mercoledì 29 marzo 2017

(L'OCCHIAIA. 28.) di Elio Coniglio



   Nelle ninnaninnose ore pomeridiane agostane, in fondo al rettangolo di asfalto polveroso, giusto dove ronzano silenzi affezionati a lui ma ai più ostili, l’allampanato fabbro soffia rosse nuvole di antiruggine sulle ringhiere accostate al muro di pietre giallastre oltre il quale certo non si fatica ad indovinare l’abside della vicina chiesa. E di rimpetto al lato dello spiazzo sempre ingombro di mucchi di lacci di scarpe da ginnastica, il bambino cresciuto anzitempo,  in groppa a una bicicletta incatenata alla rete di recinzione, scaglia, più in alto che può, la sua sgonfia palla di gomma a spicchi colorati che tratteggia fra gli azzurri caliginosi del cielo sfilacciati arcobaleni…  

IL DUBBIO DEL CANE di Gaetano Altopiano









Certe volte ho un bisogno di chiarezza innaturale. Più di quanto non mi capiti di solito quando non ho ben capito qualcosa: come se in una scrivania della quale ho visto con certezza di avere vuotato tutti i cassetti, cerchi inspiegabilmente di trovarne ancora uno da controllare convinto che ci sia a dispetto di una realtà incontrovertibile. O come se cercassi, ostinatamente, il civico 102 in una strada che si conclude, altrettanto ostinatamente e definitivamente, col numero civico 100. In quei giorni non mi basta rivedere la scena di un film, rileggere tre volte una pagina, farmi ripetere una frase o tentare di capire cosa stia succedendo riordinando le idee in continuazione. Mi devo spingere oltre. Oltre il registro dell’avvenuta comprensione, fino a un concetto che ha a che fare con l’idea di “felicità da sazietà assoluta” canina: non esiste.  

CAMPI DI VERZURA E DI PARLAMENTI di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/29/campi-di-verzura-e-di-parlamenti-e-buona-la-vena-e-la-crusca-per-le-pecore-anonimo-internauta/

martedì 28 marzo 2017

ZEITGEIST di Gaetano Altopiano







Con un progresso tecnologico che ha superato di gran lunga il progresso morale e intellettuale, provocandone, anzi, una prevedibile battuta d’arresto, non è ancora possibile parlare di uno “Spirito del tempo” inteso in senso hegeliano. Uno Zeitgeist contemporaneo farebbe ridere: non esisterà più (almeno in base agli elementi attuali) un Barocco di un secolo, secolo e mezzo, o un Rinascimento per esempio, che permeavano ogni millimetro quadrato della società del tempo, ma migliaia di frammenti scollegati impossibili da spiegare criticamente. Che non diranno nulla di omogeneo a chi verrà dopo, né delle nostre usanze né delle nostre tendenze artistiche, non permettendo di oggettivare alcuno spirito collettivo (sempre se questo abbia e avrà ancora un senso) semplicemente perché ne sono privi. Privi di quella “consuetudine artistica magistrale” che si acquisiva unicamente nel lungo termine e che era indispensabile a ogni possibile oggettivazione.

