mercoledì 30 novembre 2016
LA PIANISTA di Gaetano Altopiano
INTRAMOENIA (Vittorio Sermonti) di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/30/intramoenia-vittorio-sermonti/
martedì 29 novembre 2016
TERRA E MARE di Francesco Gambaro
Dovremmo aspirare a
non avere più casa. Né centri. Né aspettative ricoverarie. Non
sono per la guerra. Ma una guerra la dobbiamo purfare non aspirando
ma per respirare. Non facendo le cose giuste ma sfidando il
nonsipuofare. Il sociale mi interessa meno del malsociale. Ne avessi
la forza raggiungerei controcorrente le spiaggie della Libia
percominciare. Da questa parte del mondo le mie orecchie hanno smesso
di essere orecchie. Sono defunte, miserabilmente,
otorinolaningoiatricamente. Non sono per la colonizzazione però
vorrei mettere un punto a questo viaggiare verso la civilizzazione,
affogare nel mistero del sì e del no mi fa starmale, piuttosto il
buio nero del mare, questo sconosciuto che l'Occidente impropriamente
chiama Terra.
“La domanda
cruciale è dunque questa: qual'è il nostro elemento? Siamo figli
della terra o del mare?” Carl Schmitt
lunedì 28 novembre 2016
CAPO D'ORLANDO (a Rossella Valentino)
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/28/capo-dorlando-a-rossella-valentino/
COGLIONI 14 di Gaetano Altopiano
Quando ci riferiamo a qualcosa scendendo troppo in particolari è come ci fossimo immersi negli abissi marini: se non si è all’altezza (altezza?) è meglio evitare. Solo il sommozzatore esperto saprà risalire districandosi più o meno agevolmente a rivedere la luce. L’inesperto rischia davvero grosso: è smascherato immediatamente. Il problema di ogni discesa, infatti, non è tanto immergersi ma riemergere senza danni. E’ in quella fase che si rischia un’embolia gassosa, se non si effettua una corretta decompressione non rispettando i tempi di attesa di risalita che solo un esperto conosce. E’ nella fase di ritorno che ci aspetta il nostro interlocutore: sputato il particolare dobbiamo dimostrare di conoscerlo andando fino in fondo. In caso opposto meglio tenersi sul vago, o, ancora meglio, evitare persino di indossare la muta. Mi riferisco a quelli che declamano il primo verso di una poesia perché è l’unico che conoscono.
domenica 27 novembre 2016
COME DISTRARRE IL KILLER CHE TI VUOLE UCCIDERE di Francesco Gambaro
Appena piombato in
casa alle 22, prima che dalla sua pistola parta il colpo destinato al
tuo cuore, pregarlo: solo un momento. Aprire l'armadietto dei
medicinali, prendere la scatola del Cumadin, domandarsi oggi cos'è,
24 mi pare, allora una pillola e un quarto. Poi ingoiare e aspettare.
Se il killer esita, confortarlo con questa affermazione: le cose da
fare sono quelle che più ci stancano. Pensi, io questa pillola la
dovevo prendere 5 ore fa. Fraternizzare. Invitare a gustare neonata
viva delle tirreniche praterie di mare, condita con salicornia.
Stappare un Glicine della ditta Corvo spruzzato di polvere pirica
allo zafferano e aspettare. Quando il vostro killer sarà meno crudo
della vostra neonata e bencotto del vostro vino, quando avrà
adagiato la testa sul piatto, recuperate la sua pistola e sparatevi
al cuore. Curandovi poi di riporla nella mano incolpevole del vostro
killer distratto.
sabato 26 novembre 2016
IL SILENZIO DELL’ARPA di Gaetano Altopiano
Ho deciso di abbandonare un mio studio sul suono di un’arpa quando ho scoperto che non sarei arrivato mai da nessuna parte. Le trattazioni in materia sono decine e tutte dimostrerebbero l’insensatezza di quello di cui mi ero convinto: che il suono non è una qualità ma una proprietà. Mi ostinavo a voler dimostrare che il silenzio fosse una proprietà dell’arpa proprio per il fatto che il suono non lo era. Se un’arpa è fatta di corde, infatti, piccole viti e una struttura portante che regge il tutto ma non è fatta di suono (solo se pizzicata ne produrrà) vuol dire che è fatta di “proprietà” ma di nessuna “qualità”. Farla suonare è indubbiamente un’alterazione premeditata del suo stato naturale: la rimuove dal silenzio in cui giace e converte tutte le sue proprietà nell’unica qualità possibile per un’arpa, e per ogni strumento musicale in genere. Il suono. Che in mancanza di questa alterazione (nel caso dell’arpa far vibrare le corde) non potrebbe esistere. Il silenzio di cui è fatta è interrotto da quest’azione e si ripresenta immediatamente non appena l’azione è interrotta. Il silenzio è dunque una sua proprietà residente.
