla nella mano incolpevole del vostro
killer distratto.
sabato 26 novembre 2016
IL SILENZIO DELL’ARPA di Gaetano Altopiano
Ho deciso di abbandonare un mio studio sul suono di un’arpa quando ho scoperto che non sarei arrivato mai da nessuna parte. Le trattazioni in materia sono decine e tutte dimostrerebbero l’insensatezza di quello di cui mi ero convinto: che il suono non è una qualità ma una proprietà. Mi ostinavo a voler dimostrare che il silenzio fosse una proprietà dell’arpa proprio per il fatto che il suono non lo era. Se un’arpa è fatta di corde, infatti, piccole viti e una struttura portante che regge il tutto ma non è fatta di suono (solo se pizzicata ne produrrà) vuol dire che è fatta di “proprietà” ma di nessuna “qualità”. Farla suonare è indubbiamente un’alterazione premeditata del suo stato naturale: la rimuove dal silenzio in cui giace e converte tutte le sue proprietà nell’unica qualità possibile per un’arpa, e per ogni strumento musicale in genere. Il suono. Che in mancanza di questa alterazione (nel caso dell’arpa far vibrare le corde) non potrebbe esistere. Il silenzio di cui è fatta è interrotto da quest’azione e si ripresenta immediatamente non appena l’azione è interrotta. Il silenzio è dunque una sua proprietà residente.
SCUSATE SE CERTE MATTINE di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/26/scusate-se-certe-mattine/
venerdì 25 novembre 2016
INTRAMOENIA (Vittorio Sermonti) di Francesco Gambaro
T.
Lucrezio Caro. Senza accendere un contenzioso sull'ingente
materia, mi intesterò a rileggere un arduo passo del De rerum
natura di Lucrezio, capolavoro multiplo e sconfinato, pedagogia
del sublime materiale. Gli antichi – sbalorditi – non trovarono
di meglio che accreditare il loro sbalordimento alla pazzia
dell'autore; noi, chiamati in causa con il tu che ci interpella come
scolari tardivi, possiamo permetterci il lusso di accreditarlo anche
alla nostra. Libro II, versi 1139-1145
…....................................................................................................................
Giustamente
dunque le cose periscono quando estenuate / da deflusso soccombono
tutte agli urti esterni, / poiché in vecchiaia il cibo infine viene
a mancare / e i corpuscoli martellanti dall'esterno non cessano di
stremare / alcuna cosa e di vincerla ostili con gli urti. / Così
sunque anche le mura del vasto mondo / espugnate d'attorno
crolleranno corrose in rovina.
Vittorio
Sermonti, Il vizio di leggere, Rizzoli, 2009
CHE TEMPO CHE FA (PongPing) di Gaetano Altopiano e Francesco Gambaro
Ab)
Ciò
che concedo ai personaggi che entrano nella mia vita (molti dei quali
mai invitati a parteciparne) è molto più di quello che dovrei dare
e si chiama “il tempo che fa”. Proprio come quella trasmissione
televisiva. Questo perché soltanto in apparenza mi è concessa una
scelta: in realtà subisco i capricci del tempo e non soltanto
secondo l’eufemismo meteorologico. Appena aperta la porta, alzata
la saracinesca o solo scostato la tenda, uomini e donne di ogni età
si precipitano a invadere il mio “posto macchina” o i miseri
metri cubi d’aria a cui avrei diritto in solitudine senza che io
possa minimamente sottrarmi. Decine di Littizzetto mi cacano il cazzo
o cercano di essere interessanti ai miei occhi per uno scopo che non
mi è chiaro. Decine di Fabi Fazi cercano di indottrinarmi, senza,
proprio come quel Tale, averne né titolo né esperienza. Mi figuro
che agli altri non accada diversamente. Ma allora, chi è la
moltitudine?
Ba)
Dicevamo
l'altro giorno dell'espessione monocrama di Nicolas Cage, quanto mi
scrivi mi riporta alla risata monocrama di Fabio Fazio quando punta
gli occhi sulle gambe da tavolo della Litizzetto. Ripetuta 1000 volte
la stessa espressione fa pandan 1000 volte con la boccaccia della. Mi
chiedi chi è la moltitudine? Semplicemente non so. Forse erano Fazio
e la Litizzetto che, facendo strame di se stessi, ridendo in se
stessi, fagocitavano “quel che resta della nostra gioventù”.
Endrigo e i Sex Pistols, tutto per loro era il resto di niente. Ma il
tempo (Litizzetto-Fazio) non fa, è. E noi nell'esserci del tempo,
aprendo le tende alla luce e al buio, alle tempeste solari e alla
morte per acqua, ci invidiamo e ci rincorriamo essenti assenti.
giovedì 24 novembre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (59) di Francesco Gambaro
Un colpo mi prende,
dice JFK, un colpo mi prende quando mi guardo allo specchio e capisco
che lo specchio è il mio nemico dichiarato. Vedo, dice, ti vedo,
dice JFK dello specchio. Allora mi caccio nell'oltrebagno, risponde
JFK deglutendo, faccio tutto io, faccio i tuoi bisogni e i miei.
mercoledì 23 novembre 2016
INTRAMOENIA (Salvador Dalì) di Francesco Gambaro
Perché
un film appaia prodigioso ai suoi spettatori, il primo elemento
indispensabile è che questi ultimi possano credere ai prodigi che
vengono loro svelati. L'unico modo è smetterla, con il ripugnante
ritmo cinematografico attuale, con questa retorica convenzionale e
noiosa del movimento della telecamera. Come si può, anche per un
secondo, credere al più banale dei melodrammi, quando la telecamera
segue l'assassino dappertutto in travelling, finanche dentro i
bagni dove va a lavarsi il sangue che gli macchia le mani? Questo è
il motivo per cui Salvador Dalì, prima ancora di cominciare a girare
il suo film, si preoccuperà di immobilizzare, di inchiodare la sua
telecamera al suolo con dei chiodi come Gesù Cristo sulla croce. Chi
se ne frega se l'azione fuoriesce dall'inquadratura! Il pubblico
aspetterà angoscioso, esasperato, ansioso, ansimante, scalpitante,
estasiato, o meglio ancora, annoiato, che l'azione torni in campo. A
meno che immagini belle e del tutto estranee all'azione lo
distrarranno sfilando davanti lo sguardo immobile, incatenato,
iperstatico della telecamera daliniana restituita finalmente al suo
vero oggetto, schiava della mia prodigiosa, impietosa immaginazione.