INCIPIT VS INCIPIT (Ayelet Gundar-Goshen & Robert Coover) di Francesco Gambaro


Stava giusto pensando di non avere mai visto una luna più bella, quando ha investito l'uomo. Per un momento, dopo il tonfo, ha pensato ancora alla luna ma poi ha smesso di colpo, come una candela spenta da un soffio. Sente la porta della jeep aprirsi e sa di essere lui ad aprirla, sa di essere lui quello che sta uscendo. Ma questa consapevolezza è legata al suo corpo solo vagamente, come la lingua che passa sulle gengive appena dopo l'anestesia: tutto è lì, ma diverso. I piedi calpestano la ghiaietta del deserto e lui sente il rumore di ogni passo. Il suono gli ricorda che sta davvero camminando. Da qualche parte, in fondo al prossimo passo, lo attende l'uomo che ha investito; da dove si trova non lo può vedere, ma è lì, ancora un passo ed è lì. Il piede è già sollevato e rallenta, cerca di protrarre il prossimo passo, quello definitivo, dopo il quale non resterà altra scelta. Dovrà guardare l'uomo disteso al bordo della strada. Se solo potesse congelare quel passo, ma ovviamente non lo si può congelare, come non si può congelare il momento che lo ha preceduto, il momento preciso in cui la jeep ha colpito l'uomo, ovvero il momento preciso in cui l'uomo alla guida ha colpito l'uomo a piedi. L'uomo a piedi. Solo il prossimo passo rivelerà se è ancora un uomo o già altro, una parola che solo a pensarla gli si congela in aria, a metà passo, perché forse finendolo scoprirà che l'uomo a piedi non è più un uomo a piedi, non è più un uomo, è solo un guscio d'uomo, un guscio incrinato, senza più uomo. E se l'uomo a terra non è più un uomo, è difficile dire cosa ne sarà dell'uomo in piedi, tremante, che non riesce a portare a termine un unico semplice passo. (Ayelet Gundar-Goshen, Svegliare i leoni, Giuntina, 2017)


Paul fece un passo in avanti sulla curva e fu investito da un camion. Dapprima non si rese conto di cosa l'avesse investito, ma adesso, sulla schiena, sotto il camion, non ci potevano essere dubbi. Sono io? Si domandò. Me ne sono andato dalla terra e sono venuto qui? Appena fu investito, e mentre stava ancora rimbalzando di fronte al camion e poi sotto le ruote, in una specie di balletto d'avanspettacolo di pena e terrore, ebbe un pensiero: era già successo. Il collo si era spezzato, un improvviso balenio di luce e una vampata percorse rumorosamente la sua nuca. Caldo – quasi fragrante – dolore: questo sì era una novità. Sentì che era il posto dove era ritornato... “Stramaledetto pazzo mi si è messo davanti senza riguardi all'improvviso così tanto per farlo!” La voce, in qualche modo familiare, gutturale, tuttavia in falsetto, veniva dall'alto sulla sua destra. Della gente si era radunata per osservarlo, scuotendo la testa. Si sentì come un prescelto. Cercò di girare la testa verso la voce, ma il collo gli ridiventò bollente. Le cose erano davvero brutte. Meglio starsene fermi e stesi senza prendere iniziative. In tutti i modi, in quel momento, vide, proprio con la coda dell'occhio, la cabina del camion, rossa come il rimorchio, e la grossa testa del conducente che si agitava nel sole fuori dal finestrino. Il camionista portava un piccolo cappello di tweed, troppo piccolo in effetti: stava appena appoggiato in cima alla sua testa. (Robert Coover, La babysitter, Guanda, 1982)

domenica 26 marzo 2017

BACI AMORE di Gaetano Altopiano







Avrei voluto spostare le lancette del mio orologio in avanti di un’ora, stanotte, e campare tranquillo. Ma le ho messe 2 anni indietro. Ho dovuto abbattere una parete che pensavo di avere già demolito, fare un trasloco, riammobiliare casa, rifare il motore alla macchina e presentare una domanda di disoccupazione che ero arcisicuro di avere già presentato. Mia moglie deve aver commesso lo stesso errore. Si è risvegliata in Romania col gelo nelle ossa (termometro a meno 18). Dice che lì è il 2020, che in quest’ istante sta facendo colazione con pane di segale e confettura e che non vede l’ora di tornare a casa. Baci amore. 