SCUSATE SE CERTE MATTINE di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/26/scusate-se-certe-mattine/
venerdì 25 novembre 2016
INTRAMOENIA (Vittorio Sermonti) di Francesco Gambaro
T.
Lucrezio Caro. Senza accendere un contenzioso sull'ingente
materia, mi intesterò a rileggere un arduo passo del De rerum
natura di Lucrezio, capolavoro multiplo e sconfinato, pedagogia
del sublime materiale. Gli antichi – sbalorditi – non trovarono
di meglio che accreditare il loro sbalordimento alla pazzia
dell'autore; noi, chiamati in causa con il tu che ci interpella come
scolari tardivi, possiamo permetterci il lusso di accreditarlo anche
alla nostra. Libro II, versi 1139-1145
…....................................................................................................................
Giustamente
dunque le cose periscono quando estenuate / da deflusso soccombono
tutte agli urti esterni, / poiché in vecchiaia il cibo infine viene
a mancare / e i corpuscoli martellanti dall'esterno non cessano di
stremare / alcuna cosa e di vincerla ostili con gli urti. / Così
sunque anche le mura del vasto mondo / espugnate d'attorno
crolleranno corrose in rovina.
Vittorio
Sermonti, Il vizio di leggere, Rizzoli, 2009
CHE TEMPO CHE FA (PongPing) di Gaetano Altopiano e Francesco Gambaro
Ab)
Ciò
che concedo ai personaggi che entrano nella mia vita (molti dei quali
mai invitati a parteciparne) è molto più di quello che dovrei dare
e si chiama “il tempo che fa”. Proprio come quella trasmissione
televisiva. Questo perché soltanto in apparenza mi è concessa una
scelta: in realtà subisco i capricci del tempo e non soltanto
secondo l’eufemismo meteorologico. Appena aperta la porta, alzata
la saracinesca o solo scostato la tenda, uomini e donne di ogni età
si precipitano a invadere il mio “posto macchina” o i miseri
metri cubi d’aria a cui avrei diritto in solitudine senza che io
possa minimamente sottrarmi. Decine di Littizzetto mi cacano il cazzo
o cercano di essere interessanti ai miei occhi per uno scopo che non
mi è chiaro. Decine di Fabi Fazi cercano di indottrinarmi, senza,
proprio come quel Tale, averne né titolo né esperienza. Mi figuro
che agli altri non accada diversamente. Ma allora, chi è la
moltitudine?
Ba)
Dicevamo
l'altro giorno dell'espessione monocrama di Nicolas Cage, quanto mi
scrivi mi riporta alla risata monocrama di Fabio Fazio quando punta
gli occhi sulle gambe da tavolo della Litizzetto. Ripetuta 1000 volte
la stessa espressione fa pandan 1000 volte con la boccaccia della. Mi
chiedi chi è la moltitudine? Semplicemente non so. Forse erano Fazio
e la Litizzetto che, facendo strame di se stessi, ridendo in se
stessi, fagocitavano “quel che resta della nostra gioventù”.