Salvador
Dalì, La droga sono io, Castelvecchi 2007
L’ESAME di Gaetano Altopiano
Nelle ultime ventiquattrore mi sono addolcito. Non ci speravo più. Questo medicinale fa miracoli e l’ansia e la tachicardia da esame - puff - sono spariti. Come non fossero mai esistiti. Ringrazio il medico e la mamma che si sono tanto preoccupati. Sono così remissivo, adesso, e aperto alla trattativa che non resisto e mi presento all’appuntamento con abbondante anticipo. Mi sento veramente a posto. Ho studiato. Sono preparato. Conosco la materia. Alle otto apre l’ambulatorio e io, ovviamente, sono il primo: alzi la manica del maglione, sentirà solò una punturina.
martedì 22 novembre 2016
DIARIO MATRIMONIALE di Francesco Gambaro
Ora
quando mi avvicino scappi. Non credere, succede anche a me. Il
materasso acquatico ha reso sguscianti i nostri corpi. Una scrollata
di libertà separare le nostre mani, scivolare agli angoli delle
coperte. Il matrimonio è perfetto. Sento i tuoi sogni rumorosi,
piccole pallottole di ceramica. Ti guardo ma non ti guardo. Appunto,
ti sento. Quanti anni su questo letto. Eppure in questo momento
nessun ricordo. Presenti e assenti. In qualche modo ammassati uno
sull'altro. Gli occhi tuoi ficcati nel cuscino, i miei a cercare le
stelline fluorescenti sul tetto della stanza delle bambine qualche
trentennio fa. Oppure i tuoi spalancati nel buio, luccicanti senza
luce riflessa. Lune senza sole. Dune palpebrali, Domani porterò il
portachiavi per cambiarlo. Domani mi dirai, oggi il caffé è proprio
brutto. Nell'armadio a muro gli stivali e gli impermeabili si
agitano: quanto devono ancora aspettare il cambio di stagione? In
effetti è freddo fuori. Un po' anche sotto queste coperte in cui
nascondiamo i nostri corpi. Desideri? Mi dici, che desideri? Il
traguardo è stato raggiunto. Premorire non ci affatica più di tanto
e scaccia la paura della morte. Il farmaco che avevi brevettato
funziona, amore amore lieto disonore. L'orizzonte è in
discesa. Tutto quello che può accaderci è esattamente tutto, il
mondo è tutto ciò che accade. Tu pensi con la testa, io con lo
stomàc. Vediamo che non siamo più tanto simili, però più uniti.
Oltretutto stiamo ancora bene in salute e la vista ci aiuta. Non è
una caduta libera, è una fuga. Obladì, obladà.
lunedì 21 novembre 2016
UN GRIDO E' STATO UDITO IN RAMA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/21/un-grido-e-stato-udito-in-rama/
DUE CANI E UNA CAPANNA di Gaetano Altopiano
Ieri il mio cane non smetteva di farmi le feste. In genere mi si avvicina, mi sta tra le gambe un paio di minuti e poi, siccome è un cane, a meno che non gli lanci un boccone, scappa via per i fatti suoi a cacciare lucertole o a stendersi al sole. Ieri invece non smetteva di fare il cascamorto: sembrava avesse incontrato qualcuno che non vedeva da tempo. Ma non era così. Ci eravamo visti la sera prima. Riferisco il suo insolito “stato d’animo” a un elemento intervenuto nel frattempo nella nostra relazione, qualcosa che ho supposto ieri ci rendesse più vicini che in passato: il mio essere più “animale” del solito. Tornavo da una passeggiata impegnativa infatti, ero in un bagno di sudore.
domenica 20 novembre 2016
DON TRICOMI di Francesco Gambaro
Don Tricomi fu professore a me, negli anni liceali del Don Bosco. Di lui ricordo la tunica oleosa brillantata di forfora, le parole nevvero e negletto, e l'abitudine di prendermi a braccetto quando doveva rimproverarmi il mio cattivo latino. Per Don Tricomi, per il bene che gli voglio nei secoli dei secoli, ho tradotto dal latino, nel mio italiano cattivo, un verso del Cantico dei Cantici, in odio a quel diavolo passatista di Cesare Angelini. Introduxit me rex in cellaria sua – Il Re mi fotte nella sua fica.
sabato 19 novembre 2016
L’AURORA di Gaetano Altopiano
STORIE EL SIGNOR JFK (58) di Francesco Gambaro
Il periodo più bello è quando cadono le croste, quando piovono
come le rane di magnolia. JFK a lungo ha sofferto di eczema microbico. Per
lunghi mesi il suo corpo è via via via via via diventato un plastico dei campi
flegrei. Sino al fuoco dell'acme. Poi, quasi improvvisamente, la carne, viva in
eccesso, ha maturato la sua stessa consunzione. Le croste. Belle da vedere ma
non da toccare. A una a una, talvolta a due a due, talvolta tante in un solo
barlume, hanno cominciato, incredule spiazzate, la discesa dal monte Sinai. JFK
le vede cadere e squittisce con jingle di piacere quando le sente
atterrare. Poi tante, poi tutte, sino a riempire l'intera e unica stamberga in
cui vive. Le croste si depositano sul pavimento come i diavolicchi sulla glasse
dei dolci di mandorla siciliani. A 84 anni JFK ha proprio voglia di carnevale,
di festeggiare, di ballare, di liberarsi della calce delle creme, degli
indumenti bianchi, dei fantasmini incolori, dei suoi 84 anni leggeri.