POLYPUS IN DOMUM SUAM di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/26/polypus-in-domum-suam/

sabato 25 marzo 2017

NATURISMO RADICALE di Gaetano Altopiano







Un pieno ritorno alla natura non sarà mai completo se lo sforzo di chi crede nel suo beneficio si limiti alla rivalutazione del sostentamento alimentare, delle abitudini fisiche e dell’ambiente in cui viviamo. E la natura umana dove la mettiamo? Occorre un naturismo più radicale. Che abbia come scopo non solo la pratica quotidiana del credo a cui queste persone si sono votate ma anche quello di tramandarlo nel nome di un futuro migliore. E visto che reputo inadatte tutte quelle che conosco, giacché risultano costantemente troppo concentrate solo su cose come podismo, veganesimo, raccolta differenziata, e affinché la loro prole erediti il desiderio di continuare quello sforzo, è meglio delegare a qualcun altro il compito di educarla e in un percorso più professionale. In modo che si abbia considerazione finalmente anche dell’indole umana, non solo di quella vegetale e animale. Che irrefrenabilmente spinge a fare cose come pisciare all’aria aperta, sputare dalla finestra, strisciare la fiancata di un’automobile con una chiave.  

SEMPLICE (a Gianni Celati) di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/25/semplice-a-gianni-celati/

giovedì 23 marzo 2017

FAGIOLI, ALBERONI E LA DURATA PENSIEROSA di Francesco Gambaro




Massimo Fagioli sosteneva, contro Alberoni, che il piacere vero non è l'amore né tanto meno l'innamoramento, piuttosto il grattarsi per liberarsi dal prurito, la minzione o la sua solida sorella, questi sì, piaceri pieni e assoluti. Fallimentari categorie aristoteliche, avrebbe replicato Francesco Bacone, “oscuri idoli di una qualche sotterranea spelonca”, la storia di fatti particolari elevati a universale. Fagioli trascurava la complessità: il cruccio e l'inganno, la fatica dello scalatore, il terrore e il tremore kierkegaardiano, la concentrazione dello scacchista che trasferisce il cervello nello stomaco: niente affatto nemici del piacere, al contrario, suo carburante naturale, potenziato da naturali, spesso incalcolati, additivi. Trascurava che la durata pensierosa - opposta alla “tetra meccanica dell'atto sessuale”, come conciava Gadda, che sfocia dopo tanto lavorare e sudare nel minimum eiauculatorio - è il diesel del piacere.

mercoledì 22 marzo 2017

martedì 21 marzo 2017

STORIE DEL SIGNOR JFK (78) di Francesco Gambaro




Un altro rigogolo maschio si è presentato sulla balaustra della finestra di JFK. E' stato un po' a guardare. Poi ha cominciato a beccheggiare sul vetro. A JFK è venuto subito il mar di male e un attacco di dislessia. Ha cercato nel cattesso dei mecidinali una pilolla, una qualche soca che lo calsamme. Niente. E' corso alla finestra è l'ha fatto entrare. Il rigogolo ha svolazzato in giro parecchie volte, sfiorando con l'ala destra i dorsi dei libri che nascondono le pareti, come fanno i bambini con le dita sulle grate carcerarie dei giardini. Quando però, evidentemente deluso, il giallo pennuto ha puntato la finestra, JFK prontamente l'ha chiusa. Ha raccolto la salma e l'ha gettata in cambusa. Un altro spavento così e ci rimetto le penne, ha detto. Rimessosi, a ora di pranzo ha riaperto la cambusa e ha sbuffato: anche oggi rigogoli.  

domenica 19 marzo 2017

IL GIUSTO di Gaetano Altopiano







Considero Nietzsche quello che ha meglio chiarito il significato del “risentimento”. La rabbia ostinata verso qualcuno, o qualcosa, che molto più spesso di quanto pensiamo non ha alcun fondamento concreto, se non nella natura degli uomini che lo provano, i quali molto miseramente vivono nell’angoscia che altri, da qualche parte, possano essere felici. Si tratta di un sentimento “a prescindere” frutto di nessun motivo e dell’insana convinzione che il fallimento degli uni dipenda dal successo degli altri, e che dilaga a macchia d’olio anche se in realtà è maggiormente antico di quanto si creda. Persino Aristide, generale ateniese artefice della vittoria di Maratona, ne restò vittima, ostracizzato e mandato in esilio nonostante fosse chiamato “il Giusto”. Un votante analfabeta che non lo conosceva quel giorno gli si avvicinò e, porgendogli il suo ostrakon, lo pregò di scriverci sopra il nome di Aristide. Il generale chiese all’uomo se quello gli avesse fatto qualche torto. No - fu la risposta - e non lo conosco nemmeno, ma sono stanco di sentirlo chiamare sempre “il Giusto”.

