venerdì 30 giugno 2017
SPARTITRAFFICO RIFRANGENTE di Gaetano Altopiano
Distesa sterminata che mi conduce dove. Il tuo pelo esplode. Le tue mani corrugano tubi. Il tuo senso dell’oriente si anima. Difatti più accelero più ti replichi e ti assottigli. Gli animali necessitano cure continue: sono un peso evolutivo? Sono il frutto di errori? Ma tu punti un numero secco che è il dieci. Corriamo rischi, scavalchiamo siepi, massaggiamo il nostro mignolo cercando tregua, soprattutto non siamo niente. Alle 11 41, poi di nuovo 27 e in nottata 20. Sei proprio una sciagurata le grida, mentre infila la rampa di uscita. L’auto sgomma per l’usura dei copertoni (anno 2014). Un sibilo. Un aggiustamento. Di nuovo in carreggiata e si è al bivio: mercato. Saremo a casa tra poco, pensa. Soprattutto si immagina seminudo in una vasca da bagno.
RIPESCAGGI (2) di Francesco Gambaro
1.Narrare
un quadro è una tipica deformazione letteraria. Occorrerebbe
prescindere dalla narrazione, anche quando questa è esibita con
martellante insistenza. 2. Il vieto simbolismo del Trionfo della
Morte sarebbe da ricordare, non per una sua decifrazione storica e
accumulo di riferimenti (lebbrosari, pestenera, apocalissi), ma per
la sua ambiguità e erroneità: lo sguardo è ambiguo e erroneo. 3.
La risata autofaga della morte, proprio nella sua compulsione
scenografica di risata mortale eccita e corrompe. Cosa allude cosa?
Quello che nella morte la consunzione rivela è uno scheletro
gioviale e dissoluto. Poche morti hanno un'allegrezza così esplosiva
come quella che galoppa a Palazzo Abatellis. Alcune, al contrario,
munite di tetre dentiere (v. Il Trionfo della Morte, Scuola Senese
del XIV sec). 4. Ma la narrazione si impone liberatoria. Si narra del
dito bislungo del suonatore d'arpa, poggiato alla fonte. Anche la
sovrapposizione degli stili e il vociare delle mani ribadiscono il
concetto: non esistono buoni quadri ma universi di irrelate
reciprocazie. Si narra il cavallo mezzo di pietra e mezzo di ossa,
mezzo di corsa e mezzo fermo che fa da piedistallo alla morte
giullaresca. Si narra che è difficile fotografare l'irrequieto
affresco (dimensioni, luci, distanza) ma anche che è più difficile
osservarlo dal vero e che conviene riproporlo più tardi alla
memoria, portarlo a casa. Ci sono certe leggi dello sguardo da
rispettare: un quadro, in qualche modo, va rubato. 5. A Palazzo
Abatellis un vecchio cronopio, da tempo abitudinario di quei gironi,
staccò dalla parete il 'suo' trittico fiammingo, se lo mise
sottobraccio, tentò di guadagnare l'uscita: mai un canu a
taliarillu, m'attocca. (Palermo, 1976)
giovedì 29 giugno 2017
(L'OCCHIAIA. 34.”L’oleandro fiorito 2”) di Elio Coniglio
Ha lineamenti d’uccello e scapole sbilenche sporgenti dalle spalle curve l’uomo che, ogni giorno, dritto sulle esili gambe storte sotto l’oleandro fiorito, indisturbato ne scandaglia con gli occhi – due buie fessure avide di luce – le fronde ombrose: non sono i rossi maliosi dei fiori ad attrarlo ma un fugace frullo d’ali gialle che crede di vedere fra gli irraggiungibili grovigli di rami e foglie verbose …
IL PAZIENTE TORNO' di Francesco Gambaro
Il
paziente tornò. Con la saliva alla bucciarelli ducci. Dopo avere
speso, dietro prescrizione medica e presentazione di ricetta, la sua
piccola fortuna di pensionato. Così spravviverà, aveva detto il
dottore. Così aveva pagato il giusto numero di pedaggi per le
preliminari visite dormoteologiche, per il monotestone fluruoato, per
l'emulsione di bugiardini a vista, per l'eritema pineale alla
giugulare spalmato a vista. Vedrà. Sopravviverà. La cura non
funzionò. Ma il paziente tornò.