Improvvisa una danza cheyenne, un tiptap fredastaire a piedoni nudi che
rispondono sonori e croccanti, palloncini di ciungam, ossicini del lobo
dell'orecchio quando mani istruite li fanno scrocchiare. In cortocircuito le
stelle di San Lorenzo. Piove manna. A Sant'Antonio non ci potette l'acqua di
mare, pensa JFK, ormai all'ultima spiaggia. E l'uccello di JFK, sbalzato su e
giù come sulle montagne urali, se la ride.
venerdì 18 novembre 2016
UN GELSOMINO di Gaetano Altopiano
Dire che un gelsomino profuma intenzionalmente ma senza intenzioni è corretto. Il fiore profuma perché l’odore è una sua proprietà e non perché lo abbia scelto personalmente per uno scopo preciso, come invece potrebbe fare una donna per andare a un appuntamento. Il fiore vive intenzionalmente secondo un “disegno” che definiamo tale solo perché non riusciamo a trovare termini più adeguati: non conosciamo il modo corretto per giustificare la natura. Ma in tutta la sua esistenza, il gelsomino, non mostrerà intenzioni. Non avrà programmi per il futuro, non progetterà di mettere su casa, e non pianificherà mai l’agenda della settimana. Non aspirerà alla libertà di movimento perché non sa cosa sia: “libertà” e “movimento” sono compresi solo dagli esseri ragionevoli. Un tribunale, per esempio, non è un essere ragionevole e in teoria non dovrebbe comprendere concetti del genere su cui è chiamato a esprimersi, perché vive secondo un “disegno” che non prevede che lo faccia. Ma il tribunale è un uomo. Un tribunale dovrebbe assolvere o condannare intenzionalmente, ma senza intenzioni.
giovedì 17 novembre 2016
VI VOLEVO DIRE (Dylan) di Francesco Gambaro
Vi volevo dire, mamma e papà, che il terzo posto dove
posteggiate l’auto, da oggi è passo carrabile.
Vi volevo dire che oggi sono contenta, perché il vostro bob
dylan si è defilato in maniera perfetta dalla cerimonia del premio nobel. In
ginz e camicia bianca ha scritto che aveva già preso altri impegni. Quelli con
voi che venite prima di tutto. Vi volevo dire che sto andando a scuola,
Perdonerete questa bugia, oggi che il vostro bob è tornato nei vostri cuori?
COGLIONI 13 di Gaetano Altopiano
mercoledì 16 novembre 2016
IL TROFEO di Gaetano Altopiano
Non riesco a capire perché questa scena di caccia mi dia tanta inquietudine. Non sono particolarmente sensibile all’argomento e il quadro non ritrae che un gruppo di appassionati alle prese con la carcassa di un grosso cervo. E’ un olio dell’ottocento e viene dall’Inghilterra. Si intitola solo “The trophy”, facile da intuire. Il trofeo. Mi fermo sugli occhi di uno dei cani ritratti che fissa in modo particolare la preda, un Pointer forse: mi sembra incredibile, ma quel cane ha uno “sguardo”. Le bestie non hanno uno sguardo - e come potrebbero? - semplicemente perché non hanno una faccia. L’animale non si esprime se non con i versi tipici della sua specie o con spargimento di escrementi. Quella che conosciamo come “espressione” di un sentimento attraverso un atteggiamento del viso in loro non esiste. Qualcuno sostiene che il cane da caccia sia l’unico, tra tutte le razze, che riesca a comunicare il proprio sentimento al cacciatore avvalendosi di prerogative sconosciute agli altri cani perché fondate su un principio che solo quel tipo di bestia impara a comprendere: il rapporto fiduciario. Quel Pointer ha uno sguardo.
martedì 15 novembre 2016
lunedì 14 novembre 2016
DELIBERE di Gaetano Altopiano
Ciò che permette alle mie decisioni di essere finalmente deliberate, è il visto della mia convinzione di metterle in pratica. Non una passerebbe a questa fase senza quel prezioso “bene si stampi”. Almeno in linea generale. Attualmente però sembra che questa filiera si sia interrotta, e mi capita di vistare decisioni che non mi sono proposto. E questa sarebbe la terza volta. Mi spiego. In materia di politica estera, per esempio, stamattina scopro di essere totalmente a favore di Hillary Clinton senza aver mai messo piede in America o conoscere una parola d’inglese. E, cosa ancora più preoccupante, senza che me ne sia mai fregato un cazzo.
domenica 13 novembre 2016
sabato 12 novembre 2016
TRICOLOGICO ANODINO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/12/tricologico-anodino/
MCDONALD’S di Gaetano Altopiano
L’austerità con la quale mi si rivolge mi lascia basito. In modo favorevole però. E’ raro trovare mocciosi che siano in grado di prendere le distanze, e, soprattutto, che lo facciano in modo convincente, anche se ti stanno chiedendo un favore: suppongo provengano da famiglie dove prematuramente apprendono la vita militare; o sono fuoriclasse sputati dallo “scarto” produttivo - questo non è omologo - via. Decido all’istante di promuoverlo a un livello superiore nelle mie simpatie. Mcdonald’s di Piazza Castelnuovo, ore 20,30. Poi gli passo il sale.
venerdì 11 novembre 2016
IRONIA di Gaetano Altopiano
Potrei affermare con certezza quasi scientifica che esiste uno strumento in grado di confutare le proposizioni di Wittgenstein: l’ironia. Non lo faccio perché rischio di essere preso sul serio.
