sabato 28 novembre 2015

LA PAROLA PIU’ ANTICA di Gaetano Altopiano

Se c’è un momento in cui mi sento povero, è quello in cui faccio la doccia. Non c’entrano concetti come Pietas, la nudità del verme o il corpoacorpo con sé stessi, meno che mai quelle carezze che consolatoriamente mi concedo. Non è provare “pena per sé stessi”, non c’entrano gli umori corporali, quando mai. E’ il bagnoschiuma che non va: il suo ignobile odore di mela verde. Mi dà la nausea. La mia signora è un’ostinata economa: costa treecinquanta in meno di tutti gli altri e in più ha un quarto di prodotto in più. Come controbattere? Profondamente commovente, puntualmente mi viene in testa un verso di Wallace Stevens: “E’ la parola della povertà che più ci cerca. Più antica della parola più antica di Roma…”

BRUTTE FACCE di Francesco Gambaro

Quelle di Sputinik, quella di Erdogan-pomata-antiemorroidi, quella di Assad Il Lungo, quella piagnisteo spermatico di Ollando il Marsigliese. Io, frocio senescente e bavosissimo di fanciullini come loro, per il bene che mi voglio, cercherò in terra d'Affrica culetti migliori. A.R.
Nelle azzurre sere d'estate, / andrò per i sentieri, / punzecchiato dal grano, / a pestare l'erba tenera: / trasognato sentirò la frescura sotto i piedi / e lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.
Io non parlerò, non penserò più a nulla: / ma l'amore infinito mi salirà nell'anima, / e me ne andrò lontano, molto lontano come uno zingaro, / nella natura, lieto come una donna. //

venerdì 27 novembre 2015

STORIE DEL SIGNOR JFK (12) di Francesco Gambaro

JFK torna in gioielleria. E' incazzato. Philippe Soupault è incazzato più di lui. Gli fa da spalla ma anche da anca. Lui vuole la scarpa di peltro esposta in vetrina. Anche la sinistra. JFK chiede insistentemente quelle cazzo di scarpe di peltro per il suo amico Philippe Soupault. Destra e sinistra. Sono di peltro, risponde tremando il gioelliere. Fossero pure d'argento, dice Philippe, le voglio e della misura dei suoi piedi. Qui non si vendono scarpe, dice il gioielliere, solo scarpette posacenere di peltro. JFK sfila la pistola. Non scherziamo dice, non vorrà dire che questi posacenerini li faccia diventare di piombo insieme al suo cuore. Che misura, chiede cremolando il gioellere. Una doppia 44 e niente scherzi.

giovedì 26 novembre 2015

MI SONO SCORDATO UNA PAROLA di Francesco Gambaro

Dove? Forse in macchina, ora ridiscendo. Deve essere scivolata sul sedile posteriore. Forse mentre pisciavo, pisciare mi distrae maledettemente. Mentre dormivo? Forse. O piuttosto in quel negozio che vendevano mobili di betulla svedesi. In via Mazzini? Tra un drink e l'altro. O da Francesco? Tra una vodka e l'altra. Dentro qualcosa sarà caduta quella parola. Un quadro, tra le mutande, sulla firma di una ricevuta, su un rigo sbagliato. Le avevo messo pure una x mi ricorda la consulente bancaria. A matita. Allora alzo gli occhi e ripeto, a matita, e gli occhi mi si illuminano, la vedo, lei, la parola scordata, e le dico: seppure non l'ho conosciuta, non l'ho mai dimenticata. Lei deve per forza chiamarsi misonoscordato.

mercoledì 25 novembre 2015

IMPOSSIBILE PATTINARE di Francesco Gambaro

Odio quelli che dicono mi sta bene, quelli che dicono ti voglio bene, quelli che quelli non lo sbrocchiamo più jannacci, sergio rubini che dobbiamo parlare, bruno vespa che dice adesso e abbassa gli occhi sulla scaletta cartacea, il caldo il freddo li sopprimerei, turchi e curdi li lascerei fare, eppoi, ma forse si potrebbe, eppoi, ma se non ho capito male, il soliloquio collettivo, la prossima assemblea nazionale del PD, l'arcifrancesco che va in affrica senza portarsi in tasca vita di un uomo di giuseppe ungaretti. Impossibile fare guerra o pattinare in Brasile, non c'è ghiaccio.