STORIE DEL SIGNOR JFK (77) di Francesco Gambaro




Pur non essendo un transgender, a JFK, quando ogni mattina fa running tra bagno e cucina, viene il desiderio di un reggiseno. Le sue mammelle, infatti, da un po' hanno cominciato a ballare troppo e, talvolta, fastidiano gli occhi. Essendo notoriamente un solitario, esita a scendere in paese per comprare l'inequivocabile indumento. Opta per una fascia scapolare Gibaud. Poi, con uno spiffero di voce, al farmacista ordina all'orecchio: e anche un reggipalle.

sabato 18 marzo 2017

venerdì 17 marzo 2017

L’IMPREVISIONE di Gaetano Altopiano



La prima volta che vidi me stesso fu in prossimità della stazione ferroviaria in cui dormii la sera della licenza. La notte trascorse quasi tranquillamente, se non per il monotono mormorio di un ruscello vicino al mio giaciglio e per le ripetute incursioni delle zanzare, e solo all’alba il mostro si materializzò in tutto il suo orrore. Non credo ci sia uomo che possa guardare la propria figura senza piangere, e almeno una volta questa tragica esperienza capiterà a tutti. Mio padre racconta di averla vissuta a tredici anni: frequentava la scuola agraria e si vide mentre zappava un filare di cavoli nell’orto dell’istituto mentre in realtà era affacciato a una finestra. Non ricorda di essersi commosso, ma i ragazzi non conoscono ancora la nostalgia di se stessi. Io mi vedevo da dietro, rannicchiato sulle ginocchia e intento a baciare una donna che non avevo mai visto. Sentii molto la mia mancanza e mi addolorai. Tentai di accendere un fuoco nella speranza di riscaldarmi, ma mi fermai subito: difficilmente il calore sarebbe arrivato a quella distanza.

STORIE DEL SIGNOR JFK (76) di Francesco Gambaro




JFK non ha ricordi: delle felicità che irruppero su di lui come giardinetti, della stravagante donna che lo concupì durante una messa funebre, degli amori che andarono e vennero come i putti del Serpotta, di una vecchia suora che lo sfiorò col segno della croce. Lo vedo, disse lui rapito. 

giovedì 16 marzo 2017

mercoledì 15 marzo 2017

martedì 14 marzo 2017

(L'OCCHIAIA. 27.) di Elio Coniglio


 In una qualche maniera scavalco la cancellata, alta, di un bianco immacolato, e, alcuni passi più tardi, mi imbatto nella prima di queste enormi vasche circolari in cemento,  interrate e sparpagliate qua e là, fra le stoppie semi-carbonizzate, nella assolata campagna sicana. Infastidite dalla sguaiata invadenza dei miei sguardi, torme di mosche, si levano in volo dalle putrescenze  ristagnanti in fondo alla vasca: impossibile sfuggire a questa nera moltitudine inciprignita che di continuo accerchia e scontorna la mia figura! Do vane manate a destra e a manca mentre barcollo, stordito dal ronzio assordante, verso la vasca successiva, piena questa e fino all’orlo di un liquido mucillaginoso, maleodorante, infido…  Vinco sul nascere ogni paura, ogni ripugnanza, trattengo il respiro, chiudo gli occhi poi mi tuffo  e nuoto, nuoto finché non raggiungo il fondo… Quando riemergo in superficie la mia pelle riluce sotto i raggi già estivi del sole; - non c’è traccia degli immondi insetti molesti ma una voglia pressante mi spinge dritto verso la prossima vasca…   

