martedì 31 maggio 2016

BOB DYLAN di Francesco Gambaro

"Le cose veramente naturali sono i sogni
che la natura non può toccare con la decomposizione"
da Io sono qui di Todd Haynes, 2007

L’OSSO PARIETALE DI ORNELLA di Gaetano Altopiano




A proposito di Ben Gazzara. La prima volta che vidi una donna con la testa rasata fu nel 1982 nel film La ragazza di Trieste, di Pasquale Festa Campanile, me lo ricordo perfettamente. Lei era Ornella Muti e recitava la parte di Nicole, la protagonista affetta da problemi psichici. Non avevo mai pensato alla possibilità unisex del taglio dei capelli a zero e ricordo che ne fui parecchio impressionato, più che aver visto una donna con baffi o con barba. Quello che mi turbava però, scoprii riflettendoci, non era tanto la nudità del cranio quanto la strana forma della testa di Ornella Muti, che ancora adesso non riesco a capire fosse effetto del trucco o era realmente quella : andate a rivederla, ha una zona parietale spaventosamente sproporzionata. Ma così affascinante.  

lunedì 30 maggio 2016

LA FESTA DEL MANDORLO IN FIORE (CANNES) di Gaetano Altopiano







Dalla Croisette. Ultime nuove. Addì, ventuno il Maggio l’anno il duemilaesedici. Alors. Il Penn di 21 grammi è un altro Penn del Penn de L’ultima faccia di Sean Penn. Un’altra pure la Theron Charlize, onestamente, sbrogliosamente, moltissimamente meglio come strip-teaseuse di casa Dior. Bardem Javier non ne parliamo, è meglio, ovvero, è peggio. Manco le scarpe può lustrare al sosia suo dei Coen di No country for old men. Un’altra cosa anch’isso. Un’altra la platea del festival, fischi schiamazzi cose così. Diversa pure Cannes, lavori in corso - deviazioni -sull’Avenue Bachaga Said Boualam. Pardon. Non è che, pour le cas, siamo alla festa del mandorlo in fiore di Agrigento? Cazzò. 

domenica 29 maggio 2016

NONVERSI DI GAETANO TESTA di Francesco Gambaro


da “Le città del sogno” mostra di Gaetano Testa a cura di Rosa Mastrandrea, Palermo, Teatro Biondo ottobre 1999 (fotomontaggio di francesco gambaro) 

TEORIA E PRATICA DEL BERE di Gaetano Altopiano




Misurarsi con gli americani è tempo perso, ho avuto modo di sperimentarlo. Tecnicamente sono proprio più “capaci”. E anche se si trattasse solo di 2 signorine eleganti, con tanto di tacchettino alto e borsa chanel, non necessariamente di giocatori di rugby, non fidarsi delle apparenze: in materia di sbronze sono seconde a nessuno dei loro connazional maschietti. Vi assicuro che, come loro, non temono confronti. Noi eravamo a metà della nostra bottiglia (l’unica) e loro già attaccavano la terza. La quarta arrivò mentre pagavamo il conto. Ma dove lo stipano? ( Palermo, borgo vecchio, ore 22,00).

sabato 28 maggio 2016

DISUNITI NELLA MISURA di Gaetano Altopiano




Stabilito che il metro sarebbe stato 1/10.001.957 del quarto del meridiano terrestre di Parigi (quello compreso tra il polo nord e l’equatore) nel 1889 si procedette alla realizzazione di un campione standard in platino-iridio (praticamente indeformabile) da conservarsi presso il Bureau international des poids et mesures di Sevres e definito come “barra n.27”. Chi volesse appurare la lunghezza della propria minchia, senza il rischio di cadere in errore, non aveva che da recarsi in quell’ufficio e verificare. Tutto questo fino al 1983. L’anno in cui l’inarrestabile, insopportabile, rompicoglioni schiacciasassi del progresso scientifico ridefinì il metro come “la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299.792.458 di secondo”.

ALTRI INCIPIT (A Ninni Truden - 2) di Francesco Gambaro



Così fan tutte, Tinto Brass, 1992

venerdì 27 maggio 2016

I PROTAGONISTI DEI RACCONTI DI GIANNI ALLEGRA IN FASE DI CLONAZIONE NATURALE di Francesco Gambaro
 tusa, 26.5.2016



NOMI E COGNOMI di Gaetano Altopiano



Quanto incide nella vita di ognuno il proprio nome? Tom Cruise, in Italia, si chiamerebbe Tommaso Crociera: pensate che con un nome tanto anti-hollywoodiano avrebbe avuto lo stesso successo? Il Whiskey Jack Daniel’s si chiamerebbe Marca Gioacchino di Daniele e Jud Law, nonostante il suo fascino sconfinato, si chiamerebbe addirittura Davide Giuda Tu pena Legge (il suo nome completo è infatti David Jude Heyworth Law). Impresentabile in una locandina. Tu con quel cognome non potrai mai essere preso sul serio, disse un poeta a uno che voleva diventarlo. Così accadde.


giovedì 26 maggio 2016

COGLIONI 10 (EMOZIONI) di Francesco Gambaro



Si diventa emodipendenti invecchiando, Chopin l’organetto di Tom Waits lacrimando, si ritorna a essere ciglioni coglioni. Oggi comprato da un malandato signore in Ape un chilo di albicocchi, un chilo di nespoli, un chilo di pomodora e tre melenciani. Poi, dopo avere pagato, ecco la mano malandata del signore, infilare nei coppi tre nespoli, quattro albicocchi, una melenciana e un altro grappolo di pomodora. Ciao. Adescamento, marketing, eh che cazzo, non ho capito un cazzo del mondo e della bellezza della morte.
Palermo, ore 12 e 21, piazza Don Bosco, angolo via Sampolo. (domani mi toccherà svegliarmi salesiano).