Endrigo e i Sex Pistols, tutto per loro era il resto di niente. Ma il
tempo (Litizzetto-Fazio) non fa, è. E noi nell'esserci del tempo,
aprendo le tende alla luce e al buio, alle tempeste solari e alla
morte per acqua, ci invidiamo e ci rincorriamo essenti assenti.
giovedì 24 novembre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (59) di Francesco Gambaro
Un colpo mi prende,
dice JFK, un colpo mi prende quando mi guardo allo specchio e capisco
che lo specchio è il mio nemico dichiarato. Vedo, dice, ti vedo,
dice JFK dello specchio. Allora mi caccio nell'oltrebagno, risponde
JFK deglutendo, faccio tutto io, faccio i tuoi bisogni e i miei.
mercoledì 23 novembre 2016
INTRAMOENIA (Salvador Dalì) di Francesco Gambaro
Perché
un film appaia prodigioso ai suoi spettatori, il primo elemento
indispensabile è che questi ultimi possano credere ai prodigi che
vengono loro svelati. L'unico modo è smetterla, con il ripugnante
ritmo cinematografico attuale, con questa retorica convenzionale e
noiosa del movimento della telecamera. Come si può, anche per un
secondo, credere al più banale dei melodrammi, quando la telecamera
segue l'assassino dappertutto in travelling, finanche dentro i
bagni dove va a lavarsi il sangue che gli macchia le mani? Questo è
il motivo per cui Salvador Dalì, prima ancora di cominciare a girare
il suo film, si preoccuperà di immobilizzare, di inchiodare la sua
telecamera al suolo con dei chiodi come Gesù Cristo sulla croce. Chi
se ne frega se l'azione fuoriesce dall'inquadratura! Il pubblico
aspetterà angoscioso, esasperato, ansioso, ansimante, scalpitante,
estasiato, o meglio ancora, annoiato, che l'azione torni in campo. A
meno che immagini belle e del tutto estranee all'azione lo
distrarranno sfilando davanti lo sguardo immobile, incatenato,
iperstatico della telecamera daliniana restituita finalmente al suo
vero oggetto, schiava della mia prodigiosa, impietosa immaginazione.
Salvador
Dalì, La droga sono io, Castelvecchi 2007
L’ESAME di Gaetano Altopiano
Nelle ultime ventiquattrore mi sono addolcito. Non ci speravo più. Questo medicinale fa miracoli e l’ansia e la tachicardia da esame - puff - sono spariti. Come non fossero mai esistiti. Ringrazio il medico e la mamma che si sono tanto preoccupati. Sono così remissivo, adesso, e aperto alla trattativa che non resisto e mi presento all’appuntamento con abbondante anticipo. Mi sento veramente a posto. Ho studiato. Sono preparato. Conosco la materia. Alle otto apre l’ambulatorio e io, ovviamente, sono il primo: alzi la manica del maglione, sentirà solò una punturina.
martedì 22 novembre 2016
DIARIO MATRIMONIALE di Francesco Gambaro
Ora
quando mi avvicino scappi. Non credere, succede anche a me. Il
materasso acquatico ha reso sguscianti i nostri corpi. Una scrollata
di libertà separare le nostre mani, scivolare agli angoli delle
coperte. Il matrimonio è perfetto. Sento i tuoi sogni rumorosi,
piccole pallottole di ceramica. Ti guardo ma non ti guardo. Appunto,
ti sento. Quanti anni su questo letto. Eppure in questo momento
nessun ricordo. Presenti e assenti. In qualche modo ammassati uno
sull'altro. Gli occhi tuoi ficcati nel cuscino, i miei a cercare le
stelline fluorescenti sul tetto della stanza delle bambine qualche
trentennio fa. Oppure i tuoi spalancati nel buio, luccicanti senza
luce riflessa. Lune senza sole. Dune palpebrali, Domani porterò il
portachiavi per cambiarlo. Domani mi dirai, oggi il caffé è proprio
brutto. Nell'armadio a muro gli stivali e gli impermeabili si
agitano: quanto devono ancora aspettare il cambio di stagione? In
effetti è freddo fuori. Un po' anche sotto queste coperte in cui
nascondiamo i nostri corpi. Desideri? Mi dici, che desideri? Il
traguardo è stato raggiunto. Premorire non ci affatica più di tanto
e scaccia la paura della morte. Il farmaco che avevi brevettato
funziona, amore amore lieto disonore. L'orizzonte è in
discesa. Tutto quello che può accaderci è esattamente tutto, il
mondo è tutto ciò che accade. Tu pensi con la testa, io con lo
stomàc. Vediamo che non siamo più tanto simili, però più uniti.