OLTRE LA SESSUALITA' di Francesco Gambaro

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lunedì 13 marzo 2017

PERCHE' SOGNO SEMPRE PALERMO di Francesco Gambaro




Sogno di chiedere una parker al tabaccaio di lusso di piazza Virgilio. Abbiamo l'ultima, mi dice, ma ha un cancro. Aspetti, le faccio vedere. Apre la vetrina, la prende, vede, mi dice dopo averla svitata. Uno scovolino esce, parallelo al refil, come un prolasso di un centimetro e mezzo. Non si può fare niente? Potrei operarla, tornerà come nuova ma, per farlo, dovrebbe firmarmi una liberatoria e, inoltre, dovrei registrare la sua carta d'identità, lei è maggiorenne, vero? Per amore di parker esco la carta dal portafogli e gliela porgo. Stia attento con quel portafogli, oggi sono venuti due volte. Mentre, con un seghetto tagliabalsa, chiamato volgarmente cutter, comincia l'asportazione, entrano: pistole spianate, prima due, poi un esercito di incappucciati. Approfitto della confusione per allungare il braccio e nascondere la mia parker operata sul piano alto di un espositore. Mi aggrappo alla maniglia a fatica, tra urla e spintoni, tento di guadagnare la bussola ripromettendomi: mai più autobussola in Palermo.

domenica 12 marzo 2017

ECCO IL GATTO di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/12/ecco-il-gatto/

LO SCRUTATORE D’ANIME 2 di Gaetano Altopiano






Immaginavo che fin quando non mi fossi sbarazzato di una convinzione sbagliata, di un libro pericoloso e di una sconosciuta che avevano impunemente intralciato il regolare flusso della mia vita e dei miei pensieri non avrei potuto più realizzare i progetti che avevo in mente. Pensavo che il mio futuro si fosse contratto. Che il mio mondo si fosse ritorto in una sola idea, in un solo libro, in un’unica terribile faccia che non avrebbero mai smesso di angosciarmi. Pensavo fossi diventato una pietra, ormai, o un albero secolare. Ma mi sbagliavo: una negoziazione con la realtà era ancora possibile. A condizione - mi fu detto - che smettessi di definire il mio cervello con la parola “mente”.


















sabato 11 marzo 2017

LUI E LEI di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/11/lui-e-lei/

INTIMITA’ IN DIVERSE GRADAZIONI di Gaetano Altopiano







Lo scenario che molti immaginano quando si rivolgono a qualcuno, o a qualcosa, usando o anche solo pensando all’Intimità (definita troppo riduttivamente come condizione di particolare vicinanza fisica o emotiva tra due esseri umani) è uno dei più travolgenti per il piacere che gli procura. Ma solo perché a questo concetto - grazie a una pessima istruzione - associano due idee che li impegnano e li gratificano in modo particolare: segretezza e esclusività. Difficile infatti pensare a un’intimità che non sia anche segreta e esclusiva e che non procuri piacere, poiché avrebbe l’aria di una contraddizione. Eppure molte intimità sono addirittura disgustose, e in effetti sarebbe maggiormente corretto parlare di intimità in diverse gradazioni. L’intimità che ho con le mie piante, ad esempio, quando ci lasciano soli e in santa pace, non è paragonabile a quella che ho col mio cane, né questa, a sua volta è paragonabile a quella che ho con i miei testicoli. Ognuna di loro è segreta e esclusiva a suo modo ma non necessariamente deve procurarmi piacere. L’ultima, in particolare, non me ne dà alcuno.

giovedì 9 marzo 2017

L’INSALATA DI MARE di Gaetano Altopiano







Nasi come il suo mi spingerebbero di sicuro all’indagine in altri momenti. E anche il modo che ha di tenere la sigaretta tra i denti, in altri momenti, mi spingerebbe a una diagnosi approfondita. Ma adesso sono occupato a osservare, proprio di fianco a lui, qualcosa di maggiormente interessante: un paio di metri più indietro e attraverso una finestrella, il suo compare (cuoco di quella bettola) affetta un polpo ancora fumante. La carne di quella bestia si sgrana facile sotto il coltello. E a ogni colpo di bisturi (che ogni chirurgo chiamerebbe “incisione primaria”) vapore che si sprigiona e biancore incantato. Sostanze lattee. E a un certo punto trionfo di melanina nera che si rilascia dalla sacca vicina ai suoi tre minuscoli cuori. Anche il cuoco mi lancia occhiate. E’ pronto impiattato, grida. Da adesso in poi mi aspetteranno giorni terribili: a queste condizioni, in queste condizioni, con facce simili e simili parasinteti verbali, sarà ancora corretto chiamare quel piatto insalata di mare? 

