venerdì 30 dicembre 2016

F di Gaetano Altopiano






Ieri su F ho incrociato il sosia di mia moglie. Somiglianza incredibile, solo che questa vive a Melbourne e sembra abbia qualche anno di meno. Per il resto è in tutto e per tutto lei. Potevo non scriverle? Abbiamo finito con lo scambiarci l’amicizia, e, già che c’eravamo, ci siamo mandati anche dei cuoricini e abbiamo fatto un po’ di sgallino virtuale. Stamattina la sorpresa: ci sono due bollette da pagare mi scrive, il sacchetto della spazzatura da buttare, un quadro di cinque metri quadrati da appendere e alle undici vuole essere accompagnata dall’estetista. Firmato, mia moglie. Cazzo, è proprio spiccicata. Potevo non ubbidire?


ALTRI INCIPIT (Antonio Castelli) di Francesco Gambaro



L'impresito grammaticale ha fondi multipli. Parti del discorso contadino, dove le parti sono, sì, le voci e il discorso è il costrutto che esse riorganizzano, adempiono, ma sono anche e propriamente parti, sì, individui, persone. Srutturalmente, biologicamente, i contadini medesimi tutti. Parte è il contadino di Castelbuono, e parte è il contadino di Capo d'Orlando, parte è quello delle Madonie ed è quello dei Nebrodi, parti sono i contadini dell'Agrigentino, del Siracusano. - E il discorso, il discorso è un ordito di fonemi, ed è pure il logos contadino, intelletto, discorso, parola. Il discorso è uno e molteplice, molteplici essendo le parlate. Quante vallate tante parlate. Le quali tutte, distinte però non scrporabili, pulsano dentro la galassiaa del discorso contadino. Che è supremamente uno.......................... Ci si è fermati, aristocraticamente, all'ugola, all'emissione impostata; non si è scesi oltre – paura di incatramarsi? - nella trachea, per esplorare la sede dell'emissione fisiologica, sporgere lo sguardo, l'orecchio nell'arcano, umano cavo orale della cultura contadina.


Antonio Castelli, Parti del discorso contadino, Edizioni Ente Parco delle Madonie, 2002

giovedì 29 dicembre 2016

CONTRADDIZIONI di Gaetano Altopiano

CONTRADDIZIONI di Gaetano Altopiano





Costretti a esprimere un giudizio, qui e adesso, non abbiamo molto da scegliere: parlare o tacere. Fornita la risposta abbiamo preso un impegno. Ma solo per quel preciso istante. Dato che sarà sempre possibile tornare sui propri passi senza che questo per forza venga interpretato come una contraddizione, almeno tra persone intelligenti. Qualunque sia la risposta fornita, però, ne avremo sempre esclusa un’altra, o più di un’altra, che è quella che non abbiamo dato, e questo per n tempo, ossia (è solo teoria) all’infinito. Il motivo dipende dal fatto che allo stato attuale qualunque risposta fornita in un momento “preciso” si baserebbe unicamente sul sistema binario, che come sappiamo è formato dal bit coppia 0 e 1 in tutte le combinazioni possibili ma sempre e soltanto come valore negativo dello 0 e positivo dell’ 1. In un futuro neanche tanto lontano il sistema di calcolo quantistico potrebbe rivoluzionare il risultato delle nostre risposte. Il suo sistema è basato infatti sul qubit che (in teoria) prevede la possibilità che 0 e 1 siano anche sovrapponibili. Potremo dire no, insomma, mentre invece è un sì, o sì e no contemporaneamente, o dare più giudizi nello stesso istante senza contraddirci mai. 