Oltretutto stiamo ancora bene in salute e la vista ci aiuta. Non è
una caduta libera, è una fuga. Obladì, obladà.
lunedì 21 novembre 2016
UN GRIDO E' STATO UDITO IN RAMA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/21/un-grido-e-stato-udito-in-rama/
DUE CANI E UNA CAPANNA di Gaetano Altopiano
Ieri il mio cane non smetteva di farmi le feste. In genere mi si avvicina, mi sta tra le gambe un paio di minuti e poi, siccome è un cane, a meno che non gli lanci un boccone, scappa via per i fatti suoi a cacciare lucertole o a stendersi al sole. Ieri invece non smetteva di fare il cascamorto: sembrava avesse incontrato qualcuno che non vedeva da tempo. Ma non era così. Ci eravamo visti la sera prima. Riferisco il suo insolito “stato d’animo” a un elemento intervenuto nel frattempo nella nostra relazione, qualcosa che ho supposto ieri ci rendesse più vicini che in passato: il mio essere più “animale” del solito. Tornavo da una passeggiata impegnativa infatti, ero in un bagno di sudore.
domenica 20 novembre 2016
DON TRICOMI di Francesco Gambaro
Don Tricomi fu professore a me, negli anni liceali del Don Bosco. Di lui ricordo la tunica oleosa brillantata di forfora, le parole nevvero e negletto, e l'abitudine di prendermi a braccetto quando doveva rimproverarmi il mio cattivo latino. Per Don Tricomi, per il bene che gli voglio nei secoli dei secoli, ho tradotto dal latino, nel mio italiano cattivo, un verso del Cantico dei Cantici, in odio a quel diavolo passatista di Cesare Angelini. Introduxit me rex in cellaria sua – Il Re mi fotte nella sua fica.
sabato 19 novembre 2016
L’AURORA di Gaetano Altopiano
STORIE EL SIGNOR JFK (58) di Francesco Gambaro
Il periodo più bello è quando cadono le croste, quando piovono
come le rane di magnolia. JFK a lungo ha sofferto di eczema microbico. Per
lunghi mesi il suo corpo è via via via via via diventato un plastico dei campi
flegrei. Sino al fuoco dell'acme. Poi, quasi improvvisamente, la carne, viva in
eccesso, ha maturato la sua stessa consunzione. Le croste. Belle da vedere ma
non da toccare. A una a una, talvolta a due a due, talvolta tante in un solo
barlume, hanno cominciato, incredule spiazzate, la discesa dal monte Sinai. JFK
le vede cadere e squittisce con jingle di piacere quando le sente
atterrare. Poi tante, poi tutte, sino a riempire l'intera e unica stamberga in
cui vive. Le croste si depositano sul pavimento come i diavolicchi sulla glasse
dei dolci di mandorla siciliani. A 84 anni JFK ha proprio voglia di carnevale,
di festeggiare, di ballare, di liberarsi della calce delle creme, degli
indumenti bianchi, dei fantasmini incolori, dei suoi 84 anni leggeri.
Improvvisa una danza cheyenne, un tiptap fredastaire a piedoni nudi che
rispondono sonori e croccanti, palloncini di ciungam, ossicini del lobo
dell'orecchio quando mani istruite li fanno scrocchiare. In cortocircuito le
stelle di San Lorenzo. Piove manna. A Sant'Antonio non ci potette l'acqua di
mare, pensa JFK, ormai all'ultima spiaggia. E l'uccello di JFK, sbalzato su e
giù come sulle montagne urali, se la ride.
venerdì 18 novembre 2016
UN GELSOMINO di Gaetano Altopiano
Dire che un gelsomino profuma intenzionalmente ma senza intenzioni è corretto. Il fiore profuma perché l’odore è una sua proprietà e non perché lo abbia scelto personalmente per uno scopo preciso, come invece potrebbe fare una donna per andare a un appuntamento. Il fiore vive intenzionalmente secondo un “disegno” che definiamo tale solo perché non riusciamo a trovare termini più adeguati: non conosciamo il modo corretto per giustificare la natura. Ma in tutta la sua esistenza, il gelsomino, non mostrerà intenzioni. Non avrà programmi per il futuro, non progetterà di mettere su casa, e non pianificherà mai l’agenda della settimana. Non aspirerà alla libertà di movimento perché non sa cosa sia: “libertà” e “movimento” sono compresi solo dagli esseri ragionevoli. Un tribunale, per esempio, non è un essere ragionevole e in teoria non dovrebbe comprendere concetti del genere su cui è chiamato a esprimersi, perché vive secondo un “disegno” che non prevede che lo faccia. Ma il tribunale è un uomo. Un tribunale dovrebbe assolvere o condannare intenzionalmente, ma senza intenzioni.
giovedì 17 novembre 2016
VI VOLEVO DIRE (Dylan) di Francesco Gambaro
Vi volevo dire, mamma e papà, che il terzo posto dove
posteggiate l’auto, da oggi è passo carrabile.