GOD SAVE THE QUEEN di Gaetano Altopiano



In sostanza l’uomo è l’unico animale che si industri per perdere calorie. Non ce n’è un altro - dico uno - che in tutto il regno animale si comporti in modo simile. Si è mai visto un orso che cerca di perdere peso? O un bruco che rinuncia a un tenero germoglio? O forse pensiamo davvero di essere gli unici ad aver capito tutto? Tirare il freno a mano a sir Charles Darwin e fare di testa nostra, non è la prima volta che diamo segni di diserzione. Suca suca, direbbe lui: strutturalmente la nostra è un’abitudine contro natura, pensiamo di metterci al sicuro, e qui sbagliamo. “People should stop counting calories” dicono i soliti inglesi (che figata) e il loro studio nuovo di zecca ammette che anche il grasso fa bene alla salute, che non bisogna eccedere con lo sport e che nutrirsi di sola verdura porta al fallimento. God save the Queen (and the British).
È COSI' di Francesco Gambaro
Se ho gli occhiali a tracollo dimentico di metterli, se non ce l'ho mi dispero. Groddeck forse. O Linus. E poi, è così.

mercoledì 25 maggio 2016

STORIE DEL SIGNOR JFK (32) di Francesco Gambaro



Il giorno in cui JFK ricordò tutti i suoi sogni, aveva appena 84 anni, tutti i suoi sogni vennero al suo capezzale. Parlavano per immagini per non fargli pesare le parole. E' questo male, dicevano, che ti farà bene. Volavano un po' fuori, un po' dentro la testa. Discretamente come una estrema unzione o una benedizione. In quel momento JFK ricordò pure tutti i film visti e le fotografie fatte, le pipì fatte e quelle trattenute, ogni radice dei suoi milioni di capelli, il morso severo di sua moglie quando gli perdonò l'ultimo tradimento, il primo grazie stupito al polacco pulivetro. Gli stavano tutti al capezzale non come ricordi, merli affamati e rapaci che o prima o dopo gli avrebbero bucato gli occhi, se non se ne fosse andato per tempo.

martedì 24 maggio 2016

NOTIZIE DALL'AUSTRIA di Gaetano Altopiano




Quello che mi tiene col fiato sospeso, se permette, lo stabilisco io, sucaminchia di un signor TG1. Ma è possibile che ogni volta tutto quello che lei ritiene importante, persino il fatto più ininfluente, debba farlo passare per oggetto di interesse continentale? Delle elezioni in Austria, per esempio, me ne importa ma molto relativamente (soprattutto perché considero il risultato fasullo): perlappunto, non stavo affatto col fiato sospeso. Piuttosto ho una domanda pressante che mi interessa molto: sarà vero che W. B. Yeats si fece impiantare una protesi al membro al chiarissimo scopo di perpetuare le proprie prestazioni sessuali? 

MA POI SIAMO SEMPRE LLA' di Francesco Gambaro




Ma poi siamo sempre llà: per chi vota la gente? Ieri sentita una illuminata massaia viennese dire, non voterò Van Der Bellen perché è vecchio ha la barba e i denti gialli storti e cariati. Caro brutto sporco e cattivo Manfredi, la bellezza vuole pure la sua parte, no? Anche se zoppica come Hofer o è paraplegica come Schauble. Ma poi siamo sempre llà, con tanti balilla delle scuole bene di Palermo che a domanda rispondono, mi sento emozionata perché oggi Giovanni e giov, no, Paolo mi sembrano, no, mi sembra che siano di nuovo qui insieme a noi bambini. Ma poi siamo sempre llà, che non riusciamo a liberarci da maestre suggeritrici terrorizzate dalle direttrici, da sorelle che eliminano cognate, da magistrati che-con-il-salto-della-quaglia, da eleganti uomini senza qualità che, in prima fila e in divisa, sbavano sulle loro stesse mani plaudenti per un ritorno degli Asburgo.

lunedì 23 maggio 2016

BACINO POUND di Francesco Gambaro




Casa Pound propone un piccolo insediamento in Libia per arginare il flusso migratorio ma, dalla Libia gli emigranti si sposterebbero in Tunisia, dunque un altro piccolo insediamento in Tunisia, da lì spostamenti di partenze e inevitabili altri insediamenti patriottici in Algeria, in Marocco, in Egitto con relativa e definitiva chiusura di tutti gli sbocchi a mare, infine un ultimo piccolo insediamento nel bacino del Congo, circondato dalle naturali frontiere dei suoi altopiani e dai monti Mitumba, Shaba e Katanga, dove chiudere tutti gli sbocchi ai 101 militanti di Casa Pound con buona pace di Ezra che avrebbe preferito Rapallo come piccola colonia di isolamento.

A FRANCESCO CHE MI RICORDA CHE ABBIAMO TUTTI UN VERME DA COM-PIANGERE di Gaetano Altopiano


“Dopo il piacere del letto
Debole come un verme
La sua verga e la testa d’ariete
Flaccida come un verme,
Il suo spirito che si è dileguato
Cieco come un verme.”
W.B.Yeats, seconda canzone dell’ancella.

sabato 21 maggio 2016

AD ALFONSO LENTINI, DISEGNATORE DI PAROLE di Francesco Gambaro




Tradurre vuole dire stralunarsi. Mi sono stralunato traducendo tom waitts, mi straluno traducendo dal tedesco, che sconosco, paul celan. "Sentii dire che nell'acqua c'era una pietra e un cerchio e sopra l'acqua una parola che disegnava il cerchio attorno la pietra. Ho visto il mio pioppo scomparire nell'acqua, un braccio disperarsi verso il fondo e sperarsi verso il cielo della notte. Non gli tenni dietro, raccoglievo briciole dall'occhio, forme che strappai come perle di una collana, ne ho fatto orlo, merletto da tavola con parole lavorate che finiscono sotto gli aghi in briciole. Und sah meine Pappel nicht mehr, E alla mia vista sparì il pioppo."

da "Di soglia in soglia", Einaudi, 1995

(L'OCCHIAIA. 21.) di Elio Coniglio



   Vento gelido, teso. Stoppie e foglie, tante foglie e tutte di frassino, rincorrono un nord ideale. Ma le pianure filaghesi appaiono inverosimilmente vuote. E la terra, pesante per le piogge recenti, è di un grigio pietroso.   Ho un volto arcigno mentre frugo dentro la carcassa arrugginita della millecento impantanata nel terreno in leggera pendenza e vicina ad un albero secolare, protettivo. Tiro fuori i pezzi del motore e un panzuto sacco di tela grezza su cui spicca una scritta a stampatello, vermiglia. Il sacco è pieno di vecchie noci. Ne schiaccio una, porto il gheriglio  in bocca e mastico:  è di un amaro verminoso…  Lo sputo…