martedì 24 novembre 2015

COSE CHE ANCORA MI SONO ANCORA di Francesco Gambaro

La targhetta Rag. Gambaro che ancora presiede dal 1982 la casa paterna del fu mio padre. Senza nome ma con un titolo di studio. La lettera C perduta da Gaetano e sostituita da una K kafkiana. La Q di qulo con cui Giovanni non si degnava di descrivere meglio l'oggetto dei suoi desideri. La R di Furvio, che accettava il cambio con la L, ma non la sottrazione della B del suo cognome Abbate. Il QUARTORDICI intramontabile dei palermitani e l'anno Ventuno dello mezzadro nato spagnolo, Francisco, all'anagrafe castelbuonese.

lunedì 23 novembre 2015

NEURODECRETO di Gaetano Altopiano

In questi giorni non riesco proprio a sintetizzare. Strano. In genere non ho particolari difficoltà a esprimere un giudizio compiuto, né tantomeno a trasferirlo su un pezzo di carta. Ma questa quindicina di novembre mi ha reso volubile e incline a un certa apatia generale. Potrebbe essere, magari, che non ci sia un tubo da sintetizzare e molto più tecnicamente il mio “deperimento” sia invece studiato a tavolino. Il freddo, le ultime frequentazioni, il film che ho visto ieri pomeriggio: viste le premesse, impossibile ogni azione.


LE SUOLE FANGOSE DELL'ASSASSINO di Francesco Gambaro

Mi piacciono le farfalline della notte addormentate sulla stanga del portone che col dito setaccio. I gechi che entrano dalle fessure delle finestre e mentre dormo mi cadono in bocca e mangio. Le lucertole che scovo in letargo e non scappano. Il fango secco sulle suole che svela l'ingresso in casa dell'assassino, che assassino.

domenica 22 novembre 2015

SUL CONCETTO DI DESIDERIO di Francesco Gambaro

La vita è acclamazione del proprio passato o eccitazione verso un futuro passato? Si desidera dormire o animare un sogno? Desiderio è una parola vuota o desiderio di una parola vuota. Desideri morire una volta o almeno un'altra volta? Essere tutta la vita un senatore, per esempio è un desiderio o la morte di un senatore?

sabato 21 novembre 2015

EL TOPO di Francesco Gambaro

Il topo non ragiona, non pensa, aspetta. Lavora a ritmo costante. Se si blocca è per ascoltare. Ama ascoltare i passi di animali strani che improvvisamente tornano a abitare la casa di campagna. Disdegnano le torte, soprattutto se alla fragola, soprattutto se ben confezionate in cartavelina. Invece assaltano con goduria famelica i cavi dei computer, le vecchie persiane rammollite. Si affacciano dove nessuno immagina ci si possa affacciare, dalla commessura di una porta, dalla fuga dei cotti mattoni, dalla ringhiera come signori in cerca di esposizione al sole. Osservano i calcinacci dei muri scrostati con piglio architettonico, programmano di ritinteggiare o abbattere. Cliccano sul tasto di un mangiadischi a ricarica solare e ballano cubano. Il topo non ragiona, è pazzo, infila la testa nella ghigliottina al camambert, in gloria barbarica dei formaggi francesi.

venerdì 20 novembre 2015

CORRENTECONTROCORRENTE di Gaetano Altopiano

Anche se sognare è una normalissima, banalissima umana prerogativa, farlo “professionalmente” è soltanto appannaggio di pochi. Soltanto pochi, infatti, riescono a metterci tanta passione e ancora meno sono quelli che di questo riescono a convincere gli altri (esiste persino un partito). Secondo alcuni si tratta di signori dotati di uno straordinario talento, temerari e imperterriti tanto da sollevare il clamore di chi li si osserva remare controcorrente. Per altri non sarebbero che persone confuse: hanno semplicemente sbagliato direzione. 