Vi volevo dire che oggi sono contenta, perché il vostro bob
dylan si è defilato in maniera perfetta dalla cerimonia del premio nobel. In
ginz e camicia bianca ha scritto che aveva già preso altri impegni. Quelli con
voi che venite prima di tutto. Vi volevo dire che sto andando a scuola,
Perdonerete questa bugia, oggi che il vostro bob è tornato nei vostri cuori?
COGLIONI 13 di Gaetano Altopiano
mercoledì 16 novembre 2016
IL TROFEO di Gaetano Altopiano
Non riesco a capire perché questa scena di caccia mi dia tanta inquietudine. Non sono particolarmente sensibile all’argomento e il quadro non ritrae che un gruppo di appassionati alle prese con la carcassa di un grosso cervo. E’ un olio dell’ottocento e viene dall’Inghilterra. Si intitola solo “The trophy”, facile da intuire. Il trofeo. Mi fermo sugli occhi di uno dei cani ritratti che fissa in modo particolare la preda, un Pointer forse: mi sembra incredibile, ma quel cane ha uno “sguardo”. Le bestie non hanno uno sguardo - e come potrebbero? - semplicemente perché non hanno una faccia. L’animale non si esprime se non con i versi tipici della sua specie o con spargimento di escrementi. Quella che conosciamo come “espressione” di un sentimento attraverso un atteggiamento del viso in loro non esiste. Qualcuno sostiene che il cane da caccia sia l’unico, tra tutte le razze, che riesca a comunicare il proprio sentimento al cacciatore avvalendosi di prerogative sconosciute agli altri cani perché fondate su un principio che solo quel tipo di bestia impara a comprendere: il rapporto fiduciario. Quel Pointer ha uno sguardo.
martedì 15 novembre 2016
lunedì 14 novembre 2016
DELIBERE di Gaetano Altopiano
Ciò che permette alle mie decisioni di essere finalmente deliberate, è il visto della mia convinzione di metterle in pratica. Non una passerebbe a questa fase senza quel prezioso “bene si stampi”. Almeno in linea generale. Attualmente però sembra che questa filiera si sia interrotta, e mi capita di vistare decisioni che non mi sono proposto. E questa sarebbe la terza volta. Mi spiego. In materia di politica estera, per esempio, stamattina scopro di essere totalmente a favore di Hillary Clinton senza aver mai messo piede in America o conoscere una parola d’inglese. E, cosa ancora più preoccupante, senza che me ne sia mai fregato un cazzo.
domenica 13 novembre 2016
sabato 12 novembre 2016
TRICOLOGICO ANODINO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/12/tricologico-anodino/
MCDONALD’S di Gaetano Altopiano
L’austerità con la quale mi si rivolge mi lascia basito. In modo favorevole però. E’ raro trovare mocciosi che siano in grado di prendere le distanze, e, soprattutto, che lo facciano in modo convincente, anche se ti stanno chiedendo un favore: suppongo provengano da famiglie dove prematuramente apprendono la vita militare; o sono fuoriclasse sputati dallo “scarto” produttivo - questo non è omologo - via. Decido all’istante di promuoverlo a un livello superiore nelle mie simpatie. Mcdonald’s di Piazza Castelnuovo, ore 20,30. Poi gli passo il sale.
venerdì 11 novembre 2016
IRONIA di Gaetano Altopiano
Potrei affermare con certezza quasi scientifica che esiste uno strumento in grado di confutare le proposizioni di Wittgenstein: l’ironia. Non lo faccio perché rischio di essere preso sul serio.