SORIE DEL SIGNOR JFK (63) di Francesco Gambaro





Alzandosi di botto allo squillo del telefono sarebbe potuto scivolare sulla pianella, avrebbe incrociato il ginocchio con lo spigolo del poggiapiedi di vetro, lacerato il ligamento crociato. A quest'ora, invece che essere qui, saremmo dovuti andare a trovarlo in ospedale. Con la gamba appesa in trazione e la faccia tumefatta. A JFK viene da ridere, infila la faccia sotto il cuscino. Addomesticò gli squilli, si riaddormentò.

mercoledì 28 dicembre 2016

ESERCITI di Gaetano Altopiano






Avevo tutto il diritto di saltare da pagina 112 a 123. E forse ne avevo anche il dovere, visto che presagivo il saggio come perfettamente inutile per la mia corteccia prefrontale. Da un po’ di tempo però soffro di avarizia e di un inspiegabile senso di rispetto nei confronti del lavoro degli altri mai percepito prima. E devo ammettere che è stata una fortuna visto che quelle pagine si sono rivelate tra le più belle del libro, non fosse che per l’involontario lirismo di alcune descrizioni. “Quando Tigrane l’Armeno, accampato su di una collina con quattrocentomila uomini, si accorse che contro di lui marciava un esercito romano di soli quattordicimila uomini se ne rallegrò dicendo: costoro sono troppi per un’ambasceria, e troppo pochi per un combattimento. Ma prima del tramonto scoprì che furono sufficienti a metterlo in fuga con un incalcolabile massacro.” Francesco Bacone, Saggi.


IL MIO PIATTO PREFERITO di Francesco Gambaro

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martedì 27 dicembre 2016

domenica 25 dicembre 2016

RACCONTO DI NATALE ½ ciac di Gaetano Altopiano e Francesco Gambaro






Erano loro i matematici che hanno risolto il problema più difficile del mondo: E8, l’oggetto a 248 dimensioni. Loro che scrissero la prefazione agli ultimi diari di Landolfi. Loro che ispirarono a Bosch il suo miracolo definitivo. Si chiamavano Leone, Sigismondo, Juliettus, Bartholomaus, Dietwolf e Guerriero, meno uno. E vivevano a Lillehammer, in Norvegia, ma non uno. Vi sembrano nomi di signorine? Vi sembrano nomi di emorroidi? O, magari, un mucchio di nomi a cazzo? Perché allora quello che non viveva a Lillehammer, la notte del 25, da bravo attor di cinema quale pretendeva di essere, si alzò e brindò con un vinello da due e cinquanta alla salute delle sorelle rientrate? Quattro bicchieri. Se solo li avesse trattati con quell’amore maschio col quale ci si tratta tra fratelli di sangue quando si ricompare: stringendo un patto, stendendo un’alleanza, guardandosi però dallo spalmare creme sulla parte, e non avesse tentando di guidare subito dopo (sapete come sono fatti i norvegesi) di sicuro avrebbero passato un buon Natale.
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Era bravo, era un attor di cinema, era un atleta delle emorroidi. Esse scendevano e risalivano in un solo volo. Scendevano a ogni evacuazione. Pigiando, su qualsiasi tasto di quel vecchio pianoforte che era diventato, al rilascio pigramente risalivano. Bisogna dirla tutta: avevano bisogno d'aria. Non so, anche di libertà. Forse. Ma lui era bravo. Un allenatore, un educatore. A caldo le faceva rientrare anche velocemente, passionalmente come un direttore di orchestra o un padre. Scuoteva un po' le natiche e quelle, senza nemmeno rendersene conto, rincasavano. Flop flip. Ognuna di voi a loro posto, ragazze, e la lezione riprendeva. Era un maestro bravo, ci sapeva fare con le ragazze del suo culo. Le metteva in ascensore sino al sesto piano, li chiudeva dentro le mutande al settimo piano. Ma quelle, quelle scendevano lo stesso a pianterreno un attimino dopo lontano dalle sue mutande. Poi, scodinzolando, se ne andavano senza cappotto a vedere il luccichio del mare. Erano emorroidi diversamente abili, erano emorroidi di Natale.