CONTROLANGONE ULTIMA di Francesco Gambaro

Si chiama olloubecco l'altro langone, “metti la lingua, un po’, sul mio cazzo / prima che non ci sia più niente affatto”. Metti che non sia un cazzo in questi sversi di olloubecco che, per langone camillo, è un grande poeta. Più grande del romanziere olloubecco stesso e della fallaci che non sapeva sverseggiare come invece olluebecco, bello come le mosche tavane, emaciato esattamente come il langone che su cinque a salve ne spara un'altra a salve e che quando entra in una chiesa ha un'erezione. Pound non si rimuove dalla tomba, assente.



Michel Houellebecq “Configurazioni dell'ultima riva”, Bompiani

giovedì 19 novembre 2015

SOTTO L'ALA DI PUTIN di Francesco Gambaro

Il mesto letta, l'imbranato bersani, il lanugginoso monti, il parolaio fiorenzuolo, il comico prestato alla politica grillo, il politico prestato alla comicità de luca. Ma com'è che ancora non riuscite a sostituire il joker berlusconi? Ancora sotto l'ala di putin?

mercoledì 18 novembre 2015

IL SOUFFLE' DELLA MORTE di Francesco Gambaro

A 16 anni c'ho tentato, era il sesto piano, poteva riuscire benissimo. Miei amici: s'è appeso al lampadario, solo ferite, per via che il lampadario c'è finito sulla testa. Altro amico, deciso con la pistola di suo padre comandante dell'arma, l'arma ha cileccato. Altro amico, non lo voleva proprio, ma scivolando col culo sul passamano della tromba delle scale, c'è riuscito proprio. Altro amico, qualche annetto in meno, sosteneva che la dauphine di suo padre fosse anche anfibia. Ha centrato sulla banchina la bitta di porfido ed è rimasto tutta la notte a fissare il mare terrorizzato dall'idea di dovere tornare a casa. Soprattutto gli adolescenti sentono insensatamente, poco professionalmente e per una corta stagione il soufflé della morte. Chi li recluta e li ammaestra a farsi saltare e a fare saltare in aria dona loro un senso alla morte.

ENDORFINE di Gaetano Altopiano

L’appuntamento” si è fatto interessante solo verso la fine. Anzi, unicamente alla fine. Cioè quando ci siamo salutati. Per il resto è stato un vero e proprio disastro. Ordinario. Prevedibile. Lei che in più si esprimeva in modo del tutto sgrammaticato. Da subito mi ha fatto pensare all’esercizio fisico. “Rilascio delle meritate endorfine solo dopo almeno un’ora di faticaccia.” Mi sono fatto forza e ho aspettato pazientemente che mi consegnasse l’assegno. 

martedì 17 novembre 2015

(L'OCCHIAIA. 11). di Elio Coniglio


Di spalle contro lo stipite del portone, più che appoggiato, da come si muove sotto i timidi raggi di questo primo sole primaverile, sembra appeso per la collottola ad un grosso chiodo. Simile ad un grosso insetto intorpidito  da poco svegliatosi  da un profondo sonno larvale, costui ha stampata sul volto la tipica espressione beota di chi tenta, astenendosi dall’agire, di scrollarsi di dosso le messicanerie  alcoliche della notte appena trascorsa. Lo guardo. Lascio che i miei occhi rimangano appiccicati a lungo  ai miei occhi riflessi sulle lenti scure dei suoi occhiali :-  guardo me stesso che guarda se stesso…  Ben oltre il vicino piazzale, seduto sotto una sbilenca tettoia di canne alta su un terrazzino sopraelevato di una decina circa di metri dal piano stradale, Qualcuno mi guarda e sorride. In fondo in fondo al piazzale un fabbro dà maldestri colpi di martello contro una cancellata. Un ragazzino imprudente quanto ostinato forza con la ruota anteriore del proprio scooter uno dei cancelli d’ingresso per entrare nel piazzale…

lunedì 16 novembre 2015

MARSIGLIESE Sì MARSIGLIESE NO di Francesco Gambaro


Ma non c'è qualcosa di colpevolmente preoccupante in un paese che dopo il discorso del suo Presidente si alza a camere riunite intonando la Marsigliese. Non sa un po' di Corea del nord? Ve lo immaginate, che so, la bonanima di Andreotti, alzarsi dal seggio parlamentare e cantare in coro Fratelli d'Italia, dopo l'assassinio di Aldo Moro?