GELO di Gaetano Altopiano
Perso ogni gusto per ciò che ci dava piacere. Odiare la scrittura - adesso - tranne un verso “ Mangiati tutti i cani”. Stop. Brodskij riposa a San Michele. Smesso di correre agli appuntamenti, alias smesso di passeggiare. Alias smesso di fare sintesi, alias smesso persino di mangiare. La rotula genera un dolore incessante al lato destro, cosa sarà mai? E cosa quel grappolo di vene varicose che cercano di sgusciar via? Non siamo esagerati, dura da troppo tempo. Stasera, così, discutiamo del nostro solito argomento: solo di noi due. Sostieni non facciamo altro da vent’anni e porti in tavola senza pensare alle conseguenze. Ossia, apparecchi in un silenzio innaturale. Contesto la parola e dico “nonostante tutto” sarebbe più corretto, e aggiungo “spero che il tempo si sistemi e i tuoi dolori vadano via”. Ogni parola sguscia in una parola nuova e subito dopo ne contiene almeno due. Un vuoto dentro un vuoto dentro un altro vuoto. Nonostante tutto. Anche la vita di Amundsen dipese dal freddo e le ossa degli uccelli divennero cave per consentire il volo. Trasformazioni. Adattamenti. “Mangiati-tutti-i-cani”. Stop.
mercoledì 28 giugno 2017
PAOLO LIMITI di Francesco Gambaro
Avete
presente l'acido? L'acido che sbuffa dal coccodrillo quissotto di
Mariarosa Mancuso. Non piange il morto, appena appena lo racconta,
molto lo sfotte.
Si chiama scientismo critico.
Paolo
Limiti ieri era lì, forse in Purgatorio, che la ascoltava
attentamente. Come sempre sorrideva: “Amate da cui male aveste”.
martedì 27 giugno 2017
STORIA DELL'AMORE 3 (Primum movens) di Francesco Gambaro
Già
prima del contatto o contratto sessuale è l'irruenza di certe parti
del corpo. Parti, commilitoni boy scout comunisti e anarchici,
costretti al buio delle carceri anatomiche, protestano la loro
liberazione. In questa primavera dei sensi si sbocconcella di
nascosto il pisello appena raccolto. L'individuo amante sente
rigoglioso in sé l'amato, il frutto rubato di una improvvisata
stagione o festagione. Sente il bisogno di fare del bene a sé
(in età avanzata del male per sé). Alfredo il catanese disse: in
carcere cosa c'è di male a farsi guadare lo scroto, spaccimme contro
spaccimme. E da scarcerato usava chiedere, che spacchio d'ora è? E'
l'ora in cui dovremmo finire, gli faceva eco Mina, subito
correggendosi, in cui dovremmo venire. Così torna nell'amante la
voglia dell'amato. Una voglia, non un tatuaggio (in se e per sé
voluto e non dato), come la marca che marca il bove e non sa e non ha
voglia di essere marcato, come il destino del perseguitato. L'amante
sente animarsi nello stomaco il bambino mai nato. L'enfasi del parto
unito alla felice tragedia dell'uscire. L'amato amante si percuote la
testa e fa cose che altri uomini, chi più chi meno, fanno: tadisce
le regole. Salta di capezzolo in capezzolo e beve il latte che da
ogni capezzolo fuoriesce come quando Stanlio si mette a guardia di
una botte e con la cannula in bocca torna bambino. L'amato cerca
anche il sangue dell'amato. Spesso non lo trova. L'amato cerca
nell'amante, una ragione giustificativa per bere. L'amante è, dunque
la ragione, non l'irrazionalistica passione. L'amato questo lo sa. Lo
sa anche l'amante. Diventa amato amante. Così comincia la produzione
del bene che tutto il mondo muove e ostetriciamente commuove.
domenica 25 giugno 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (89) (remake) di Francesco Gambaro
Sente
la pelle sotto la doccia intenerirsi. Scollarsi. Un po' coniglio
scuoiato. Attento a non leccare le ferite insaponate, si raccomanda
JFK. La carne viva fa la sua strada. Sprizza, si miscela, fuori dal
gettito, alla pelosa guazzabunaglia. Per vanità JFK non esce dal
bagno, per vanità non si fa guardare, per vanità si osserva allo
specchio e non gioisce. Alla loro vista le bruciature si infiammano.
Le campane pendule rintoccano sille cosce impietose. Rivolgiti a
qualcuno, si consiglia JFK, perdio! Ma qualcuno non c'è, in più non
sa più come muoversi. In più è spaventato dalla presunzione della
sua sussistenza. Non sei tu che devi essere soccorso, né chi ti ha
ridotto così, si lamenta JFK Il Lamentatore. Perde adesso un osso,
due gli ossi adesso. Da destra il perone, da sinistra tibia e
astragalo. Che farebbero tre. Una rotula, investita d'aria, è
indecisa se lanciarsi nel vuoto. Che facciano quello che vogliono.