STORIE DEL SIGNOR JFK (75) di Francesco Gambaro




Libero. JFK si liberò delle scarpe e infilò le Birkenstock. Poi si tolse anche le calze, e reinfilò le Birkenstock. Libero libero. JFK non è un camminatore. A 84 non si può. Vorrebbe sul marciapiedi che circonda a circuito chiuso la casa. Invece no. Poco o niente. Dall'abbaino alla cucina, dalla cucina all'abbaino. JFK è soprattutto un posteggiato. Posteggia se stesso al centro del movimento. E' il centro di se stesso. Da dove si ferma non si sposta per ore e ore. Ogni tanto, per carità, un battito palpebrale, un leggero bilanciamento della spalla. Però, contemplandosi, mantiene se stesso in bilico in una specie di fermo-immagine alla formaldeide. Una ballerina di Degas? no. Un marmetto di manna da cellophonare? no. Una memoria di qualcuno che non sarà più? E perché no?

mercoledì 8 marzo 2017

martedì 7 marzo 2017

LA PASSEGGIATA di Gaetano Altopiano






Sui tentativi di stare fermi facendo finta di passeggiare tre note importanti. Paul Valery, nel ‘34, scrisse La conquista dell’ubiquità sostenendo che un giorno ci saremmo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni con un semplice gesto della mano, che equivaleva a dire che si possono allevare indifferentemente sia un cane che un lombrico, dato che entrambi sono animali alla nostra portata, ma non si speri mai che il secondo partecipi attivamente alla nostra vita. Seppure l’unico erede delle acque minerali Vichy si era già spinto molto oltre, scrivendo poesie magnifiche e comprando abiti da mille dollari (erano i primi del ‘900) ma indossando ogni giorno la stessa tuta da meccanico. Ovverossia, tentando di star fermo facendosi chiamare Valery Larbaud, provando a camminare sotto lo pseudonimo di A.O. Barnabooth, e, in altre occasioni, di Tourmier de Zamble. La terza riguarda le parole indeclinabili, e in più gli opposti come invito e divieto, partenza e arrivo.




A QUALE NUMERO DEVO CHIAMARTI di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/07/a-quale-numero-devo-chiamarti/

domenica 5 marzo 2017

STORIE DEL SIGNOR JFK (74) di Francesco Gambaro




Indispettito per non avere visto nessuno ai suoi funerali, né familiari né amici né frequentatori abituali di funerali, JFK si presenta, nei giorni successivi alla propria scomparsa e all'ora di pranzo, nelle loro case. Senza nemmeno bussare, né salutare, avvicina la prima sedia libera alla tavola intorno, alla quale commensali basiti celebrano il rito carnale del mangiare, e assaggia un po' di qua e un po' di là, un po' di tutto da ognuno. Senza ringraziare va via, satollo ma non troppo, intenzionato a visitare gli altri piatti dei non pochi viventi che hanno disertato il suo funerale. 

sabato 4 marzo 2017

NON FINITO 2 di Gaetano Altopiano



Durante il mio periodo più nero usavo fare il morto nei posti maggiormente solitari. Individuato quello adatto, lontano dal tramestio, dai banchi di frutta e verdura e dai negozi di detersivi, mi abbandonavo al destino che mi aspettava e crepavo. Nessuno mi compiangeva e questo era ciò che volevo, giacché ero un grande pessimista. Ma nei periodi migliori fabbricavo jeans in provincia di Urbino e tomaie nel maceratese. Facevo un pacchetto benessere tre volte l’anno e, in generale, ero portato per le lingue straniere.