ERRORE R4 di Francesco Gambaro

L'hanno rifatta, la più brutta. Ricordo quando, alla guida Gian Mauro Costa, scendevamo da Trabia a Palermo in folle: la 2 CV ci faceva presagire il mare, il maldimare e un concerto di Keith Jarret. Era niente più che un furgone, le linee delle Citroen le tagliavano ogni volta la gola. DS 21 per esempio. Oggi l'hanno rifatta, più brutta, più rifatta. Verrà la morte e avrà i tuoi due orribili occhi. I reviviscenti Maggiolino o Mini Cooper o 500 Fiat sono baci per la nostra salute oculistica. La neorinata R4 è l'orribile conclamato. Non guardatela, o dovrete andare dall'oculista.

domenica 15 novembre 2015

AMORE PER LA MUSICA di Gaetano Altopiano

Seppure Murakami Haruki sia un narratore instancabile e di indubbia bravura (uno dei giapponesi migliori) qualcosa dei suoi personaggi puntualmente non quadra, e questo solo per l’inguaribile passione che lo scrittore “nutre” per la musica classica. Ognuno ha i suoi limiti. Haruki non resiste e, in ogni libro, deve per forza rompere il cazzo e metterci un sottofondo musicale, fosse anche nella descrizione del bar più malfamato dove i suoi personaggi si sono fermati al volo solo per mangiare un panino. Il peggio accade perché regolarmente i protagonisti riconoscono alla perfezione il nome, il numero dell’opera e addirittura chi sta eseguendo quel particolare brano e in quale sala di concerto, oltre che casa discografica e anno di incisione, ci mancherebbe. Insopportabile. 

TI ESTI, DOTT.VESPA di Francesco Gambaro

A Porta a Porta si sta parlando degli attentati parigini. Il dott. Vespa, nel mezzo della trasmissione, annuncia l'arrivo in poltrona del prof. Paolo Magri. Scoppiano gli applausi. Vorrei essere in studio. Non per zittire il prof. Magri o per contestare gli applausi, solo per ricordare che nella passata Pasqua, in Kenya a Garissa, 147 studenti sono stati mitragliati dai terroristi somali di al Shabab. Una mattanza molto poco parigina, molto poco televisiva, vero, dott.Vespa? Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.



sabato 14 novembre 2015

LA PIU' BELLA PAROLA DEL MONDO di Francesco Gambaro

Si usa cosa, quando non si sa indicare cosa. Avevo un amico, me lo rimproverava. Diceva che tutte le cose devono essere nominate. Quando dici cosa è come se stessi dimenticandoti il tuo stesso nome, quello che sei. Ogni parola ha un significato, cosa non lo ha, è vuoto, un buco nel vocabolario, un comodo arrendersi e sciuparsi alla fiera della svendita della parola. Per me cosa, quando è diventata cosa? La parola delle parole, la più bella cosa del mondo. Quando ho detto al vocabolario accucciati, e lui, spaventato, si è accucciato.

TRILOBITI di Gaetano Altopiano

E’ inevitabile che accadesse. Ma, nondimeno, i sottoscritti cercarono sempre di pensare ad altro. Fino alla fine. Concentrati più sul 2/4, 4/4 del Tango, su stinchi femminili - Sunderland Club, Lugones3161 Buenos Aires- (persino sul potere delle parole immaginifiche) piuttosto che su Tempo ed Esperienza che inesorabilmente produssero l’unico effetto per il quale ogni cosa era stata creata: deperimento. Nel secolo 3milionesimo un tizio puntiglioso punterà il bastone scostando la polvere della pampa siciliana: un tacco di cuoio, un mucchiettino di falangi - scoperta secolare – una milonga con la stratificazione fossile del piede. 

venerdì 13 novembre 2015

AL BAR DELLA CAMPANA DI VETRO CON SYLVIA PLATH di Francesco Gambaro

Il titolare di un pub di via Chiavettieri a Palermo protesta per incidenti occorsi (da mettere nel conto). Rendere viva una strada è renderla rumorosa. Movida è la parola chiave che ne giustifica l'impennata. Movida non è una parola italiana, nemmeno palermitana. Un po' si diventa farlocchi con tutti questi spagnoli davanti. A me sta bene che in strada si arrostisca la merda. Ubriachi si mangia tutto. Ma da che parte sta il silenzio. Indicatemi una via, un bar, che non siano cantieri a turni rotativi, dove leccare con gli occhi, sobri, le ciglia delle ragazze. La promisquità movidica arroste pure il silenzio.