ABITI E MONACI 3 di Gaetano Altopiano





Ma se riempire spazi vuoti, inevitabilmente vuoti e inevitabilmente bisognosi di essere riempiti, tra un titolo diversamente intelligente e il solito immutabile, immancabile, unico, statico ossessivo mantra che risuona ogni santa mattina come la tromba di un santissimo alzabandiera, sia la priorità di un quotidiano lo stabiliamo subito: possibile che il popolo israeliano sia il quinto tra i più felici del mondo? Ma che cos’è - mi chiedo - esattamente una statistica, e quando è degna di essere presa in considerazione? Il titolo è “L’insospettabile felicità di Israele”. Taglio basso del Feuille du 12 Mai.

SESSO ELEMENTARE di Francesco Gambaro





Infastidito dai mio turpiloquio linguetico, Roberto Bologna 1977, Roberto Di Marco mi spiegò che l’autore porno non scrive servendo il linguaggio scurrile dei topi di genere, tuttalpiù  giostra o gioca con le metafore, ma neanche così. L’autore pornografico può raccontare lo spaventoso mistero del sesso solo con parole elementari, con parole che anche i bambini. Leggi, mi disse, Amalia. Torino 1881, Amalia Guglielminetti, che scrisse di mughetti, inorgogliendo sino allo spasimo il battito accelerato di Priapo. Se vuoi rapinare in gioielleria, ti vestiresti da rapinatore? E di Tiziana Palermo 1980, che dire? Tiziana Palumbo: cosa continuo a scrivere se non ti viene duro?

venerdì 20 maggio 2016

ESTETICA DURATURA di Gaetano Altopiano



Non riuscivo a capacitarmi di certi comportamenti: possibile che certuni riescano a conciliare la convinzione di essere degli artisti con la prova  - quotidiana - di non riuscire a esserlo? Vivono questa dicotomia in assoluta tranquillità, altrimenti avrebbero smesso di scrivere, vi pare? Oppure non ne hanno percezione. Ecco. Mi sono tranquillizzato leggendo gli studi di Semir Zeki, professore di Neuroestetica a Berkeley, che per trent’anni ha studiato la  corteccia visiva, secondo il quale l’estetica presuppone una conoscenza minuta e complessa della visione, e giacché una conoscenza del genere non può essere raggiunta in assenza di un discorso neuroscientifico, allora un’estetica che abbia pretese “durature” di validità dovrebbe essere biologicamente fondata. Il resto, perciò, sarebbe biologicamente infondato. Spiegato: non ne hanno percezione.  

CARO CHE MI RICCHIAMI? di Francesco Gambaro


Caro chemmiricchiami, io questa palora che tu mi hai scrito collo sms, pertugio, forse che vuole dire pirtusu, con l'amore si storciono le palore, mi è piaciuto tanto quando miai deto dei tui buggett, che suona bene bene, tanti buggett anche pittia, ma tu sei più curturato di mia, tu nella squola io nella cammera sensa finestrino che quando ci hanno visti che ci abbiamo fidanzati me l'hanno ttuppato. Mio padre mi dice parla con tua madre, mia madre parla con tuo padre. Intanto non mi passano manco un piatto di linticchi, ma ti penzo e ti scrivo questi piccoli mie quoricine per dirti che il nostro amore non ti lascerà, sento che tu mi senti da dove sei, e presto faremo l'amore dinuovo, sensa che i tuoi sensa che i miei, e che poi lo chiameremo gesù.

giovedì 19 maggio 2016

A PIETRANGELO BUTTAFUOCO V/S MERCEDES di Francesco Gambaro



La differenza è che la Mercedes srl la possono guidare anche i trogloditi della guida, la Ferrari, anche gli evoluditi, la vanno a sbattere prima di uscire dal parcheggio e non capiscono la differenza, la poesia rumorosa del suo cambio. Ferrari non è una griffe. E' una machina italiana. Giano Agnelo, vanitoso, girava in 500, Alfio Marchino lasciatemelo libero in Ferrari. E che cazzo con questa Germania e con questo sputapiatto di Niki Lauda. L'onecchio vangoghiano glielo restituiremo. Insieme all'intero debito pubblico italiano.


Rfr: Il Foglio, 18 maggio 2016

DALLA TERRA ALLA LUNA di Gaetano Altopiano




Se Verne preventivò in ore 97 + 20 minuti la durata del viaggio che avrebbe portato il suo proiettile sulla luna c’è stata una ragione. L’obbligo della precisione. Se è stabilita una “misura”, è proprio perché questa non sia confusa con un’altra, pena la perdita di significato. Lo stesso vale per le parole: siano precise e non inducano in errore. E anche se fosse, come probabilmente è stato, frutto esclusivo della sua fantasia, dato che nel 1865 nessuno aveva la minima idea di cosa potesse essere o quanto potesse durare una missione spaziale, non importa, il tema rimane lo stesso: essere obbligati alla precisione. E Jules Verne, “precisamente”, aveva in orrore l’equivoco. 

DIETA D'AUTORE di Francesco Gambaro




Dice: che metto?
Dice: prosciutto cotto e salame.
Dice: napoli?
Dice: sì, napoli
Dico: ma lei è disperato.
Dice: perché?
Dico: è come ordinare melenzane con gelato vaniglia.
Dice: ma lo deve mangiare lei questo panino? E se ne va.
Dice: e a lei che le servo?
Dico: un panino con gelato vaniglia e melenzane.


mercoledì 18 maggio 2016

QUATTRO PUNTI ESCALMATIVI di Gaetano Altopiano





Ogni tanto qualcuno supera addirittura se stesso. E ci frega. Ammettiamolo. Può essere automatismo, un buttarla lì senza averci pensato, o, l’impegno di esserci sempre, per forza e comunque che finisce col dare i frutti sperati: la tua immagine peggiore fratello. Perlamiseria. Che il social ci ricordi i compleanni è risaputo, che scriva, all’interno di una stringhetta: “auguragli buon compleanno”, lo sappiamo. Ma. Oltre i limiti dell’immaginabile gli auguri di buon compleanno a un bed&breakfast. Su Fb, oggi. Con tanto di punti esclamativi. Quattro. 