giovedì 10 novembre 2016
collo rosso di Francesco Gambaro
IL SOLE CUOCE IL COLLO MA NON
L’OSSO
L’OSSO E’ GLABRO NON E’
PELOSO
IL PELO E’ PIO SGRASSATO
PIGOLA
IL CONTADINO A FORMA DI
CATERPILLAR
NON SGRANOCCHIA PIU’ OSSO
IL FERRO GIALLO DEL
CONTADINOCATERPILLAR
INDICA LA STRADA NON INFINITA
AL BALLO MASCHERATO DEL
METASTASIO
L’ONISCO (ma non è Landolfi) di Gaetano Altopiano
In materia di metempsicosi ha una sua teoria precisa: nella vita precedente, per esempio, è certo di essere stato un porcellino di terra. Non ha problemi a schiacciare formiche infatti, millepiedi, mosche e ogni altro genere di animaletto che si incontra dentro le nostre case, ma quando s’imbatte in un porcellino di Sant’Antonio prova una tenerezza che può essere giustificata solo dall’affetto. Sentimento che ha dell’incredibile se il destinatario è un insetto, o un minuscolo crostaceo come in questo caso, e che riusciamo a provare solo verso i nostri simili o al massimo verso animali di una certa taglia. Animali che in qualche modo riusciamo a guardare negli occhi e dai quali sentiamo emanare un “calore” che rassomiglia al nostro: questa è la differenza. Quello che prova dunque è un impulso che non trova spiegazione se non in una “familiarità”. Che non essendoci, e non potendosi riferire al futuro, deve necessariamente riferirsi a una condizione precedente.
mercoledì 9 novembre 2016
STORIE DEL SIGNOR JFK (57) di Francesco Gambaro
A
giorni alterni, JFK si sveglia con le mani alla Marisa Berenson o alla Jennifer
Lopez, alla Primo Carnera o alle nanette dei canguri del Vietnam. Tutti i
giorni le diverse mani disegnano uguale la spirale. Se troncate - al contrario,
chessò, del tronco di castagno - le mani di JFK non dimostrano gli anni che
hanno, né i giorni, solo la bruta perfezione extraemporale della Mano Madre.
martedì 8 novembre 2016
GENTILMENTE di Francesco Gambaro
Gentilmente, dissi,
ha notato che ho tolto gli abbaglianti quando ci siamo incrociati?
Gentilmente, disse, ha notato che ha arruotato mia moglie?
Gentilmente, dissi, ho visto volare sua moglie dallo sportello.
Gentilmente, disse, non lo avrà chiuso bene, ogni tanto le capita.
Gentilmente, dissi, e ha notato che diluvia? Gentilmente, disse, non
potremmo intanto toglierla dall'asfalto? Gentilmente, dissi, con
questo tempo? Gentilmente, disse, in effetti, venga dentro che
dovrebbe essermi rimasto del cordiale. Gentilmente, dissi, forse ci
schiarirà le idee. Gentilmente, disse, potrei sapere con chi ho il
piacere? Gentilmente, dissi il mio nome. Gentilmente, lui, il suo.
lunedì 7 novembre 2016
RI-EDUCAZIONE di Gaetano Altopiano
All’anarchico si rimprovera fondamentalmente una certa ignoranza: ecco perché il carcere per lui è veramente ri-educativo. Lì imparerà una buona volta la filosofia e la grammatica. Possibile che dica “Io” senza capire l’importanza di quello che dice? Possibile che dica “Io” pensando solo che se lo può dire vuol dire che è un uomo libero di piazzare una bomba, dimenticando che se lo dice riconosce anche di essere un uomo che si trova in un mondo di leggi causali universalmente vincolanti che glielo vietano? Non ha letto Kant. O magari scambia il presente indicativo del verbo “vietare” col presente del suo condizionale = vieterebbero. In carcere, però, potrà dare ripetizioni di fisica, dove sembra sia un esperto: “Nella fisica relativistica i diagrammi spazio-tempo sono spesso usati per rappresentare le interazioni tra particelle. Essi possono essere interpretati in termini di causa ed effetto solo quando sono letti in una sola direzione, per esempio dal basso verso l’alto. Quando vengono considerati come figure quadridimensionali prive di una direzione definita del tempo, non c’è un prima né un dopo e quindi nessuna relazione di causalità. Altrimenti l’effetto potrebbe precedere la causa.”