giovedì 10 novembre 2016
collo rosso di Francesco Gambaro
IL SOLE CUOCE IL COLLO MA NON
L’OSSO
L’OSSO E’ GLABRO NON E’
PELOSO
IL PELO E’ PIO SGRASSATO
PIGOLA
IL CONTADINO A FORMA DI
CATERPILLAR
NON SGRANOCCHIA PIU’ OSSO
IL FERRO GIALLO DEL
CONTADINOCATERPILLAR
INDICA LA STRADA NON INFINITA
AL BALLO MASCHERATO DEL
METASTASIO
L’ONISCO (ma non è Landolfi) di Gaetano Altopiano
In materia di metempsicosi ha una sua teoria precisa: nella vita precedente, per esempio, è certo di essere stato un porcellino di terra. Non ha problemi a schiacciare formiche infatti, millepiedi, mosche e ogni altro genere di animaletto che si incontra dentro le nostre case, ma quando s’imbatte in un porcellino di Sant’Antonio prova una tenerezza che può essere giustificata solo dall’affetto. Sentimento che ha dell’incredibile se il destinatario è un insetto, o un minuscolo crostaceo come in questo caso, e che riusciamo a provare solo verso i nostri simili o al massimo verso animali di una certa taglia. Animali che in qualche modo riusciamo a guardare negli occhi e dai quali sentiamo emanare un “calore” che rassomiglia al nostro: questa è la differenza. Quello che prova dunque è un impulso che non trova spiegazione se non in una “familiarità”. Che non essendoci, e non potendosi riferire al futuro, deve necessariamente riferirsi a una condizione precedente.
mercoledì 9 novembre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (57) di Francesco Gambaro
A
giorni alterni, JFK si sveglia con le mani alla Marisa Berenson o alla Jennifer
Lopez, alla Primo Carnera o alle nanette dei canguri del Vietnam. Tutti i
giorni le diverse mani disegnano uguale la spirale. Se troncate - al contrario,
chessò, del tronco di castagno - le mani di JFK non dimostrano gli anni che
hanno, né i giorni, solo la bruta perfezione extraemporale della Mano Madre.
martedì 8 novembre 2016
GENTILMENTE di Francesco Gambaro
Gentilmente, dissi,
ha notato che ho tolto gli abbaglianti quando ci siamo incrociati?
Gentilmente, disse, ha notato che ha arruotato mia moglie?
Gentilmente, dissi, ho visto volare sua moglie dallo sportello.
Gentilmente, disse, non lo avrà chiuso bene, ogni tanto le capita.
Gentilmente, dissi, e ha notato che diluvia? Gentilmente, disse, non
potremmo intanto toglierla dall'asfalto? Gentilmente, dissi, con
questo tempo? Gentilmente, disse, in effetti, venga dentro che
dovrebbe essermi rimasto del cordiale. Gentilmente, dissi, forse ci
schiarirà le idee. Gentilmente, disse, potrei sapere con chi ho il
piacere? Gentilmente, dissi il mio nome. Gentilmente, lui, il suo.
lunedì 7 novembre 2016
RI-EDUCAZIONE di Gaetano Altopiano
All’anarchico si rimprovera fondamentalmente una certa ignoranza: ecco perché il carcere per lui è veramente ri-educativo. Lì imparerà una buona volta la filosofia e la grammatica. Possibile che dica “Io” senza capire l’importanza di quello che dice? Possibile che dica “Io” pensando solo che se lo può dire vuol dire che è un uomo libero di piazzare una bomba, dimenticando che se lo dice riconosce anche di essere un uomo che si trova in un mondo di leggi causali universalmente vincolanti che glielo vietano? Non ha letto Kant. O magari scambia il presente indicativo del verbo “vietare” col presente del suo condizionale = vieterebbero. In carcere, però, potrà dare ripetizioni di fisica, dove sembra sia un esperto: “Nella fisica relativistica i diagrammi spazio-tempo sono spesso usati per rappresentare le interazioni tra particelle. Essi possono essere interpretati in termini di causa ed effetto solo quando sono letti in una sola direzione, per esempio dal basso verso l’alto. Quando vengono considerati come figure quadridimensionali prive di una direzione definita del tempo, non c’è un prima né un dopo e quindi nessuna relazione di causalità. Altrimenti l’effetto potrebbe precedere la causa.”
VIRTUAL REALITY IS A LITTLE BUTTERFLAY IN THE HAND di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/07/virtual-reality-is-the-little-butterfly-in-the-hand/
domenica 6 novembre 2016
LUOGHI DI SERIE A (la Grecia) di Gaetano Altopiano
“Paideia” è una parola intraducibile. Non ha, e non ha mai trovato corrispondenti in nessun’altra cultura che non sia stata quella della Grecia antica, da dove viene e dove significava molto. Tranne, forse, che nell’idea di “gentiluomo” espressa da Confucio nei suoi “Detti”. O, più tardi, nelle opere del Rinascimento italiano. Cercare di decifrarne il significato, o il background, come direbbero gli inglesi, oggi sarebbe un’operazione essenzialmente concettuale e senza risvolti pratici. Inutile, viste le nostre condizioni. “Paideia” - pressappoco - era la “via” attraverso la quale i greci apprendevano la bellezza (del mondo) e nel contempo la “via” attraverso la quale cercavano di esserne all’altezza realizzandola. La bellezza come scopo sociale. Impossibile pensare a un equivalente contemporaneo: non esiste. W.Jaeger riuscì a spiegarla compiutamente ma gli ci vollero tre volumi e quasi 2000 pagine. Ma era il 1934.