SPARATEVI di Francesco Gambaro




L'assicurazione SOON vi rimborserà in tempo. Imboccatevi l'assegno e fatela finita. L'orologio qui dice tutto in meno di un secondo. Sparatevi per non perdere il diritto alla primialità. Siamo con voi. La nostra SOON è l'unica assicurazione che tutela i suicidi. É ora, and now, sparatevi. Abbiamo poco tempo prima che il governo emendi. Sparatevi. Imboccattevi l'assegno. Soon soon.

martedì 17 maggio 2016

OGNI PAROLA HA DIRITTO DI PAROLA (alle impiegate delle catene e nelle catene mondadori) di Francesco Gambaro


è come se le signorine che nascondevano sotto il banco negli anni cinquanta le pruriginose ultime lettere di jacopo ortis nsieme ai loro vesperopensieri stampigliati di cuori crocefissi disattendendo dante e il cavalleggero cavalcanti avessero ripreso sopravento e l'editoria italiana dalla tamaro impoy fosse loro grata per il rinato fluvio di nascondimenti secretati dai nonso vedasopra vedalei faccialei ogni loro parola una freccia segnalettica va diritto al grasso dell'altrove nconoscibile rilasciandole felici alloro posto di lavoro luogo di desiderio e nulla massimo che non nasconde niente sottobanco le ultime furono le ultime e non è un porcile ma la libreria mondadori dove il nulla grufola facendosene ragione.


lunedì 16 maggio 2016

LE ULTIME FAMOSE di Gaetano Altopiano



L’idea che le ultime parole dovrebbero essere di una saggezza particolare è comune a tutta l’umanità, anche se va contro ovvi ostacoli fisici e psicologici, perché di solito morire è una faccenda talmente impegnativa che lascia poco tempo e scarse forze per scandire sentenze incisive. La necessità di proferire ultime parole memorabili, e insieme l’impossibilità di farlo, furono espresse al meglio da Pancho Villa. Mentre il rivoluzionario messicano era in punto di morte, vittima di un assassino (1923) implorò un giornalista: Non lasciatemi finire così. Raccontate che ho detto qualcosa.” (Karl S.Guthke, Letzte Worte. Variationen uber ein Thema der Kulturgeschichte des Westens – Beck, Munchen, 1990, p.18)










IL GOBBO IL ZOPPO IL GUERCIO di Francesco Gambaro




Non sono nato gobbo, per questo mi è piaciuto fare il gobbo, spingere le spalle sino alla nuca, che sembro gobbo vero. Non vedere chi incrocio, solo scarpe, il minimo indispensabile per scansare uomini e cielame. Non sono nato zoppo, ma zoppico, faccio lo zoppico sino da bambino. Me lo ha insegnato Giovanni, zoppo vero. Ci sono riuscito imitandolo nel mio stanzino, il rumore sinistro era la parte forte, non più un bambino stereo, il volume dei passi in mono. Da allora, quando i miei mi chiamano, a tavola arrivo zoppicando. Strascicavo così felicemente il piede destro che sono diventato zoppo meglio di Giovanni. Benissimo, mi dico, e ora voglio diventare cieco. Almeno di un occhio. Ne chiudo uno, non mi viene facile tenerlo chiuso per molto, allora rubo la ventosa di mio fratello, che così i miei gli curavano lo strabismo. La tengo giornate e notti intere in fame d'aria sul mio sinistro. Quando la scollo se ne viene pure l'occhio, un guercio vero. Oggi, che sono gobbo zoppo guercio, mi è venuta la passione di diventare sordo e muto. Seguo i corsi regolari per audiolesi, dove mi ha iscritto mia figlia che lì insegna e muovo le mani come fa lei, in un certo senso, a mia insaputa. Ogni tanto perdo l'equilibrio e cado. Quando cado ci resterei caduto. Da quando i miei mi portarono a vedere il sacrario di Redipuglia, volli, fortissimamente volli, diventare anche io, da grande, un caduto. Vero.

domenica 15 maggio 2016

(L'OCCHIAIA. 20.) di Elio Coniglio



  Gioco a palla con altri bambini nel piazzale su cui si affaccia la casa. Dietro i vetri polverosi delle tante finestre spiccano i candidi volti delle ragazze che ci guardano.  Quando Qualcuno da un calcio volutamente maldestro alla palla e questa, dopo una parabola quasi perfetta, finisce ineluttabilmente dentro uno dei balconi,  uno di noi, - di solito il più giovane – corre più veloce che può verso il pettoruto portone d’ingresso della casa, bussa con mano pesante e questo, un solo attimo dopo, si apre per richiudersi alle sue spalle non appena oltrepassa la soglia…

SIMPATICAMENTE, IMMANCABILMENTE di Gaetano Altopiano





L’odiosa abitudine di sciorinare il proprio magro repertorio: “simpaticamente”, “immancabilmente”, gli avverbi più golosi. La corsa al sorriso degli altri, il titillo dell’humus femminino, l’illusione di essere stati, oltre che maliardi, pensa un po’, addirittura creativi. Non uno si salva. La verità è che la massa informe si è molto evoluta e ha raggiunto livelli ultra-industriali, produce teste di cazzo che non riescono a azzeccare nemmeno una marca di birra. Studiateli bene. Fanno un percorso tragico, guidato come il tunnel di un mattatoio: si entra da questo buco signori, si esce dall’altro. Più brilli sì, ma inutili come prima.