...Prima del loro arrivo l'aria era alquanto calma, andava e veniva, respiro dopo respiro, senza tante storie. Poi i tulipani l'hanno riempita con il loro frastuono, ora l'aria si impiglia e vortica intorno a loro come un fiume s'impiglia e vortica intorno a un motore affondato, arrugginito. Concentrano la mia attenzione che felicemente giocava e riposava senza troppo impegno. Perfino le pareti sembrano accalorarsi. I tulipani andrebbero messi dietro le sbarre come animali pericolosi;...” (da 'Ariel' 1961, traduzione di Erminia Passannanti)

PICCOLA POSTA di Gaetano Altopiano

Una delle domande che mister C. rivolgeva più frequentemente a se stesso riguardava la natura delle sue occupazioni. Questo, secondo quanto ci scrisse la signora G., sua legittima moglie. Quello che non convinceva il nostro amico, creandogli non pochi pensieri, era il rapporto tra il costo impiegato e il beneficio ottenuto dalle sue profusioni fisico-mentali che arrivò addirittura a definire malauguratamente investite (parole della signora). Orbene, la donna, attraverso costanti missive, riferì puntualmente il disagio creatosi in casa loro ma in modo altrettanto puntuale dimenticò di scrivere il proprio indirizzo e (soprattutto) mai specificò di che occupazioni si trattasse, rendendo impossibile, come è immaginabile, formulare il benché minimo consiglio.”
Gentili lettori, graziose lettrici:
Quante cazzo di volte vi devo ricordare che una lettera senza mittente non potrà mai ricevere una risposta? Ricordatevi di scrivere sempre il vostro indirizzo ma chère, ma anche expressément la natura concreta del vostro problema. Il nome insomma.

   La redazione 

giovedì 12 novembre 2015

UN POPOLO DI CT E ARBITRI di Francesco Gambaro

Ma è tramontana, no è grecale; ma è levante, no è scirocco; ma è ostro, non è libeccio; ma è ponente, no è maestrale. Si trova sempre il modo di mettersi daccordo tra noi metereologi dilettanti. Daccordo, no d'accordo.

mercoledì 11 novembre 2015

NEL TRAMVAI DI GIORNALISTI E MAGISTRATI di Francesco Gambaro

C'è questo tramvai, dal giornalismo rotativo al conduzionismo televisivo, dal magistratorismo silenzioso allo starismo magistrale. Chi li bacchetta i magistratri che, volendo uscire dalla gabbia dell'algido linguaggio forense, scrivono, libri, fiction, retroscena corvacei. O i giornalisti che fanno il salto più lungo della gamba. Il caso di Massimo Giannini - che, helas, non è un fuoriclasse caro Pietrangelo Buttafuoco, i fuoriclasse non fanno salti falsi - non pesa tanto per il perdonabile desiderio di passare al carro dei vincitori, alla squadra di chi paga di più, al palcoscenico dalle quinte. Stare davanti la telecamera o scrivere thriller è altro mestiere, e chi ci è nato dietro le telecamere o tra i libri ha partita vinta (Camilleri vs Carofiglio). Ma il punto è un altro. Questo tramvai porta da una cacca, quella rotativa, a un'altra cacca, quella televisiva, non c'è sostituto-prostituto che sappia più inventare, prendere le distanze dalle mezze notizie, dai lenti rinvii dal primo al fantasmatico quarto grado di giudizio. Niente più brilla, la noia non la addomesticherà Giannini né il futuro best-seller di Ingroia. Non sarà demerito loro se il tramvai delle loro ambizioni li porterà a un punto di non ritorno. Il futuro sta lontano dai giornali, dalla televisione, dalla senescenza precoce che Coloro auspicano rinascenza.