GIUBOTTO ROSSO di Francesco Gambaro
Ritorno al giorno in cui acquistai il giubbotto della mia vita. 5 esemplari, uguali, uno più bello dell’altro, tutti rossi, tutti della mia taglia. Ne comprai uno. Solo uno. Ritornai nel negozio dove l'avevo acquistato quando il primo cadde in disgrazia. Adesso era diventato una rivendita di tabacchi. Per la rabbia fumai una stecca di Camel senza filtro sino a una specie di saturazione asmatica. Una seconda volta dopo un paio di mesi, al suo posto un pollaiolo. Così a casa con tre polli che, anche se li ho sempre detestati, divorai in poco più di un'ora. Ritorno spesso sul luogo dove persi l'occasione, di assicurarmi la riserva di giubbotti rossi per il resto della vita. Praticamente ogni giorno. Resto però dall'altro lato del marciapiedi. Per l'intera giornata. La gente che mi cerca sa dove trovarmi.
sabato 5 novembre 2016
DUE COPPIE CHE BALLANO di Gaetano Altopiano
Riferendomi al corpo umano riesco a pensare a un’ossessione del movimento, ma non a un’ossessione della staticità. La seconda, in relazione alla prima, è indimostrabile. All’interno di uno stesso luogo osservo la coppia 1 di personaggi che balla: dopo un certo numero di minuti (x) non ho alcuna difficoltà a stabilire che i due sono “mossi da frenesia”. Cos’è infatti l’ossessione - quando è impulso - se non la persistenza di uno stimolo a fare qualcosa? Ma osservando la coppia 2, che, per l’identico numero di minuti (x) invece è rimasta volontariamente ferma, non potrò dire la stessa cosa, ossia che i due in questo caso siano “freneticamente statici”, poiché sarebbe un’affermazione falsa. E’ contraddittoria. Né potrò dire che nel tempo x siano ossessionati dalla staticità. Perché non ne ho la prova. Per raggiungere un risultato (il risultato è dimostrare entrambe le cose) la coppia 2 dovrà rimanere ferma per un tempo maggiore di quella che ha ballato, giacché l’x che andava bene per la coppia 1 si è dimostrato insufficiente ora per permettermi di esprimere un giudizio: mi occorre maggiore adito per verificare. Sarò costretto così a applicare un fattore diverso da x, che potrà essere xy o anche xyz. Un margine superiore che, però, creando una differenza fra le due modalità di calcolo necessarie, dimostra che una delle due cose da dimostrare, a parità di tipo di calcolo applicato, è appunto indimostrabile. Non solo. Se la coppia 2 sarà “costretta” a rimanere ferma per un tempo che io deciderò essere quello necessario a dimostrare la mia tesi, si troverà in una condizione di staticità indotta dalle circostanze, non volontaria. Quindi non ossessiva.
IL MIO PIEDE DESTRO NON RISPONDE di Francesco Gambaro
Oggi
è il mio piede destro che non risponde. Tolgo il collegamento subito
e riaccendo dopo 5 secondi. Niente. Succede sempre così il venerdi.
Infatti lo chiamo: il mio piede venerdì. Non è detto che gli
ritorni elettricità il sabato. Se la prende comoda. Dice che il fine
settimana farà bene alla mia salute. Un ponte, Un ponte che non
voglio perché vorrei camminare sette giorni su sette. Allora
interviene il mio piede giovedì: un piede ubbidiente, sinistro,
dolcemente effeminato, un dolce figlio sinistro. Dice, mi dice di
nascosto con la mano a paravento: papà non ti preoccupare, ho un
amico, un piede destro palestrato, ti vuole conoscere. Ce la facciamo
con lui la nostra passeggiata sabato e pure domenica.
venerdì 4 novembre 2016
IL MONDO MUORE di Francesco Gambaro
Il mondo affoga e noi ce la meniamo con il sì o con il no della riforma costituzionale
DISSERO I MALATI di Francesco Gambaro
Siamo in mano a chi? Dissero i malati ai
monatti. E cominciò così la rivolta dei malati contro i monatti. A uno a uno ne
fecero strame e non li seppellirono Porci ai porci.
giovedì 3 novembre 2016
RILETTURE di Gaetano Altopiano
Il sub-prodotto di ogni buona lettura è la paura mista a rassegnazione che a un certo punto si arriverà alla fine. Considero sbrigativo liquidare la questione con un’affermazione del tipo “tutto si può rileggere da capo”. Poiché se è valida in alcuni casi, se non addirittura obbligatoria, non lo è in altri dove la rilettura ci negherà un piacere fondamentale: la “primavoltità” (teoria descritta da Roberto Bazlen, che io condivido in pieno). Personalmente, quando succede, sono così combattuto che - diciamo a un quarto dalla conclusione - passo il tempo a prendere il libro, aprirlo e rimetterlo subito a posto. Ecco perché alcuni libri mi rimangono preclusi per anni: non arrivo alla fine. Uno di questi è I fiori blu, di Raymond Queneau, tradotto da Italo Calvino, che ammetto di non avere mai finito. Un romanzo delizioso. Negli anni l’ho ripreso più volte ma a ogni tentativo, puntualmente, non reggo l’emozione. Le frasi stupefacenti mi si ritorcono contro; la sua follia tenta di avvilupparmi dentro; tutti quei giochi di parole mi rimproverano regolarmente: tu non ci saresti mai arrivato.
STORIE DEL SIGNOR JFK (56) di Francesco Gambaro
JFK vede a vista d'occhio sbocciare e crescere i suoi capezzoli
mammellari e panciari. Le sue bianche camicie di lino dell'Indostan ne
accentuano plasticamente il sisma. JFK chiama questo suo stadio di vita,
evoluzionismo. Il terremoto corporeo di un ottantaquattrenne, paragonabile
soltanto alle tempeste di testosterone del fu diciassettenne. Le sue mani
tremano d'elettricità futurista e volante. Moncherini, poi solo tronco, poi uno
stupido sputo di sporco sul pavimento. Ma adesso arriva lo straccio. Per un po'
di secoli JFK vagola nello spazio. Poi deve ammettere che spazio è una brutta
parola, significa che devi buttare, che devi liberarti dagli ingombri
accumulati nei secoli. Stacca la spina e ripiomba dentro la sua immacolata camicia.
mercoledì 2 novembre 2016
martedì 1 novembre 2016
SCRITTURA CHE SI ESTINGUE di Gaetano Altopiano
La fantascienza, per esempio, è allo stremo. Di quello che è stato uno dei generi letterari tra i più letti e i più amati rimane il ricordo o qualche rara eccezione, zero prodotti freschi: i ragazzi, in questi anni, scrivono e leggono altro. La ragione è legata allo scarso interesse che i nuovi giovani autori hanno per tutto quanto non sia la loro esistenza privata e la personale introspezione. E’ loro convinzione che, non ogni storia, ma la loro storia personale sia la più accattivante tra le cronache degne di essere ricordate, e perciò scrivono tutti lo stesso diario dove raccontano in modo minuzioso i fatti più innocui della vita privata dando per scontato che il lettore possa esserne interessato. E magari - escluso per il sottoscritto - è proprio così.