STORIE DEL SIGNOR JFK (31) di Francesco Gambaro



TOP ONE
Il topone sta all'angolo, tra la secchia del netturbio e il bottiglio. Sembra nascondersi, nascondersi per pensare, per pregare, forse solo per pesarsi. Immobile, tranqVillo, offre il culo a JFK. La coda, la codona da animale di razza lo tradisce. Ella, in alzabandiera, si mostra luccicante agli occhi famelici di JFK. Ella si agita come il pendolo di un antico orologio a pendolo. Ella adesca JFK e vuole essere presa. Non c'è dubbio, pensa JFK cadendo nella trappola lucertolina. Ne afferra la punta e con uno strattone immagina di avere fottuto il topone. Invece si ritrova una coda posticcia tra polliccia e indiccia. Adesso, sarà più difficile chiappare il topone?

TOP TWO.

Sorry, game over.

sabato 14 maggio 2016

ISLAM BANKING di Gaetano Altopiano



Banca Etica”, di cui mi pare aver visto fisicamente anche una filiale, non è un nome di fantasia. E non è nemmeno originale. Chi conosce la finanza su scala mondiale sa bene che questo termine identifica il principio fondamentale osservato da ogni banca islamica, nessuna esclusa, che appunto, contrariamente ai principi di quelle occidentali, è esclusivamente l’Etica. Non il profitto. L’Islam aborrisce l’usura, e non solo in teoria. Gli anglosassoni, infatti, soliti precursori, definisco la morale bancaria proprio come “Islam Banking”.
Guglielmo Apollinare)





NON PER VIGLIACCHERIA di Francesco Gambaro




La mattina che fui rimproverato, spostai subito la automobile che aveva ostruito il quarto di saracinesca di un artigiano per un quarto di minuti dall'orario di apertura. Dopo qualche giorno mi accorsi che aveva firmato, probabilmente con coltellino svizzero, il cofano: una specie di ideogramma, un solco di fantasia, di rabbia, di deviante giustizia proletaria. Non per vigliaccheria non ritornai a rimproverargli la sua vigliaccheria. Il tuo tempo è sacro, dice Confucio, non ritardarlo con interruzioni materiali.

venerdì 13 maggio 2016

CONTROLANGONE UNO DUE di Francesco Gambaro




CONTROLANGONE (qualche anno fa)

Visto che risponde e sente il peperoncino di certe domande dico a Camillo Langone che, pur di avere figli e nipoti, li chiamerò Samantha Deborah Nichel Arafat Kevin Swami Bo, Bo Gambaro, perfetto. Non già Giuseppe e Maria, nomi che hanno rotto il cazzo e che non sanno guardare la ficaterra dal finestrino di un astronave e nemmeno la ficastronave dal basso verso il cielo come già Giovanni della Croce.
(dedicato a chio, ra, areta, gea e samantha cristoforetti)

CONTROLANGONE (oggidì)


Adesso capisco perché Camillo c'è l'ha sempre avuto con Cristoforetti Samantha, non perché donna stronauta, donna con nome da strega (“questo non lo dico io, lo dice 'I nomi di persona in Italia. Dizionario storico ed etimologico', Utet 2005” e che cazzo, altro che Bibbia) ma perché accoppiatasi, nomen omen, sotto le stelle col Cristo dei foretti e dei bucanieri. Cristo, quanto c'ho messo per capirlo. 

L’AMACA, IL NONO COMANDAMENTO E JOHN FANTE di Gaetano Altopiano



Non desiderare la donna d’altri: non pensare a Rosa Pinelli, a Joan Crawford, a Norma Shearer o Clara Bow. Oddio, oh Rosa, quanti peccati, quanti peccati, quanti peccati. Era iniziata a quattro anni, senza commettere peccato allora perché non ne era consapevole. Cominciò un giorno, mentre era steso su un’amaca, dondolando avanti e indietro, e il giorno dopo era tornato su quell’amaca fra il pruno e il melo, nel cortile di casa, per dondolarsi ancora.”

(John Fante, Aspetta primavera, Bandini) 

giovedì 12 maggio 2016

VINCINO: MATTEO E RENZI OGGI SPOSI di Francesco Gambaro




Vincino, con la vignetta d'apertura del Foglio che li ritrae mano nella mano, ha superato se stesso. Finalmente l'androgino Nostro Presidente del Consiglio toscano, colpetto dopo colpetto, potrà continuare a sodomizzare la Sinistra italiana in grazia di Legge.

A VERBALE 2 di Gaetano Altopiano




Anche se essere messo a parte di una confidenza non può che farlo sentire importante, è solo il divieto di rivelarla che lo ossigena attivamente. E’ un pressing adolescenziale incontenibile: deve confessarla a sua volta. E non importa il destinatario, bastano orecchie aperte e prontezza di spirito. Scalpita, addirittura. Tutte le volte, però, che intende condividere un segreto viene a guastargli la festa l’immancabile senso di colpa. Una vera e propria seccatura. Così non c’è soffiata che riesca a trasferire in maniera decente. E’ tipico: rincula a metà percorso e lascia il lavoro incompleto. Mi fa venire i nervi.

mercoledì 11 maggio 2016

I MAGNIFICI 7 di Francesco Gambaro




Compreso quello lì, come si chiama?, Giletti, fanno sette. Sette conduttori per sette talk show. E tra 951 parlamentari girano in sette nei sette talk. E tra i 110 mila giornalisti girano in sette nei sette talk. Gli stessi magnifici 7. Si incrociano, si scontrano, si chiedono scusa per avere scambiato studio televisivo. Ma lei che ci fa in gabinetto, sottosegretario Gennaro Migliore? Per favore, lasciatemi libero di pensare cinque minuti. Sì ma questo è il gabinetto di LA7. Ah, non è quello di Gerardo? 

martedì 10 maggio 2016

STORIE DEL SIGNOR JFK (30) di Francesco Gambaro




Sembrano morte, sono vive le farfalle della notte. A JFK sembrano morte, ne seppellisce ogni mattina cira cinque o sei, amorevolmente, ognuna un proprio posticino in aperta campagna. Un saluto alle ali maculate, un bacio soffiato, poi la piccola montagnola segnalatrice. Terra sulla vita, vita nella morte. JFK, soddisfatto: a domani.