martedì 10 novembre 2015

RILEGGERSI di Francesco Gambaro

Rileggere, dopo anni, è quasi ferale. Non siamo costruiti su colonne stabili, la criticità, che pure non ci appartenne, inevitabilmente sgretola la vacuità della memoria. Così il poeta che amammo una volta oggi lo decliniamo al passato. L'apocalittico prosatore in rima della fine del mondo, un annoiato riccastro di provincia assimilabile al protagonista de 'I delfini' di Francesco Maselli. L'accostamento è casuale, non commemorativo. Intanto però scopriamo nuove sue pagine, ingiustamente mandate in polvere dalla irresponsabile memoria: “Sono andato dove non so, dove non sono forse arrivato, dove mi è piaciuto andare, perché la gente se ne avesse a male.”*. Perché succede anche questo, di chi abbiamo amato, rileggendo, scopriamo di averlo amato di amore disattento.


*(Antonio Delfini, 'La passeggiata' in Autore ignoto presenta)

lunedì 9 novembre 2015

IL SECONDO CALLOZZO DEL COLON di Francesco Gambaro

E' quello che nessuno conosce. Nemmeno il mio amico anochirurgo. E' il callozzo fantasma. Sta tra il primo e il terzo. Dalla biopsia si rileva questo fenomeno inspiegabile: un fermo immagine e poi un salto perfetto alla fratelli D'Inzeo. C'è un ostacolo insisto, si chiama otturazione. Ma niente. Chiedo i favori dell'idraulico. Molti idraulici sono più pratici degli anochirurghi. Chiamati a visitare il mio colon dal mio ano ne escono affranti. C'è un buco ma non è un'otturazione. Come un buco? Si passa. Che sia aria concentrata, azzarda il più brillante degli esploratori. Una loffa stantia, ma come si spiega che ci si passa. Anzi che ci si salta. L'ultimo idraulico bioptico ecco che dal terzo ritorna al primo senza nemmeno accorgersene. All'interno del salsicciotto del colon, plaff, buio, e si è nel primo callozzo. Il secondo manca sempre al radar dell'occhio. Dov'è finito si chiedono gli spazzini della sala operatoria. Gli idraulici tornano alla luce, uno dopo l'altro, scuotendo la testa. Che Oriana Fallaci abbia chiamato luce PPP mi ha definitivamente rotto ogni speranza.

sabato 7 novembre 2015

IL GIORNO DOPO LA MORTE DI GIANNI AGNELLI di Francesco Gambaro

Pino Aprile scriveva su Oggi: “Il re non incoronato d'Italia, come lo chiamavano gli americani, è morto. Era il nostro connazionale più stimato nel mondo. E non per i suoi soldi, la storia, la famiglia... Gianni Agnelli, l'Avvocato, era unico per lo stile: quello non te lo compri, è tuo... Lo stile è la personale forma di pudore che ognuno di noi matura; ed è così importante, perché il pudore è 'l'abito della virtù', inteso alla latina, del proprio valore. Dice quanto vali davvero. E questo che si intende con: 'un uomo è il suo stile'... Una cosa non potremo perdonargli: gli imitatori. Credono di essere come lui perché più ricchi; di averne l'eleganza, perché comprano gli abiti dagli stessi sarti; di essere affascinanti perché regalano gioielli e un fiore alle compagne di una notte; importanti perché frequentano gli stessi ambienti.” Sarà, caro Pino, però imitando si impara, si cresce: oggi, vuoi paragonare quel flaner di Agnelli allo stile alla ricchezza al fascino all'importanza di un Briatore di un Della Valle di quel coniglio bagnato di Luca Succhiabaci? 

venerdì 6 novembre 2015

VECCHIE CIABATTE di Francesco Gambaro

E' importante. Ultimo riconoscimento critico a Adele Cambria da parte di Adriano Sofri: “Io l’ho stimata, le sono stato grato, e le ho voluto bene.” Cazzo che fior di pezzo giornalistico. Ragazzi, domani tutti in libreria.