sabato 24 dicembre 2016

UN FUMOIR IN PENOMBRA di Gaetano Altopiano






Sogno di essere interrogato da un giudice. Procedo da uno stadio iniziale in cui le sue signore segretarie mi fanno attendere in un ufficio di parquet scuro (più vicino allo studio di un avvocato che non al corridoio di un palazzo di giustizia) a uno successivo in cui il giudice ha bei capelli bianchi e ricciuti e sta seduto dietro la scrivania di una stanza che mi ricorda un fumoir in penombra. Fino a un terzo e ultimo stadio in cui cominciano le domande e che è ambientato nella piazzetta di un vecchio rione popolare e in mezzo a diversi agenti di polizia che mi incalzano. Conosco il motivo di quell’interrogatorio e aspetto domande che invece non arrivano se non riguardo a cose non pertinenti. Siamo tutti seduti, e non so cosa voglia dire, in una strana disposizione semicircolare. Alcune delle domande sono addirittura incredibili: “Avete costruito un bell’ospedale a Pollina, eh?” Ma io non ho mai costruito ospedali, né a Pollina né in nessun altro luogo. 

IL NOSTROMO di Francesco Gambaro

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venerdì 23 dicembre 2016

UNA RAGAZZA di Gaetano Altopiano




Le facce di troppe persone mi diventano sempre più estranee, mi confida questa ragazza. E anche se in passato sono riuscita a controllarmi, con questi lombrichi non riesco più a trattenere il mio risentimento verso il mondo della natura. Ma cosa ci ho nel sangue, è il veleno? Porto dentro di me l’odio accumulato dai miei antenati, lo sento, forte e meraviglioso: stilla su stilla potrei contarlo. La moltitudine non è la mia razza, questi non li conosco; quelli non so chi siano; questi altri hanno volti da mostri. Solo i sovrani hanno diritto a otto file di danzatori: non usurpate i privilegi reali. Brava ragazza.


LA FIASCA E IL SUO DOPPIO (a Astro Nauta) di Francesco Gambaro

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giovedì 22 dicembre 2016

IL FALLITO DI SUCCESSO di Francesco Gambaro



Nulla di più insano della gratificazione. Se sei gratificato ti disinteressi del mondo, eccedi dentro il capitale che hai guadagnato o che ti hanno fatto credere di esserti guadagnato, smetti di cercare, di curiosare, di sognare e confondi il concetto di fallito con il concetto di successo. Questa perniciosa patologia ha la sua rappresentazione giornaliera nei talk politici e ha creato l'equivoco del fallito di successo, un perditempo istituzionalizzato, incapace di recepire o praticare concetti come astrazione, radicalizzazione, sperimentazione. Già ai tempi della sacrilega moltiplicazione delle immagini di Padre Pio (“si parla più di Padre Pio che di Dio”) la teologa Adriana Zarri utopicamente proponeva, all'oggi irriconoscibile Michele Santoro di Samarcanda, che il salario dei lavoratori fosse inversamente proporzionale al grado di responsabilità e alla qualità del lavoro stesso.

PRIMA DIMORA di Gaetano Altopiano







Scegliere di vivere indifferentemente in una nazione o in un’altra, magari anche a latitudini proibitive o in metropoli decadenti, e non patire. Un bel vantaggio. E’ una cosa che si impara da giovani e che va esercitata, e a cui per giunta non tutti riescono a abituarsi. La maggioranza parte solo perché “sa” che deve tornare ed è quello il vero obiettivo: il ritorno alla terra nativa è un refrain di cui pochi riescono a liberarsi; e chi è avanti con gli anni, o chi si è spostato pochissimo non ha alcuna speranza, difficilmente cambierà residenza senza subire effetti importanti. La differenza consiste nel modo in cui si considera la prima dimora, se come “terra” o “luogo”. L’osservazione diretta mi suggerisce il successo di chi considera casa propria un “luogo”: nessun rito sacrale al rientro, né cerimonie di ringraziamento alla madre terra, solo calze spaiate, valigie mai disfatte del tutto, monete disseminate, fialette di vitamina D sparpagliate sul comodino.  