RILEVAMENTI di Gaetano Altopiano


Confermata relazione con l’assenza (primo grado): sono ufficialmente non-presente. Corporeità esclusa, però. Il che, tutto sommato, mi va bene. Sollevato dal dover per forza dare la mia “parola”, mi sento finalmente a casa. Nonostante io mi aggiri ancora per le strade, sono tornato alla natura. Pietre e foglie, titolava Junger, bellamente. In assenza di voce, in mancanza di pensiero, spazzata via ogni titolarità. L’inarrivabile piacere di restare uomo senza esserlo più.  

lunedì 9 maggio 2016

ALZABANDIERA di Gaetano Altopiano




Qualcuno faccia sapere a Giorgio Amitrano (orientalista e traduttore emerito) che il termine opposto ad “alzabandiera”, cerimonia dell’innalzamento mattutino della bandiera sul pennone principale di una qualsiasi caserma, non è “abbassabandiera” ma “ammainabandiera”. Persino il correttore automatico, appena dieci secondi fa, ha vomitato quando l’ho scritto. Amitrano però lo traduce proprio così in Norvegian Wood, di Murakami Aruki, Einaudi collana super ET: abbassabandiera. Non è un particolare da poco, e, a caldo, mi riporta a una lettura stratosferica, Le poesie statiche di Gottfried Benn, Einaudi: “ah, la terra lontana, dove son caldi i colli, del chiarore dei laghi, per esempio Asolo, dove riposa la Duse, da Pittsburg la portò a casa la “Duilio”, tutte le navi, anche le inglesi, issarono la bandiera a mezz’asta quando passò Gibilterra…”


A PALERMO DOPO L'INFERNALE INVERNATA di Francesco Gambaro

A.
A Palermo, dopo l'infernale invernata di maggio, uomini in canotte vistosamente griffate che arrotolano doviziosamente per fare respirare pance e ombelichi, non certo tenui, carichi di bile accumulata, gonfi come grappoli di emorroidi non rincasate, giusto all'inizio serrati a doppia mandata che solo un verme, quello sì tenue, può inoltrarvisi. Indiani sri lanka, pachistane gravide, marocchini del niger e libici siriani, fanno tesoro del genio indigeno palermitano. Dopo poco, dopo l'esodo di tutti i vermi tenui da quelle pance, dalla moltitudine multietnica di ombelichi scoperchiati al gran caldo, schizzano mosche tavane, indelebili ragnetti rossi detti trombidium holosericeum, lucertoline del Gange, biscette nere affamate d'acqua rocchetta, gracule religiose che gracchiano, dov'è dio, dov'è dio, dov'è dio, abbiamo sbagliato strada, abbiamo svagliato strada, abbiamo sbagliato strada.
Poi qualcuno si ingegna per fare uscire dal finestrino aggrippato, non l'aria sudata, ma quegli ombelicali insetti e animaletti tremens. Il guidatore canticchia una canzoncina napoletana, insieme alla passeggera sedicenne, aggrippata alla cabina di guida e non interessata a rialzare la saracinesca del suo lato...

B.

Linea stazione Centrale-Statua della Libertà, Palermo, temperatura percepita 101 gradi mercalli.

domenica 8 maggio 2016

EFFIMERA MAESTRINA di Francesco Gambaro




Come la notte non sia finita, non lo so. Come faccia il giorno a insinuarsi anche alle tre del mattino, non lo so. Questa notte mi dice che il concerto di Koln non è il massimo di Keith Jarrett. Così lo riascolto per la centunesima volta chiedendomi, che cosa ho sbagliato? I finestrini mi portano a mare a velocità pazzesca: corrono per non farmi vomitare la paura in mare. Poi posteggiano di merda, ed è merda quella che, appena sceso, si posteggia sulle suole. La luce della notte non si abbatte ma mi abbatte, l'autoradio scacazza, Borges vide l'aleph, io la mano dell'effimera maestrina che, dall'asilo Agazzi, mi consegnò disturbata a casa insieme al pantaloncinocorto saturo di zavorra.

sabato 7 maggio 2016

LA GRAVIDANZA DEI FATTI di Francesco Gambaro




Se Pino Maniaci è quello che stasera dite, dovevate accorgervene prima del parto. Ma non usa tra di voi stare dalla parte del marito cornuto. Solo cucchiai in tavola e niente forchette né coltelli. Vivete di paura, pavidi escrementi, e dite, almeno i cucchiai non ammazzano. Scacciate l'insetto reprobo e indifeso caduto sui grattini in brodo. Si può continuare a suggere brodo stasera. Se quello che dite voi, stasera, è Pino Maniaci il reprobo, è perché non vi fotte di come gira il mondo. Della Saguto che magari gira sotto scorta. Andate a brodo perpetuo, poi, è solo ora di andare a letto. Vi siete fatti tardi, e state ancora a pesarvela contro quella razza di maniaci, senza dubitare che quella cavalla della Saguto è di razza, e quel ronzino di Maniaci è come l'insetto nel brodo che avete scacciato senza, per carità, ammazzarlo. Spegnete la fonte, vi fiondate a letto, andando a naso direi che siete sodisfatti, la puerpera non gira ancora per casa, anzi è in piena gravidanza dei fatti.

ANCHE A ME PIACE IMPECCABILE di Gaetano Altopiano





Ho sperato, e sperato ancora, e letto, e riletto ancora, ma le sue scale che si concludono nel vuoto e i suoi labirinti estenuanti non mi hanno mai portato dove io ho sognato portassero. La strada era segnata, proprio come accade alla nostra: chi ha immaginato di vedere l’Aleph sul pianerottolo di una cantina non potrà più immaginare niente di simile. Come poeta, Borges, è una perenne delusione. 

venerdì 6 maggio 2016

ALTRI INCIPIT di Francesco Gambaro




“Difendemmo la città come si poteva. Le frecce dei comanche arrivavano a nuvole. Le clave di guerra dei comanche rimbombavano sui marciapiedi soffici e gialli. C’erano dei terrapieni lungo il Boulevard Mark Clark e le siepi erano state munite di fili elettrici luminosi. La gente cercava di farsi una ragione. Parlai con Sylvia. ‘ Ti sembra una bella vita?’ Sulla tavola c’erano mele, libri, long-playng, Sollevò lo sguardo. ‘No’.” Donald Barthelme, La rivolta degli indiani