VIRTUAL REALITY IS A LITTLE BUTTERFLAY IN THE HAND di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/11/07/virtual-reality-is-the-little-butterfly-in-the-hand/
domenica 6 novembre 2016
LUOGHI DI SERIE A (la Grecia) di Gaetano Altopiano
“Paideia” è una parola intraducibile. Non ha, e non ha mai trovato corrispondenti in nessun’altra cultura che non sia stata quella della Grecia antica, da dove viene e dove significava molto. Tranne, forse, che nell’idea di “gentiluomo” espressa da Confucio nei suoi “Detti”. O, più tardi, nelle opere del Rinascimento italiano. Cercare di decifrarne il significato, o il background, come direbbero gli inglesi, oggi sarebbe un’operazione essenzialmente concettuale e senza risvolti pratici. Inutile, viste le nostre condizioni. “Paideia” - pressappoco - era la “via” attraverso la quale i greci apprendevano la bellezza (del mondo) e nel contempo la “via” attraverso la quale cercavano di esserne all’altezza realizzandola. La bellezza come scopo sociale. Impossibile pensare a un equivalente contemporaneo: non esiste. W.Jaeger riuscì a spiegarla compiutamente ma gli ci vollero tre volumi e quasi 2000 pagine. Ma era il 1934.
GIUBOTTO ROSSO di Francesco Gambaro
Ritorno al giorno in cui acquistai il giubbotto della mia vita. 5 esemplari, uguali, uno più bello dell’altro, tutti rossi, tutti della mia taglia. Ne comprai uno. Solo uno. Ritornai nel negozio dove l'avevo acquistato quando il primo cadde in disgrazia. Adesso era diventato una rivendita di tabacchi. Per la rabbia fumai una stecca di Camel senza filtro sino a una specie di saturazione asmatica. Una seconda volta dopo un paio di mesi, al suo posto un pollaiolo. Così a casa con tre polli che, anche se li ho sempre detestati, divorai in poco più di un'ora. Ritorno spesso sul luogo dove persi l'occasione, di assicurarmi la riserva di giubbotti rossi per il resto della vita. Praticamente ogni giorno. Resto però dall'altro lato del marciapiedi. Per l'intera giornata. La gente che mi cerca sa dove trovarmi.
sabato 5 novembre 2016
DUE COPPIE CHE BALLANO di Gaetano Altopiano
Riferendomi al corpo umano riesco a pensare a un’ossessione del movimento, ma non a un’ossessione della staticità. La seconda, in relazione alla prima, è indimostrabile. All’interno di uno stesso luogo osservo la coppia 1 di personaggi che balla: dopo un certo numero di minuti (x) non ho alcuna difficoltà a stabilire che i due sono “mossi da frenesia”. Cos’è infatti l’ossessione - quando è impulso - se non la persistenza di uno stimolo a fare qualcosa? Ma osservando la coppia 2, che, per l’identico numero di minuti (x) invece è rimasta volontariamente ferma, non potrò dire la stessa cosa, ossia che i due in questo caso siano “freneticamente statici”, poiché sarebbe un’affermazione falsa. E’ contraddittoria. Né potrò dire che nel tempo x siano ossessionati dalla staticità. Perché non ne ho la prova. Per raggiungere un risultato (il risultato è dimostrare entrambe le cose) la coppia 2 dovrà rimanere ferma per un tempo maggiore di quella che ha ballato, giacché l’x che andava bene per la coppia 1 si è dimostrato insufficiente ora per permettermi di esprimere un giudizio: mi occorre maggiore adito per verificare. Sarò costretto così a applicare un fattore diverso da x, che potrà essere xy o anche xyz. Un margine superiore che, però, creando una differenza fra le due modalità di calcolo necessarie, dimostra che una delle due cose da dimostrare, a parità di tipo di calcolo applicato, è appunto indimostrabile. Non solo. Se la coppia 2 sarà “costretta” a rimanere ferma per un tempo che io deciderò essere quello necessario a dimostrare la mia tesi, si troverà in una condizione di staticità indotta dalle circostanze, non volontaria. Quindi non ossessiva.
IL MIO PIEDE DESTRO NON RISPONDE di Francesco Gambaro
Oggi
è il mio piede destro che non risponde. Tolgo il collegamento subito
e riaccendo dopo 5 secondi. Niente. Succede sempre così il venerdi.