mercoledì 21 dicembre 2016

PICCOMU MI DISSI di Francesco Gambaro




Il Papa (chiddu) parla argentino io parlo come mi pare eppiace sono un tratturista sono un pezzo di niente non sono un catone che ci posso fare questo sono e a lei che è il padrone e a lei che è mio servitore ripeto piccomu mi dissi ho fatto quello che era giusto fare. (allistimuni) (pisciami fora 'a jurnata).

martedì 20 dicembre 2016

BEVODUNQUESONO 2 di Gaetano Altopiano







Un’aziendina fondata da giovanissimi imprenditori che aspirano unicamente al politicamente corretto e al biologico a tutti i costi ha messo in commercio una novità assoluta per il mondo enologico e i per suoi appassionati: la bottiglia vuota. Insieme è fornito un kit che contiene un bel grappolo d’uva, un piccolo torchio, un catino, una botticella di rovere, e tutti gli altri ammennicoli per produrre il vino da soli in casa propria e a rischio zero. Visto il successo già si parla di un kit per la produzione del latte.

MI VACA MEO VECIO PROFILO (a Rossella Valentino) di Francesco Gambaro

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lunedì 19 dicembre 2016

STORIE DEL SIGNOR JFK (62) di Francesco Gambaro




Stanco di dovere infilare spinotti, del caricabatterie della macchina fotografica del cellulare del profilattico riscaldante, del router dello scaldino dell'hardfish di mcdonald's dell'organetto di barberia yamaha della sveglia dello spazzolino rotante, stante che è progredita in lui una malattia compulsiva che gli fa vedere spinotti dasppertutto e soprattutto da infilare dappertutto, JFK decide di togliersi la luce.

domenica 18 dicembre 2016

NECROPOLI di Gaetano Altopiano







Le volte che uno dei miei figli si ostina ad avere una visione diversa dalla mia vado in escandescenze. Ieri sera, ad esempio, a proposito di una discussione teologica. Temendo di esagerare, però, ho cercato conforto in pareri che potevano legittimarmi. Subito ho pensato a Chodasevic e alle parole del letterato Brjusov il quale in Necropoli rammenta: “non amare, non compatire, adora solo te stesso senza limiti”. E allora quasi mi sono convinto di avere ragione. Per togliermi ogni dubbio ho voluto rileggere il passo di quel libro ma mi imbatto nella parte in cui Chodasevic riferisce le parole del suo padrone di casa, il quale: “è molto probabile che per ogni domanda esistano, non una, ma alcune risposte veritiere, forse anche otto. Affermando una sola verità noi ne trascuriamo sconsideratamente altre sette.” E mi sono convinto del tutto.  

GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (7) di Francesco Ganbaro

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sabato 17 dicembre 2016

NON PER SOLDI di Francesco Gambaro

SONO STANCO DI PAGARE BOLLETTE



e per questo il miliardario JFK si suicidò

IL SECONDO ERRORE di Gaetano Altopiano






Nell’attesa, procediamo a tentoni e cerchiamo di riconoscere i nostri simili laddove ci auguriamo che ce ne siano. Pensiamo di averne individuato l’odore in un bar di San Lorenzo, di averne percepito la voce all’angolo tra via XX settembre e via Carducci, decriptato il messaggio in codice trasmesso da un occhio benigno dentro il Forum di Brancaccio. Ma riconoscersi in questo buio cosmico è quasi impossibile. Nessuna speranza per me e per i miei compagni: esitiamo. “Quello che veramente ami rimane, Paquin, il resto è scorie. Quello che è veramente tuo non ti sarà strappato, quello che veramente ami è la tua vera eredità. Il mondo a chi appartiene, a me, a loro, o a nessuno? Oh Paquin Paquin, qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella differenza che fece esitare”.

GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (6) di Francesco Gambaro

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giovedì 15 dicembre 2016

NEGAZIONI di Gaetano Altopiano






Non riesco a accostare la figura di Giovanni Paolo Sartre a quella di Roberto Dylan; mi pare di tentare una diagnosi disperata volendoli affratellare a ogni costo solo perché entrambi hanno rifiutato “la consegna” di un premio come il Nobel per la letteratura, uno nel ‘64 l’altro proprio adesso (Pasternak a parte). Sono le azioni però che rivelano gli uomini e non i programmi, e anche il coraggio di un uomo - persino del più temerario - viene testato per la prima volta solamente in guerra, e se un Francesco Bacone o un Sun Tzu hanno speso la loro luminosissima intelligenza creando categorie di comportamenti umani “prevedibili” lo hanno fatto per noi: a parità di effetto, dunque, parità di causa. E non importa se il primo lo ha rifiutato davvero e il secondo alla fine lo ha ritirato mettendoci la faccia di Patti Patrizia Smith. E’ comunque una negazione del premio.


GIGANTI DELLA CANZONE (4) di Francesco Gambaro

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mercoledì 14 dicembre 2016

martedì 13 dicembre 2016

GIGANTI DELLA CANZONE ITALIANA (2) di Francesco Gambaro

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CERVELLI di Gaetano Altopiano






La parte più bella e istruttiva del romanzo Zero K di Don DeLillo - mi pare l’inizio della seconda parte - è il dialogo del cervello di Artis Martineau con un non ben identificato interlocutore che si suppone possa essere uno dei medici di Convergency (la società che si occupa dell’ibernazione dei corpi) che ne segue il traghettamento. L’organo ormai crioconservato e separato dal corpo giace in una delle capsule di vetro sepolte nei sotterranei del centro di quell’organizzazione e si pone delle domande. Non solo chi è - dove si trova - cosa gli stia succedendo, ma anche “cos’è” e “cos’è” in relazione a un corpo che non lo contiene più. In relazione alla mancanza di un’esperienza sensibile e alla sopravvenuta inevitabile impossibilità di comprendersi se non come intelligenza in sé. Ma il cervello di Artis Martineau curiosamente non riesce a concepirsi se non come cervello di Artis Martineau, e il tentativo di Don DeLillo di immaginare la possibilità che un cervello separato dal corpo diventi un cervello perfetto fallisce istruttivamente.


lunedì 12 dicembre 2016

domenica 11 dicembre 2016

C'ERANO UNA VOLTA LE CARTOLINE (a Cochi e Renato) di Francesco Gambaro




Esse vivevano di luce propria. Di lucido proprio. Esse si chiamavano per nome: Cartolina. Esse avevano lo stesso nome. Di nome proprio. E si offrivano ai clienti dei paesaggi di montagna e di mare. Esse si vendevano in edicola, per strada, al bar di Casal Utveggio. Anche a Casal. Anche per Santa Rosalia. Esse si potevano inviare senza raccomandata. Senza essere raccomandate. Esse venivano imbucate. Proprio così. Ma in quel buio non perdevano il colore. Uscivano dalle buche non come cartelle esattoriali. Esse uscivano di nuovo a colori. Più che mai. Come la televisione a colori. Esatto. Queste erano le cartoline. Che erano tutti i giorni così. Non solo a Natale. Esse contenevano anche un regalo. Nel retro contenevano tra destinatario e mittente, parole. Un bel regalo. Anche a Natale. Parole lucide. Come di carta cartolina. Esatto. Esse non avevano sotto le parole le righe. Certe volte sì. Esatto. Alcune parole cadevano in verticale, altre poco poco oblique. Così e così. Certe parole tremavano come le mani dei bambini o dei vecchi. Dei vecchi, non tutti però. E dicevano saluti. Non dicevano, noi stiamo bene e voi come state. Dicevano soltanto, Saluti. E' in quel momento che si rigirava la cartolina. Lucida, luccicante. E leggevi in sovrimpressione, saluti da Barcellona. E allora capivi che avevano copiato. Come bambini impreparati. Le rivoltavi cercando il bollo sul francobollo, e scoprivi che questi bambini. Bambini impreparati e bugiardi. A Barcellona non c'erano mai stati.

sabato 10 dicembre 2016

E LA TERRA PARTORI' POLTRONE di Francesco Gambaro

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BEVODUNQUESONO di Gaetano Altopiano