PRINCIPIO, NECESSITA’, POSSIBILITA’ (CONTROGRUBER)di Gaetano Altopiano



Quando il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti dice che, nel tentativo (era ora) di dare una seconda possibilità a quei contribuenti che non sono più riusciti a mantenere gli impegni con Equitalia, è allo studio del Governo l’ipotesi di concedere loro una moratoria piuttosto che mandarli definitivamente in malora, l’appuntato Lilli Gruber lo incalza come volesse farlo confessare: ma è una sanatoria? È una sanatoria? È una sanatoria?  Tre fottute volte glielo chiede. Come se il principio di “Aggiustare” non vantasse radici comuni a un altro su cui non credo avrebbe molto da ironizzare: “Giustizia” (entrambe derivano da Iustus, Giusto). Come se la necessità di “Aggiustare” non fosse stato uno dei motori dello sviluppo economico dell’Italia: calzolai, falegnami, sarti, fabbri, fontanieri, solo per citarne alcuni, che furono parte importante della società che produceva. Come se la possibilità di “Aggiustare” - giustissimamente - non fosse stato da lei stessa considerato e applicato quale sacrosanto diritto al proprio miglioramento estetico.

giovedì 5 maggio 2016

UNA FRASE DI NAPOLEONE BONAPARTE di Gaetano Altopiano





Si tratta di capire quanto pagheremmo un’affermazione come questa: ti ringrazio per tutto quello che non hai fatto.La pagheremmo niente, fossimo lucidi. Perché vale niente. Le parole, come la geografia, andrebbero valutate a grandezza naturale poiché persino tra una nazione e l’altra i confini sono solo una linea, ma obiettivamente, sono mondi diversi. Se non viene riportata nel contesto questa frase non potrà mai essere correttamente interpretata. “Tra il sublime e il ridicolo c’è soltanto un passo”, e noi non siamo più lucidi.

ODE A UNA VECCHIA FOGLIA di Francesco Gambaro




Perché non la tagli, toglie vita alle giovani foglie. Non ci penso nemmeno, la mia vecchia foglia pantano non è ingiallita, brilla, ancora più delle sue sorelle, di luce bruna, ha soltanto piegato il gambo verso la terra del vaso che, il più tardi possibile, la accoglierà. E’ appena rimpicciolita e dolcemente ingobbita. Orante come i vecchi, passati dall'inginocchiatoio alla sedia, dalla parola al sonno fragrante, in quel misterioso equilibrio che ne impedisce la caduta, che impaura i giovani parenti, nonna vattene a letto che a momenti finisci sul pavimento. Invece togliere dl di vita a chi ce ne ha in abbondanza, esortare i virgulti a un benemerito stravaso di sangue. 

mercoledì 4 maggio 2016

DIALOGO DI UN INNAMORATO SOLITARIO CON SE STESSO di Francesco Gambaro




Dice – ti faccio un bloody mary – sì, ma non farmelo come quelli che mandano all'ospizio.
Dice – posso aiutarti – aiuto mi vuole aiutare.
Dice – ti faccio una lavanda gastrica – aiuto mi vuole violentare.
Dice – stasera andiamo al cinema.
Dice – ti faccio in due se non la finisci.
Dice – ma possibile che, ogni volta.
Dice – rifaccio il letto e sono subito da te.
Dice – è un maggio che sembrano due dicembre.
Dice – faccio retromarcia però tu guidami.
Dice – che ore sono? non mi dire.
Dice – ti faccio inghiottire quello che hai detto.
Dice – scambi la notte per il giorno come un bebé.
Dice – faccio quel che posso.
Dice – almeno c'è la televisione.
Dice – ti faccio una camomilla – sì, ma non farmela troppo lenta.
Dice – cosa hai stasera?
Dice – vado e torno
Dice – se esci da quella porta.
Dice – faccio in un attimo.

Dice – tanto non mi trovi.

ABITI E MONACI 2 di Gaetano Altopiano



Mi piace, con la mano sinistra, stringere il fianco sinistro al mio partner: è una delle parti anatomiche che preferisco. Mi piace sentire la carne attraverso il vestito, ancor più quando si è in movimento e se indossa un vestito leggero. Mi piace che questo accada, ma non per più di un paio di minuti. Dunque, i colori che preferisco sono il giallo e i fiori rossi e azzurri. Dunque, le zone che preferisco sono le periferie. Sono dunque un debole che tiene sempre a memoria la propria debolezza.


martedì 3 maggio 2016

ZITTIRE LE ETERNE VERITA' di Francesco Gambaro




E' bello perdere le cose, capo? Le cose? Traducimi cose. Non so, gli occhiali, il portafogli, la memoria, l'amore. Alleggerirsi vuoi dire. Esatto, per questo ti chiedo se è bello, sì, alleggerirsi. Mah, queste cose che dici non hanno un peso specifico stabilizzato né sono mai riuscite a pesare molto, non quanto il verbo perdere. E' bello perdere, capo? Pensa a quei magnifici cucchiai di Totti finiti un centimetro sopra la traversa o sui guanti del portiere, alla supremazia dell'impossibile, pensa a Nino che imparò a sbagliare tutti i calci di rigore, pensa a Dorando Petri che non rifiutò di farsi rialzare a un metro dal traguardo, pensa a Pantani, possibile armare bene una difesa quando si è colpevoli, difficile o impossibile se si è innocenti. Perdere a boccette e dire all'avversario, sei più bravo di me, amico. Perdere nasconde un terribile segreto, significa, nascondersi alla verità. Allora, silentium aeternae capo.