Infatti lo chiamo: il mio piede venerdì. Non è detto che gli
ritorni elettricità il sabato. Se la prende comoda. Dice che il fine
settimana farà bene alla mia salute. Un ponte, Un ponte che non
voglio perché vorrei camminare sette giorni su sette. Allora
interviene il mio piede giovedì: un piede ubbidiente, sinistro,
dolcemente effeminato, un dolce figlio sinistro. Dice, mi dice di
nascosto con la mano a paravento: papà non ti preoccupare, ho un
amico, un piede destro palestrato, ti vuole conoscere. Ce la facciamo
con lui la nostra passeggiata sabato e pure domenica.
venerdì 4 novembre 2016
IL MONDO MUORE di Francesco Gambaro
Il mondo affoga e noi ce la meniamo con il sì o con il no della riforma costituzionale
DISSERO I MALATI di Francesco Gambaro
Siamo in mano a chi? Dissero i malati ai
monatti. E cominciò così la rivolta dei malati contro i monatti. A uno a uno ne
fecero strame e non li seppellirono Porci ai porci.
giovedì 3 novembre 2016
RILETTURE di Gaetano Altopiano
Il sub-prodotto di ogni buona lettura è la paura mista a rassegnazione che a un certo punto si arriverà alla fine. Considero sbrigativo liquidare la questione con un’affermazione del tipo “tutto si può rileggere da capo”. Poiché se è valida in alcuni casi, se non addirittura obbligatoria, non lo è in altri dove la rilettura ci negherà un piacere fondamentale: la “primavoltità” (teoria descritta da Roberto Bazlen, che io condivido in pieno). Personalmente, quando succede, sono così combattuto che - diciamo a un quarto dalla conclusione - passo il tempo a prendere il libro, aprirlo e rimetterlo subito a posto. Ecco perché alcuni libri mi rimangono preclusi per anni: non arrivo alla fine. Uno di questi è I fiori blu, di Raymond Queneau, tradotto da Italo Calvino, che ammetto di non avere mai finito. Un romanzo delizioso. Negli anni l’ho ripreso più volte ma a ogni tentativo, puntualmente, non reggo l’emozione. Le frasi stupefacenti mi si ritorcono contro; la sua follia tenta di avvilupparmi dentro; tutti quei giochi di parole mi rimproverano regolarmente: tu non ci saresti mai arrivato.
STORIE DEL SIGNOR JFK (56) di Francesco Gambaro
JFK vede a vista d'occhio sbocciare e crescere i suoi capezzoli
mammellari e panciari. Le sue bianche camicie di lino dell'Indostan ne
accentuano plasticamente il sisma. JFK chiama questo suo stadio di vita,
evoluzionismo. Il terremoto corporeo di un ottantaquattrenne, paragonabile
soltanto alle tempeste di testosterone del fu diciassettenne. Le sue mani
tremano d'elettricità futurista e volante. Moncherini, poi solo tronco, poi uno
stupido sputo di sporco sul pavimento. Ma adesso arriva lo straccio. Per un po'
di secoli JFK vagola nello spazio. Poi deve ammettere che spazio è una brutta
parola, significa che devi buttare, che devi liberarti dagli ingombri
accumulati nei secoli. Stacca la spina e ripiomba dentro la sua immacolata camicia.
mercoledì 2 novembre 2016
martedì 1 novembre 2016
SCRITTURA CHE SI ESTINGUE di Gaetano Altopiano
La fantascienza, per esempio, è allo stremo. Di quello che è stato uno dei generi letterari tra i più letti e i più amati rimane il ricordo o qualche rara eccezione, zero prodotti freschi: i ragazzi, in questi anni, scrivono e leggono altro. La ragione è legata allo scarso interesse che i nuovi giovani autori hanno per tutto quanto non sia la loro esistenza privata e la personale introspezione. E’ loro convinzione che, non ogni storia, ma la loro storia personale sia la più accattivante tra le cronache degne di essere ricordate, e perciò scrivono tutti lo stesso diario dove raccontano in modo minuzioso i fatti più innocui della vita privata dando per scontato che il lettore possa esserne interessato. E magari - escluso per il sottoscritto - è proprio così.
GIACOMO PER OGNISSANTI di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2016/10/31/giacomo-per-ognissanti/
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