GIACOMO PER OGNISSANTI di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/31/giacomo-per-ognissanti/
lunedì 31 ottobre 2016
CONDIZIONE E CONSERVAZIONE di Gaetano Altopiano
Non c’è un solo esempio di animali che si siano coalizzati in un partito politico o che abbiano mai innescato la miccia di una rivoluzione. E questo non per mancanza della capacità critica o della paura necessaria, ma solo perché l’animale in assoluto non deve dissociarsi da nulla. Tantomeno dalla propria famiglia o dai propri simili. La loro condizione “bestiale” , che pure condividevamo, li pone tutt’oggi in una posizione privilegiata rispetto alla nostra, soprattutto dal punto di vista conservativo: agiscono esclusivamente per motivi scientifici e mai letterari. L’azione minatoria dall’interno non esiste.
domenica 30 ottobre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (55) di Francesco Gambaro
A una donna JFK
confessò. Vorrei mi carezzassi - non là sotto, ma per favore! -
solo lo spigolo dell'occhio maculato di rosso con la tua lingua
rossa, il gomito ruvido da bracciodiferro con il tuo alluce
incallito, il mio alluce disunghiato dall'età, nevvero, con la puzza
superiore delle tue ascelle forti di bosco e infine, così concludeva
JFK Il Barocco l'elenco dei suoi desideri, vorrei carezzassi il
parabrezza del mio FIAT 690N4. Sta lì, due passi fuori dal garage,
il vecchio camion di JFK. In effetti senza tergicristalli dal 1978,
secondo JFK, rubati.
IN A SMALL LAND (a Philip K. Dick e Sir Roger Scruton) di Gaetano Altopiano
Se ho deciso di vivere in questo mio piccolo mondo e non in un altro, è perché voglio bene alle cose e alle persone che mi circondano. Nonostante tutto. E fin quando me ne sarà concessa facoltà io non mi muoverò da qui. Chiariamo subito una cosa però, nel caso non lo fosse ancora: nessuno provi a darmi lezioni di comportamento o a indirizzare la mia conoscenza. Quella che inseguo non mi darà mai guadagno né alcunché di immediato. Il pensiero che prediligo è quello che non sempre ha un’applicazione pratica.
sabato 29 ottobre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (54) di Francesco Gambaro
A una certa età, 84
anni (va per i 104), JFK si accorge di non avere più pene. Una folta
boscaglia, nera in aperto contrasto con barba e capelli bianchi,
probabilmente lo occulta. In effetti esso, il maialetto, non si fa
trovare nemmeno per pisciare. Se però gli scappa, il maialetto fa
scherzi, tipo che la piscia esce all'indietro, costringendo JFK a
voltarsi, come in un piano sequenza di un film da lui molto amato.
Allora si ricorda dei giovanili anni in cui quel suo maialetto,
poteva e sapeva comandarlo. In cui quel suo giufà era un monumento
che chiunque prendesse di mira faceva caduti. E anche alla piscia
ordinava: tu prendi di qua, tu prendi di là, tu vai su, tu vai giù.
E i ladri si sentirono circondati e scapparano.
L’AGONE di Gaetano Altopiano
Recitando una parte che io stesso gli ho assegnato - come ho potuto, e perché? - l’antagonista cerca di portarmi sul suo proprio terreno. Mi sembra naturale, e lo è infatti, e nel nome del diritto alla difesa mi mostro quasi subito disposto alla trattativa. Apro il mio cuore alla possibilità che io abbia torto e lui ragione. O che, perlomeno, forse possiamo dividere al 50%. Tutte quelle volte che rischio di precipitare in inutili discussioni cerco di ricordarmelo, a mo’ di freno inibitorio. Meglio restare a casa. Il fatto è che in simili circostanze anch’io sarei antagonista dell’altro e in base al suddetto principio avrei diritto a un identico trattamento. Ma l’altro niente, mai, non ne ho incontrato che raramente disposti alla temperanza.
venerdì 28 ottobre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (53) di Francesco Gambaro
Da quando JFK ha
aperto il suo sottoscala dove vive a tutti gli animali della natura,
la sua vita non è apparentemente cambiata. Recentemente anche una
mucca, chiazzata rossobruno con campanaccio in cupobemolle, è
entrata, sfregiandosi la costata destra nell'anta della porta, per
leggere la meravigliosa storia della filosofia moderna di Cassirer
che cercava da tempo. Poi, emergenti dal tappeto di formiche
testarossa, ranocchietti ancora non anfibi gracidano a JFK
Monteverdi, viperelle e toponi, gechi invisibili, ragnitruden, poi poi spensierati
grilli pingpong saltate-tutti-con-noi. Solo che così saltando anche
lui JFK non prende sonno.