STORIE DEL SIGNOR JFK (73) di Francesco Gambaro




Quando JFK si sveglia la mattina, si sveglia col pensiero. Si alza col pensiero e col pensiero va a pisciare. Si lava, decide se farsi i denti o no, se lo stomaco ha bisogno di liberarsi o no, se asciugarsi o lasciarsi bagnato che oggi fa già caldo. Fa una corsetta in corridoio per sgranchirsi. Dondola la testa per liberarla dal torcicollo. Del caffé o di un bel croissant caldo non ne ha mai avuto bisogno. Dei francesi nemmeno. Si affaccia al balcone del suo seminterrato e, con il braccio trigonometrico, fa il gestaccio di affanculo il mondo. Un’altra corsetta e di nuovo a letto.

venerdì 3 marzo 2017

L’IMBROGLIO di Gaetano Altopiano





Nella fenomenologia del passeggero spesso si osservano calzoni a quadri e anche molte camicie e pullover a tinta unita, se di sesso maschile, ma prima di ogni cosa la possibilità di una sua mancanza. Quello che permette di passare da un treno all’altro perciò è la coincidenza, non lo snodo a mantice che collega i diversi vagoni e in tv imbrogliano molto su queste cose. E anche al cinema. Bisogna prendere tutto con la dovuta cautela. Non ci si può fidare di persone che ci frequentano con esasperazione. E questa, secondo me, è la vera natura delle cose: la nostra storia cambia tutte le volte che cambia il tempo. Quando obliteriamo un biglietto, definitivamente.  

COS'E' LA VOGLIA di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/03/cose-la-voglia/

giovedì 2 marzo 2017

L’INADEGUATO 4                  di Gaetano Altopiano




Si allontana con apprensione da quel mondo che gli è tanto ostile. Avrebbe voluto fermarsi, capire bene, spingersi persino oltre le carezze per una volta. Ma non è nato per frequentare bordelli, l’astinenza è il suo luogo ideale. I-gin è una puttana alle prime armi, ciononostante è bene addestrata ma proprio come il suo primo cliente di quella sera ha paura. Non capisce cosa le stia capitando, se sia la luna calante, o se la faccia di quell’uomo l’abbia distrutta. Con un certo margine di errore, noi crediamo però che sia andata così: per alcuni solo il terrore è propizio all’amore. In altri animali il sentimento esercita una pressione insopportabile. Più spesso conduce lontani, tra le foreste di giunchi. 

L'UBRIACO SA di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/02/lubriaco-sa/

mercoledì 1 marzo 2017

UNA POSSIBILE VIA di Gaetano Altopiano







Una via che possa essere riconosciuta unicamente da chi ci abita. Che abbia, cioè, la singolare prerogativa di essere ricordata solo dai suoi residenti, e non per il fatto che tutti i giorni queste persone rinnovano il rito di appartenenza alla comunità locale col gesto di infilare la chiave giusta in una serratura, o perché sanno a quale indirizzo bussare con la certezza che qualcuno aprirà loro la porta, ma per ragioni ancora più logiche: chiunque altro non sia uno di loro non potrà conservarne memoria, dovesse passarci e ripassarci per il resto della sua vita si smarrirà di continuo. Costruzioni del genere ricorderebbero i 500 labirinti scandinavi, o il pavimento della Basilica di San Vitale a Ravenna, la casa di Asterione ma anche certe favelas di Sao Paulo o i sobborghi di Bollywood, dove anche i più furbi rischiano la perdizione, e più di ogni altra cosa dunque si tratterebbe di mistero. Ma solo chi riconosce una strada potrà pensare di immaginare logicamente una strada diversa da quella, e non chi non la riconoscerà: lui stesso, mentre descrive la sua fantasia, vive contestualmente in un carcere e in una scena domestica.


ZUCCHERO NO (per Leone di Lernia) di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/03/01/zucchero-no-per-leone-di-lernia/