giovedì 5 novembre 2015

STORIE DEL SIGNOR JFK (11) di Francesco Gambaro

JFK si sveglia con un senso di oppressione che non sa spiegarsi. In pigiama, per liberarsene al più presto, apre il portoncino del suo sottoscala per fare il solito giro della casa. Sull'ottavo e ultimo gradino uno straccio chiaro intriso di quello che, ad occhio, sembra sangue. Sul marciapiedi, ad angolo, una federa decisamente macchiata di sangue. Si preoccupa. Procede per la circonvallazione, subito dopo la prima curva, un pugno di lenzuolo stracciato stropicciato e insanguinato. Sempre più preoccupato procede verso l'altro portoncino del pianterreno, seguendo una brillante scia di gocce porporina. Entra e sotto l'abat jour dell'ingresso i resti di un reggipetto, dell'inconfondibile culotte regalatole per l'anniversario di matrimonio e di un ciuffo smbagiato di assorbente. Si inoltra in corridoio, unghia spezzate e colorate di rosso. Apre con orrorosa circospezione la stanza da letto. Sangue schizzato dappertutto, pendente pure dai pendenti del lampadario. Nessun corpo, né una sagoma sul materasso, nessun'ombra. Scuote avvilito la testa maledicendosi per il suo alzhaimer galoppante. Si gratta la testa. Dove diavolo avrà occultato questa volta il cadavere di sua moglie?

CLAC, CLAC, TRE VOLTE di Gaetano Altopiano

Non possiedo oggetti che mi somiglino. Nemmeno i ritratti dei miei antenati. Dovrebbero, fra tutti, essere quelli più somiglianti, molto più di un posacenere, di un candelabro o un’alzatina. Ma neanche i miei antenati mi somigliano. Non più di quanto mi somigli un bicchiere di latta, una calamita, una brocca di creta secca. L’unico oggetto - non riesco a ammettere altro - è una rivoltella: qui riconosco una vaga rassomiglianza. Ho imparato a usarla per il semplice gusto di farlo, non amo sparare: impugnarla, girare il tamburo, sentire il rumore e contare. Clac. Clac. Sei volte. Come quando ripeto un libro - non leggere, mi capite - compitando parola dopo parola per il semplice gusto di farlo. Il polpo comune (Octopus Vulgaris) ha tre cuori. Anche questo è incredibile. Uno che addirittura usa solo per nuotare. Cellule nervose a milioni lungo i tentacoli, proprio come avere centinaia di cervelli. Dopo l’accoppiamento deperisce fino alla morte, che in genere sopraggiunge in un tempo brevissimo.
Di cose nient’altro che tre.
Doris: E son?
Sweeney: Nascita, e copula, e morte. Tutto è qui, tutto è qui, tutto è qui. Nascita, e copula, e morte.”

(Fragment of an Agon, T.S.Eliot, The Waste Land)

mercoledì 4 novembre 2015

LE UNGHIE DI UN VECCHIO CIECO di Francesco Gambaro

Il vecchio carezza l'orlo delle unghie. Così percepisce il passaggio del tempo. Mettiamo che questo vecchio sia Sherwood Anderson e, mettiamo che, di belbello, le sue unghie cessino di crescere. Che dal suo letto, innalzato all'altezza della finestra dai suoi cari per suo desiderio, veda impolverarsi i vetri, poi ingiallire. Mettiamo tenti di alzare le palpebre e che le dita ormai quasi disunghiate trovino le palpebre già spalancate.

martedì 3 novembre 2015

L'OCCHIAIA (10) di Elio Coniglio

Incontro la bambina, di buon mattino a passeggio mano nella mano con il padre, a pochi passi da casa mia. Mi chiede, di botto, usando un tono di voce che si fa sempre più duro, di una sua scarpa smarrita giorni fa giocando in strada. So dove si trova  e per un solo attimo mi tenta l’idea di mandare mio figlio a prendergliela in garage dove l’ho  vista in bella mostra fra le altre cianfrusaglie. Ma ho fretta e i crisantemi che cullo fra le braccia, cominciano a sfiorire….  Vaghiamo  per ore nei viali che attraversano in lungo e in largo il camposanto  prima di trovare la tomba.  Isolata dalle altre, questa, un massiccio parallelepipedo di pietra color ruggine, emerge dal terreno erboso scostante come un fungo appenappena spuntato ma non disdegna la tremula ombra bluastra di uno lanciatissimo cipresso  cresciuto nelle immediate vicinanze. Più e più volte, a turno,  inseguiamo con l’indice occhiuto la spirale di numeri  incisi da mani esperte che dal coperchio s’allarga giùgiù sugli altri lati, in cerca di un ‘ottantatre’ che non c’è. Per di più, una vecchia dal volto ossuto di un olivastro che denuncia una lunga permanenza in questo luogo ci molesta di continuo urlandoci contro un potentissimo mantra. Intimiditi, ci allontaniamo di quel tanto che basta per non avvertire sulla pelle questa rabbia incontenibile poi, con la cocciutaggine di chi deve compiere un’azione anche se non ne ricorda più il motivo, ci rimettiamo  sulle tracce della tomba….