KAZAKISTAN, ASIA CENTRALE di Gaetano Altopiano



La plica semilunare (o plica mongolica) è il ripiego del margine della palpebra superiore tipico dell’occhio a mandorla. Caratteristica dei primi mesi dello sviluppo fetale di tutte le popolazioni, è solo nel ceppo asiatico che può sopravvivere anche nell’individuo adulto. Nessuno è in grado di stabilirne il motivo. Verosimile che possa derivare da un adattamento biologico ai climi aridi e freddi perenni, con vento persistente, come quello della Russia orientale o della Mongolia, seppure ciò non spiegherebbe perché indistintamente ogni embrione umano proceda da quella forma palpebrale. Certo è che un occhio così progettato, a parità di diottrie ma con fessurazione palpebrale tanto ridotta, garantisce maggiore protezione dalla polvere, dal freddo e dall’esposizione ai riverberi del sole in luoghi dove peraltro bisogna individuare la caccia su praterie sconfinate. C’è tuttavia dell’altro. Nei paesi occidentali, dove è inusuale, tale taglio è ritenuto motivo di fascino proprio per la caratteristica forma obliqua che concede all’occhio: l’angolo interno più basso di quello esterno; la somiglianza con la forma di una mandorla, appunto, che renderebbe il viso umano molto più interessante. E questo in un senso inequivocabile. Ovviamente, ai fini dell’accoppiamento. Nella riproduzione, infatti, si preferisce l’individuo più sano ritenendolo il più adatto a garantire una discendenza, e l’armonia delle forme e l’aspetto simpatico, le prime cose che nel partner è possibile valutare, sono sinonimo di qualità e di salute. Considerando ora che la densità di una popolazione come quella del Kazakistan, per la geomorfologia e il clima di quel paese, è di soli 6 abitanti/kmq mentre quella della Germania, per esempio, è di 228 abitanti/kmq, si può concludere che il Kazakistan - al contrario della Germania - sia un paese che andrebbe ripopolato, anche secondo una più equa distribuzione della popolazione mondiale (rispetto alle risorse del territorio) di cui la natura non può non aver tenuto conto. Considerando infine, che, a motivo degli occhi dalla plica mongolica, la quasi totalità delle donne Kazake possono considerarsi tra le più interessanti, si approda a una di quelle che preferisco tra le possibili conclusioni: è plausibile ipotizzare che la plica semilunare non sia solo un adattamento all’ambiente, ma, piuttosto, un richiamo sessuale che sembra però essere un vero fallimento evolutivo: non ha sortito l’effetto sperato. Flussi migratori che ripopolassero l’Asia centrale non ne sono mai avvenuti.
Guglielmo Apollinare)





lunedì 2 maggio 2016

https://francescogambaro.wordpress.com/2016/05/02/roma-piu-venezia…ermo-uguale-tusa

PIU' ROMA, PIU' VENEZIA, PIU' PALERMO di Francesco Gambaro



La natura è Roma, Roma rispecchia la natura. / Vediamo immagini del suo potere civile / nell'aria trasparente come in un cielo azzurro, / nel foro dei campi, nel colonnato dei boschi. / La natura è Roma – e non è il caso, sembra, / di disturbare ancora gli dei: / ci sono le viscere delle vittime per divinare le guerre, / schiavi per tacere, pietre per costruire. // Osip Mandelstam, 1914

... uscii da sotto il portico di piazza San Marco e passai in rassegna le quattrocento finestre. C'era un deserto assoluto, non un'anima. Le finestre ad arco correvano nel solito ordine ossessionante, come onde idealizzate. Questo spettacolo mi ha sempre ricordato il Colosseo, dove, per usare le parole di un mio amico, qualcuno inventò l'arco e non riuscì più a fermarsi. - Saccheggiate questo villaggio – continuavo a borbottare tra me – Questa città non merita...” Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, 1989

... Ma infine, ciò che arriva dalla mente locale alla lingua, è la nominazione del luogo, cioé: Palermo.
E il mercante palermitano ascolta ipnotizzato.
La parola palermo viene ripetuta apparentemente gratis, in realtà conciata per l'incoronazione.
L'ideologia del consumo e l'ideologia dell'uso si rincorrono in un circolo ben chiuso.
L'etica dello sterminio bracca qualsiasi Antefatto...
Tutti scrivono e parlano di Palermo e ormai questa città ha proprio smesso di esistere. E siccome parlando di Palermo si parla anche dei palermitani, anche questi sono scomparsi.
Ma noi siamo qui, siamo palermitani.
E dunque c'è qualcosa che non funziona in questa faccenda peraltro funzionalissima. Cos'è?

Prima domanda: è forse il modo con cui si scrive e parla di Palermo e dei palermitani?...” Gaetano Testa, Per approssimazione, 1978

domenica 1 maggio 2016

(L'OCCHIAIA. 19.) di Elio Coniglio



   Sogni persi
sabbia negli occhi
miele nel cuore
altre voci
altri rumori.        

PIU' ROMA, PIU' VENEZIA di Francesco Gambaro



La natura è Roma, Roma rispecchia la natura. / Vediamo immagini del suo potere civile / nell'aria trasparente come in un cielo azzurro, / nel foro dei campi, nel colonnato dei boschi. / La natura è Roma – e non è il caso, sembra, / di disturbare ancora gli dei: / ci sono le viscere delle vittime per divinare le guerre, / schiavi per tacere, pietre per costruire. // Osip Mandelstam, 1914


... uscii da sotto il portico di piazza San Marco e passai in rassegna le quattrocento finestre. C'era un deserto assoluto, non un'anima. Le finestre ad arco correvano nel solito ordine ossessionante, come onde idealizzate. Questo spettacolo mi ha sempre ricordato il Colosseo, dove, per usare le parole di un mio amico, qualcuno inventò l'arco e non riuscì più a fermarsi. - Saccheggiate questo villaggio – continuavo a borbottare tra me – Questa città non merita...” Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, 1989

A VERBALE di Gaetano Altopiano




Saltare subito alle conclusioni è un ottimo inizio, quando si è già propensi a condannare. E’ l’unico possibile, anzi, perché perdere tempo? Nell’essere costretti a dimostrare che la verità sta nella ricerca della verità e nella sua dimostrazione, ma anche nella sua impellente stesura a verbale, chi è stato investito dal sacro fuoco si trova a dover gestire un’evidente contraddizione: procedere per gradi e essere tempestivo. Come fare? Le seccature sono interminabili. Non nominiamole. Ma appresi i rudimenti del ragionamento - bisogna riconoscerlo – cosa ci vuole per arrivare alla soluzione? Un cazzo.