ETEROGENESI DEL CALORE di Gaetano Altopiano
Mi riferisco solo alle parti esterne: il mio corpo non aveva una temperatura uniforme. Le parti che coprivamo erano le più calde, è ovvio, e imparai il fatto che il nostro calore si disperdeva maggiormente dalla testa e dai piedi. Non poche volte, andando scalzo, lasciai impronte umide sul pavimento. Cos’era se non il calore che rilasciavo? Scoprii con curiosità crescente che le nostre ascelle, l’inguine e ogni altra parte della nostra carne che si piegava su se stessa aveva una temperatura maggiore di qualunque altra superficie epidermica piana. Nel caso però fossi stato completamente nudo, a gambe divaricate e a braccia aperte sul pavimento della nostra terrazza - chiesi a mia madre -? Come sarebbe stato? “Inerzia termica”. In un volume geografico esposto al sole nelle ore pomeridiane (in nord - nord - nord/ovest - metri dieci per quattro per otto) la terra (1) ritiene il calore in misura maggiore di quanto non faccia una mattonella di gres (2) ma non sulla sua superficie, meno di una barra di ferro (3) e molto meno di un geco (4).”Ectotermia”. Capacità di assorbire il calore esterno e di non rilasciarlo. “Caloria”. Termine con cui genericamente si misura l’energia fornita da un qualsiasi alimento all’organismo umano. “Freddo”. Tutto ciò che è a bassa temperatura o a temperatura inferiore a quella normale - privo di calore umano - colore della gamma del grigio, verde, azzurro. “Madre”. Donna genitrice di figli - genitore di sesso femminile di qualunque specie animale.
giovedì 27 ottobre 2016
CARTOLINA DA PALERMO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/27/cartolina-da-palermo/
mercoledì 26 ottobre 2016
NON CHIAMATEMI PADRE PIO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/26/non-chiamatemi-padre-pio/
martedì 25 ottobre 2016
ARAZZI D'ANTAN di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/25/arazzi-dantan/
lunedì 24 ottobre 2016
Expérience asexuée di Francesco Gambaro
Mi capitò, non ero nemmeno tanto giovine, salii sulla sua Dyane, gli amici mi raccomandarono, è fatta, vai, sei tutti noi. Ero fatto, ma non di lei, di essa, di Dyane voglio dire. Vomitai in francese alla seconda curva, merde! sui pantaloni, merde! sul cambiocruscotto alla terza curva, merde! ora pure lei imprecava merde! contro di me mentre io vomitavo merde! rovesciato sul sedile posteriore. Cominciammo a sbandare ma era fatta: la mia prima sbandata dopo il primo matrimonio.
OGNI AUTOMOBILE COSTA IL DOPPIO DI QUELLO CHE VALE (SENZA ECCEZIONI) di Gaetano Altopiano
Chi si lancia nell’acquisto di una certa automobile solo per coronare un sogno, magari dopo averla a lungo desiderata e a prezzo di grandi sacrifici, ha fatto centro: ha realizzato “solo” un sogno. Col possederla, infatti, avesse scucito anche una cifra considerevole, guadagnerà solo la metà del diritto al 100% di godimento insito nell’acquisto di quell’oggetto. L’altro 50, ahimè, rimarrà sempre nel non possederla. L’oggetto-automobile ha il limite di un doppio che è inevitabile e che non può elargire simultaneamente: il dentro e il fuori di sé (piacere meccanico e piacere estetico). Ovvero, il fatto che se sta concedendo al suo possessore il piacere meccanico, attraverso la guida dall’interno dell’abitacolo, lo sta privando del piacere di “vedersi passare” dall’angolo di un tornante o da una spettacolare chicane, ossia del suo piacere estetico riservato esclusivamente all’osservatore esterno. A nulla servono rappresentazioni posticce della realtà come fotografie o videofilmati: il godimento tridimensionale gli sarà sempre precluso dal compimento del suo 100%.
domenica 23 ottobre 2016
NON SOLO MORTI di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/23/non-solo-morti/
sabato 22 ottobre 2016
FRESCHEZZA DELL’ULTRASURREALE 3 (commenti a una frase sull’amore vero trascritti fedelmente da internet)
di Gaetano Altopiano
-è un po possessiva la frase, se si ama d’avvero si lascia andare a prescindere
-Ben detto. Ma molto dipende anche dalla situazioni e se veramente si ama una persona si fa di tutto per trattenerla e se se ne vuole andare si lascia andare per la sua via. Perché anche questo è amore…
-E’ giusto…quanto sei bella
-Chi pensa di amare o chi lo capisce dopo , se ne va e poi ritorna. Chi ama davvero non se ne va mai ed è sempre li.
DI NASI ALLA GUERRA di Francesco Gambaro
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venerdì 21 ottobre 2016
giovedì 20 ottobre 2016
BUONASERA, CIAO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/20/buonasera-ciao/
mercoledì 19 ottobre 2016
DAL CENTRO DEL PIEDE di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/19/dal-centro-del-piede/
ETEROGENESI DEI FINI di Gaetano Altopiano
Lode a Wilhelm Wundt che coniò l’espressione “Heterogonie der zwecke”. Otto a Camillo Langone che bravo bravo ieri la ricordava in un articolo su Roberto Saviano intitolato “L’autocommemorazione di Saviano e i danni che ha procurato”. Di cui mi importò da subito ben poco, in verità, tranne che per il suo succo che era l’eterogenesi dei fini, ossia, le conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali, e ancor di più per quella maledettissima parola contenuta nel titolo (autocommemorazione) che non facevo che rileggere come “autocommiserazione”. Com’era possibile? Perché la differenza non mi entrava in testa? Da un’attenta verifica dei termini, studiati e ristudiati dopo, e a seguito di serio consulto professionale sembrerebbe con mio sollievo che le due parole coincidano perfettamente. Poiché la commemorazione di qualcuno (non di qualcosa), tranne che nel linguaggio ecclesiastico, non può che riferirsi a un morto, e se dovesse invece riferirsi a un vivo -nel caso, ancora più penoso dato che il vivo da commemorare è anche il commemorante - non può che essere un atto volto a celebrare solo la miseria della propria condizione umana. Un atto di commiserazione appunto.
martedì 18 ottobre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (52) di Francesco Gambaro
JFK
non trova la speranza. Accende tutte le luci del suo restor. La
speranza gli sfugge. Spenge e resta al buio senza speranza. Gli viene
di fare acqua. A tentoni raggiunge la porta che porta al gabinetto,
accende la luce, si libera. A spalle basse esce senza speranza. Vaga
per il restor alla ricerca di un almeno. Lo trova in una sedia. Si
siede. Guarda intorno. Dalla porta che porta al gabinetto una luce si
fa strada nei suoi occhi. Ho dimenticato di spengere la luce del
gabinetto. Quasi gli viene da piangere.