Di lui, più di ogni cosa, amo l’eleganza e la puntualità della proposizione che riesce a imbastire, che è inarrivabile. Mi piacciono le sue argomentazioni precise, la sua conoscenza della filosofia oltreché i modi superiori e la ferrea indulgenza mostrata nei confronti di chi la pensa diversamente ma mostri segni inequivocabili di intelligenza. Ma anche la cortesia tipica del gentiluomo con la quale mi invita a essere un virtuoso, nel caso, nella specifica materia del bere: convincente come pochi. Seppure anche un irriducibile come il mio amato Sir Roger Scruton ha dovuto ammettere la bontà di una sbornia: “Qui, tuttavia, devo temperare le mie osservazioni e ricordare che la qualità dell’ubriachezza dipende anche dalla qualità della coscienza che in essa si dissolve.” A pagina 178-179-180 di Bevo dunque sono, Raffaello Cortina Editore.


venerdì 9 dicembre 2016

STORIE DEL SIGNOR JFK (61) di Francesco Gambaro




A 84 anni pensò alla sua prossima evanescenza. Si immaginò senza un braccio, continuò a guidare senza il sinistro, morto sulla coscia sinistra. Incrociò un paesano e alzò il braccio fasullamente morto per salutarlo. Si morse i denti. Allora pensò di essere senza più denti, sdentato, alle prese con un crastone affumicato che, invece, gli si sciolse in bocca senza bisogno di essere addentato. Provò a essere zoppo ma si procurò applausi in teatro. Si finse cieco e una luce, una luce che non aveva mai visto gli si parò davanti: era Maria, la donna dei suoi sogni mariani. Senza dare tempo al tempo JFK saltò di gioia sui suoi 84 anni e fu subito Singin' in tre rain.

giovedì 8 dicembre 2016

REALTA’ di Gaetano Altopiano







Qualcuno teorizza una deriva epocale: siamo così lontani da quello che ci succede da avere la convinzione che quello che ci succede stia accadendo, sì, ma in un mondo che non è il nostro. Come se avendo un’emicrania la percepissimo solo concettualmente, mentre l’effetto doloroso avverrebbe nella testa di un nostro doppio in una dimensione parallela. Avremmo, incredibilmente, una percezione della realtà “dettata” dai sensi di qualcun altro. Lo stesso dell’effetto garantito da un anestetico in un intervento chirurgico: ci si ritrova depilati, disinfettati e con una cerniera di bei punti allineati senza averci capito un cazzo. Questa teoria meriterebbe approfondimenti che non mi sento di fare in questo momento, dato che sto seguendo lo spoglio del referendum. Sembra abbia vinto il no, ma in effetti ha vinto il sì. 

ALTRI INCIPIT (Fedor Sologub) di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/08/altri-incipit-fedor-sologub/

mercoledì 7 dicembre 2016

MERDA NOVA di Francesco Gambaro


Sento Mieli, sento il goliardo Mentana che fa battute grevi alla Sardoni, sento il ciuffo canterino di De Bortoli, il ciuffo frocesco di Freccero, il non continuare a sapere parlare italiano ma solo cremonese di Franceschini, il ricordo di Berlusconi, taglio, e penso che abbiamo bisogno di merda nuova.

UN TANGO (anche a dicembre) di Francesco Gambaro



Si sente un tangeros, anche se non sa ballare il tango né sa dove andarli a trovare i tangeros. Eppure, in un angolo della della sua memoria, ci sono, precisamente sotto i portici di via Mariano Stabile che poi, verso il mare, defluisce verso la Galleria Instabile dei suoi amici pittori e ceramisti e facitori di tende con finestrelle che alzano rettangoli di gonna al vento e donano, ah già, luce alla casa. Si sente che vuole stare bene a tutti i costi e si infila un dito in testa, l'unghia è vecchia, sembra un lp rigato piuttosto che una chiavetta SP da 8 GB, suona qualcosa ma non si capisce, rumore, saranno i Gardel Volver's? Sarà che stanotte voleva ripassarsi la lezione della sua prima serata alla scuola di tango? Poi pensa altre cose, la sua testa va verso altri desideri, un'arancina al burro, qui sotto c'è Alba, altra notte, altra musica.