GLI OCCHI DI UN VECCHIO CIECO di Francesco Gambaro

Agli occhi del vecchio cieco, l'alluce valgo del suo piede destro, svetta in maniera anomala verso scappatoie che la vecchia scarpa non riesce a governare. Anche il dito è vecchio, pensa il vecchio, perché continua a crescere mentre io rimpicciolisco? L'artrosi dilata le ossa, i capelli dei morti continuano a crescere dentro la tomba gli fa esempio il podologo, è la vita prima della morte. Però, dice il vecchio, non sono ancora un morto, sono un vecchio, che me ne faccio di un alluce valgo che continua a crescere, che vuole sbucare fuori dalla mia vecchia scarpa destra prima di morire. Senza un alluce sopravviverò. Lo resecasse bene, dice il vecchio al podologo, come bene mi taglia unghie, ragadi e calli.

INFORMAZIONE (CATTIVA) 4 di Gaetano Altopiano

Sembra che la notizia della relazione tra consumo di carni rosse e rischio cancro (rapporto OMS di qualche giorno fa) sia solo una notizia riciclata, vecchia di almeno 50 anni, che un burocrate troppo efficiente ha deciso di diffondere solo oggi. Non solo. Sembra anche che l’OMS abbia puntualizzato, subito dopo, che tale relazione sia il frutto di un valore statistico risultante da studi fatti tra gli anni 60 e 90 del secolo scorso e riguardanti “esclusivamente” le neoplasie dell’intestino in America (dove il consumo pro-capite settimanale è di kg.1 di carne). Altri studi dell’OMS sono: i tumori allo stomaco negli asiatici causati dall’ingestione di Tè bollente. 

lunedì 2 novembre 2015

LA DAMA NERA di Gaetano Altopiano

Mi dispiace Andrea Marcenaro, ma non sono d’accordo (Andrea’s version – il Foglio – la Dama nera delle tangenti Anas). Lei ha esasperato la funzione del “soprannome” e facendocelo notare, semmai, ha fatto il gioco degli aguzzini. Semmai. E’ prassi consolidata che i protagonisti della cronaca si vedano attribuire nomignoli tra i più fantasiosi e in primis (guarda un po’) proprio dai giornali, e questo non produce poi tutto questo grande botto sul risultato finale, altro che effetto cancerogeno: il destino di un indagato non è legato a un soprannome ma a quello che veramente ha fatto o non ha fatto. Amen. Tra qualche settimana la “dama nera” prenderà una strada che nessuno dei lettori avrà più interesse a seguire. Un noiosissimo processo che non si caca più nessuno. Lei il primo. 

SENZA COLLERA di Francesco Gambaro

Allora ci vediamo domani. (mia suocera): se vuole dio, senza collera. (Io): o dopodomani. (mia suocera) o dopodomani, senza collera. (io) forse toccherà a me. (mia suocera) o a me e chi lo può sapere. forse dio. forse non lo sa neppure lui. (io) ciao ciao. (mia suocera) addio addio. (io) allora a domani alle 8. (mia suocera): va bene. (io): buonanotte. (mia suocera): altrettanto per te.

domenica 1 novembre 2015

BITORZOLI di Francesco Gambaro

Sentirsi la fronte a bitorzoli. Orzi che riscaldano la testa e la animano. Orzi, animaletti fattisi grandi per imitare i giganti. Detti anche pietre di zole, cabezzoli imbazziti. Bozzoli, zoli, zenza zapere di essere soli. Io non zono zolo mi comunica Solo. Giusto te cercavo, e con le unghie degli indigi lo sghiaccio.