lunedì 17 ottobre 2016
NON SI UCCIDONO COSì ANCHE LE VIPERE? di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/17/non-si-uccidono-cosi-anche-le-vipere/
domenica 16 ottobre 2016
DORMORIAMO TUTTI di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/16/dormoriamo-tutti/
sabato 15 ottobre 2016
INDECISIONI (INDICATIVE?) (ancora su Bob Dylan) di Gaetano Altopiano
Uno dei più grandi sostenitori della candidatura di Dylan al premio Nobel è il professore Gordon Ball, insegnante della Washington and Lee University, che già nel 1996 aveva sponsorizzato senza successo il cantautore. Il traduttore non riesce a classificare con esattezza il suo cognome e nello stesso articolo riporta le seguenti diverse versioni: 1- “il riconoscimento Nobel di Bob Dylan è vendetta per Gordon Sfera.” 2- “C’e un enorme, quasi una sorta di incredibilità che è successo, dice Ball.” 3- “Con canzoni come Blowin ‘in the wind per conto del movimento dei diritti civili, Dylan ha fatto la differenza, Pallone ha detto”.
venerdì 14 ottobre 2016
IL PROSSIMO PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA di Gaetano Altopiano
Cercherò la frequenza radio-laser corretta. Modulerò la mia voce. Assumerò il tono di circostanza e - finalmente - mai più “a tu per tu” con me stesso come in questa occasione parlerò al mio 90% di DNA “rottame” che invece sembra essere più importante dell’altro 10% che i ricercatori occidentali stanno analizzando e catalogando (quello utilizzato per sintetizzare le proteine) poiché riprogrammabile con l’uso delle parole. Allo studio (russo) fenomeni come chiaroveggenza, intuizione, atti spontanei, autoguarigione, tecniche di affermazione, luce o aure insolite intorno alle persone (i maestri spirituali, ad esempio). Gli dirò: tu sarai il prossimo premio Nobel per la letteratura, tu sarai il prossimo premio Nobel per la letteratura. (Una ventina di volte dovrebbe bastare).
mercoledì 12 ottobre 2016
HO DUE ORECCHIE di Francesco Gambaro
e per fortuna niente auricolari. meglio cmq avere due cellulari. due orecchie. me ne sono ricordato quando il mio nuovissimo samsung 7 stava per bollirmi il destro. allora sono passato al sinistro, il fratello più povero e dimenticato delle orecchie di un destrorso. purtroppo è esploso lo stesso, il mio tanto amato samsung 7.
martedì 11 ottobre 2016
ESPRIT DE CONTRADICTION 2 (il Foglio) di Gaetano Altopiano
Contro la retorica del “contro la retorica” del Foglio che ha scelto di infilarsi dentro un cul de sac trasformandosi in un Bastian contrario poco convincente. 1) Sbagliato credere che il punto di vista opposto a quello comune sia quello vincente solo perché è il più affascinante, ogni partenza in cerca di fortuna è un fatto doloroso e indifendibile, inutile tentarne una promozione solo perché parliamo di laureati e non di minatori di carbone: si chiama emigrazione. 2) “Quello che non viene detto sui millennial che lasciano l’Italia – W i cervelli in fuga”, di Piero Vietti, il F. del sette ottobre 2016, non è una radiografia della realtà, anzi. 3) Una ragazza che conosco, giusto per fare un esempio fra i tanti che potrei fare di storie praticamente uguali, dottore in architettura con 110 e la lode inglese perfetto spirito avventuroso cervello ultramillennial andata a Manchester piena di aspettative, ha rimpianto casa propria per due anni buoni e da lì non faceva che inviare curriculum a enti e aziende italiane sperando che qui qualcuno si accorgesse di lei e di quanto fosse stato disperante perdere anche il minimo sindacale. 4) In termini immigratori, concludo, giacché stiamo citando il Regno Unito, l’Inghilterra batte la Repubblica italiana 165.000 a 24.000. Come mai i giovani cervelli inglesi ci tengono tanto poco a mettersi in movimento? Forse non sono abbastanza millennial?
STORIE DEL SIGNOR JFK (51) di Francesco Gambaro
Appena chiuse porte e finestre, serrati i vetri, calate le serrande, turati gli spifferi, polverizzata con inaudita violenza l'ultima mosca e spento le luci per concedersi il riposo del giusto sprofondando nell'amata poltrona della notte, JFK comincia a sentire un leggero ronzio. Tura anche il naso, pensando uno scompenso di pressione, tura anche la bocca, soffia alla maniera dei sub e le mosche cominciano ad arrivare. Sono le mosche, sono forse le anime delle mosche da lui sterminate durante 84 anni di vita. Sono che ronzano e il buio amplifica il ronzio sino a indurre JFK a pensare che il buio sia fatto di mosche, tante, troppe, addosso a lui come una pappa di cemento a presa rapida francese che gli impedirà di accendere la luce.
lunedì 10 ottobre 2016
INTRAMOENIA (Jonathan Safran Foer) di Francesco Gambaro
Dava per scontato che ci fossero stati momenti, a parte quelli in cui si masturbava, in cui si era sentito a casa nel suo corpo, ma non se li ricordava: forse prima di fracassarsi le dita? Samanta non era il suo primo avatar in Other Life, ma era il primo a cui la pelle logaritmica andasse bene. Non aveva mai dovuto spiegare la sua scelta a nessun altro – Max era abbastanza ingenuo e abbastanza onesto da non farci caso – ma come la spiegava a se stesso? Non desiderava essere una ragazza. Non desiderava essere una latina. Ma d’altra parte, non desiderava neanche non essere una ragazza latina. Nonostante il quasi costante dispiacere di essere se stesso, non confondeva mai se stesso con il problema. Il problema era il mondo. Era il mondo che non era della taglia giusta. Ma quanta felicità è mai stata prodotta puntualizzando che la colpa era del mondo?
Jonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda 2016
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