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UNA MILONGA di Gaetano Altopiano




La stanchezza ha avuto il sopravvento e le sue condizioni psicofisiche si sono aggravate. Le invettive di lei, alle 20 e 30, lo hanno stremato: ora è disposto a tutto pur di non sentirla più lamentare, anche all’estremo sacrificio. Lucidati le scarpe, gli comanda. E lui corre. Tira fuori lo smoking. Subito subito. Il mio costume plissettato, le scarpette, corri corri. Ci mangiamo una cosa al volo, occhei? Occhei. E’ tanto felice di non sentirla più blaterare che ride e comincia a parlare da solo - dunque - si sente su di giri come avesse preso una sbronza. Che gli succede? Ha cominciato il conto alla rovescia: arriverà un momento in cui tutto scomparirà – Tango, Milonga, o Vals criollo - e lui finalmente morirà al centro della sala.




















domenica 4 dicembre 2016

NINO GENNARO di Francesco Gambaro

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APPARTENENZE di Gaetano Altopiano






Quando si parlava del rispetto delle tradizioni ero sempre combattuto. Ne sa qualcosa mia madre. Forse perché ne avrei salvate alcune mentre di altre avrei fatto benissimo a meno. Forse per la mia naturale tendenza a sgusciare dall’incastro dell’appartenenza: ero, e sono, un membro della comunità in cui vivo, è innegabile, eppure non me ne sentivo e, tutt’ora, non me ne sento parte. Il rispetto delle tradizioni ha però una sua importanza - le feste del paese, la mietitura, il matrimonio (solo per citarne alcune) - che credo di aver finalmente apprezzato dopo un paio di buone letture e con la conquista del privilegio degli anni. Avere qualcuno che ti insapona la schiena, ad esempio, è impagabile.


IO CERO di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2016/12/04/io-cero/

venerdì 2 dicembre 2016

IL SACCO DI VIA MAQUEDA A PALERMO di Francesco Gambaro




Secondo un mio amico e me, via Maqueda doveva tornare a essere la via più bella di Palermo, il suo centro naturale. Sfumando verso la Stazione, verso le sue montagne collinari e Gibilrossa che guarda il mare. Un manipolo di criminali comunali, al soldo di chi sgoverna questa città nella apatia generale chiamata in codice ZTL, da primavera a inverno, svendendosi all’amore per i cani alla cacca dei cavalli e all’odio indifferenziato per commercianti e sopravviventi umani, ne ha scacciato vita e respiro. Gli zombie, infatti, non hanno bisogno di emettere o aspirare aria. Basta loro correre in mutande per rinvigorire il tono muscolare, per assecondare il niente del loro corpo antitesticolare in una città ospitale, che aspira a diventare idillicamente una pista ciclabilmente ipocerebrale. Via Maqueda sta al sacco di Palermo (allo strasburgo), come una medina senza cuore. Tutto intorno è traffico.

STORIE DEL SIGNOR JFK (60) (Hasta la victoria siempre) di Francesco Gambaro



JFK ferma l’auto all’altezza della fermata dell’autobus. La solita. Quella dalla quale aspetta ogni giorno alle 14 e 15 il 118 che lo riporta a casa. Piove, esattamente perché è il primo venerdì della settimana di dicembre. Infatti dovrebbe avere l’ombrello e il grazioso cappellino di ceramica, dono prenatalizio di una graziosa alunna di nome Piccola Kety. La più brava del suo corso di Scolpir Palpando e dell’intiero Istituto di Belle Arti. JFK abbassa il vetro lato passeggero per chiamarlo ma tra la folla di futuri occupanti la linea 118, stazionanti e stazzonati sotto la tettoia di cortesia, non individua nè fedele ombrello né cappellino manufattu né, in buona sostanza, se stesso. Controlla l’orologio, le 14 e 14, osserva il cielo, proprio la stessa pioggia del primo venerdì di dicembre. Abbia sbagliato anno? Impossibile. A 84 anni JFK ha sviluppato una precisione maniacale e pedante che gli impedisce perfino di andare diversamente di corpo se non nello stesso water, come un orologio, in un unico conatus festeggiato mentalmente con hasta la victoria siempre. Perciò pensa piuttosto a un indebolimento della vista, ridirige gli occhi alla fermata e con tempestiva premura, sono già le 14 e 15, profferisce la pargoletta magica: Dài, Sali! E JFK sale.
L’ERRORE                       di Gaetano Altopiano



Non passiamo le nostre giornate a chiedere l’identità di ognuno che ci si presenta. Se dovessimo aprire a uno sconosciuto, però, riusciremmo immediatamente a classificarlo come tale senza bisogno di controllargli i documenti. Ci basiamo sulla memoria. Solo su dati certi quindi, mai su impressioni. Quando incontro mia moglie per casa, difatti, sono certo che quella donna sia lei, non ne ho l’impressione, e lo stesso vale per gli altri parenti e per quelle tre quattromila persone che considero conosciute: ho un ricordo preciso del volto di ciascuna di loro, che, replicato, me ne permette “l’identificazione”. Ma in un supermercato mi capita di fallire in modo clamoroso questo processo di convalida: abituato a vedere un tale dietro il vetro di uno sportello postale, fuori contesto non lo avevo riconosciuto. Ne avevo un ricordo viziato, concludo, dalla cornice in cui abitualmente lo individuavo. Come classificarlo allora? Non tra gli sconosciuti, perché sconosciuto non era. Non tra i conosciuti, perché di fatto non l’ho riconosciuto. Non frutto di errore della memoria: inammissibile più delle altre due deduzioni. Perché ammettendo come possibile l’errore - secondo logica - ammetterei come impossibile la sua mancanza. E in tal caso dovrei modificare il mio comportamento. Poiché, siccome è tipico dell’errore l’impossibilità della sua conoscenza se non a posteriori, non potrei sapere mai come e quando mi si presenterebbe e nei confronti di “chi” avverrebbe, ma solo che ora “potrei aspettarmelo”. Sempre. Ne consegue che sarei costretto a convalidare di volta in volta l’identità di ognuno che si presenta per essere certo di non sbagliarmi. Compresa quella di mia moglie e dei miei figli. Il che è inammissibile.

giovedì 1 dicembre 2016

IL RE DEI PESCI (a Carola Susani) di Francesco Gambaro




Il re dei pesci è mia figlia, che disegna pesci dove le capita. Non soltanto sui muri, nella sua testa. La sua testa è la testa dove le capita di ricordare di disegnare pesci. Alle volte, però, non le capita di avere la testa. Lei disegna pesci lo stesso fuori di testa. Il re dei pesci è mia figlia che disegna teste nei suoi pesci, alle volte le capita di trovarseli già disegnati, altre volte li ridisegna, fa piupiu muta dal marcipaiedi e quelli pesci guizzano dal cemento e fanno piupiu muti pure a lei. Il re dei pesci spesso non ricorda di essere il re dei pesci (mia figlia), e allora pesca niente, un re non sa, non può disegnare, non può pescare, un re è un re,  se è un re dei pesci. Non è masculo, non è feminulo non è fifìgliulo. Spesso i pesci prendono in giro il re dei pesci. Muori, gli dicono, quando hanno l'amo in gola e stanno morendo di risate. Pesci coraggiosi. Un re dei pesci è magnanimo, non butta non prende e non pesca pesce. Un vero re dei pesci sogna di essere una figlia di un padre che sogna di avere una figlia che è il re dei pesci. Accetta pure di essere un rivolo di Frascati e se nella casa che abita non arriva più un goccio di vino, mia figlia pensa: quando arriva il Re dei pesci? E comincia a preoccuparsi.