Con dolore, senza paura, primattore della scena. Si allontana a
fatica dallo specchio e, come per miracolo, scompare. JFK nota che
JFK, fuggendo dallo specchio, ha lasciato in terra pezze e attrezzi
del mestiere. L'inganno non rassicura JFK. Non si insegue e non
ritorna allo specchio. Si nega il piacere di rivedersi sano anziché
a brandelli. Si abbandona sulla ciambella della tavolozza. Stupisce
sia ancora lì. In realtà, uno scheletro a pezzi.
sabato 24 giugno 2017
STORIA DELL'AMORE 2 (Primum lenire dolorem) di Francesco Gambaro
Quale martirio, che
carne da cannone è diventato l'amato amante finendo ogni volta
inerme, per strenuo e fiero carnascialismo, nelle grinfie di un
nemico atavico e insolente che, a poco a poco, passo passo,
pedetentim, lo ha consumato come un cracker e lo costringe a scrivere
confiteor. A ogni ricaduta privato di mordente, del magico anello
impermeabile alle regole del matrimonio. Ma c’è anche il caso di
chi ha perso la ragione, e quello di chi si è per sempre rintanato
in casa, sanguinolento e senza pantaloni. Dio ne scampi dall’ultima
che ha avuto. L'ultima fu come la prima. Ma poi l’ha avuta? Che
ricordi confusi e cialtroni. Le ha solo morso le labbra. Tenere ed
elastiche. Labbra diciassettenni. Ad una certa età può bastare un
morso per il piacere, per sentirsi posseduto. Ci fai figura anche
coi denti se ancora li hai. Più figura se i denti non sono, come
tutto il resto, pròtesi. Per dirla tutta, dice il dottore all'amato
amante, si deve accontentare. Era una vecchia amica. Un sogno. Era
proprio come l’aveva lasciata. In più così disponibile che
sembrava la copia di quella immaginata a diciassette anni. Ne aveva
cinquanta, sessanta, sessantatre e non si sarebbe detto. Una
coetanea. Questo forse riunisce l'amante all'amato. Come li unisce
veramente? E per quanto tempo? Il buio è calato dopo quei morsi. Un
tonfo in un letto ministeriale, l’intrusione di una compagnia di
attori che in quella stanza devono provare, la fuga in strada per
ricucire un rapporto, forse mai rinato, le parole di lei al sapore di
selce: mi hai guardato bene? La guardava, e più la guardava più lei
diventava bellissima, il suo corpo perfetto, il suo sguardo
illuminante. Non fuggiva: lo affrontava, gli veniva addosso. Ti sei
guardato bene? chi ti credi di essere? Sei un uomo decaduto. E' il
momento in cui l'amante viene risucchiato nel buco nero dei suoi
decadenti pensieri e recede. Quanta sbobba di fiele può contenere e
riversare addosso dell’amato la bocca di un’amante. Risucchiato e
subito rovesciato fuori. Decaduto ma non disposto a recedere.
Illusional come il gerovital, canta Paolo Conte. Le punizioni
purificano. Le offese, gli insulti del tempo, il lordume umano fanno
santi gli amati amanti se sanno accoglierli senza reagire o
rigurgitare. Lo ha definitivamente distratto la visione di lei che,
voltandogli le spalle, si allontana. L'amante si accorge di qualcosa.
Un particolare. Un’alopecia del cozzo con contorno di capelli
grigi. Fa la chemioterapia, travisa il codardo. Dio ne scampi dalla
chemio. Dio ne scampi dal cancro e dalle amanti.
venerdì 23 giugno 2017
STORIA DELL'AMORE (Primum) di Francesco Gambaro
L’azione più
intelligente che un’amante fa, dopo avere copulato con l’amato la
prima volta, è infilarsi il suo maglione, o un indumento
equipollente (pur che l’amante non sia di stazza doppia dell’amato,
ma par capiti di rado) e abbracciarselo e strusciarselo come
sembiante, in vece del suo corpo, scomposto e grippato sull’angolo
di un divano, o aggrovigliato nelle crude lenzuola di un albergo, o
ammanettato alle barre della testata del letto. Posto che l’amato
sia amato e non amante, sia cioè per la polizia matrimoniale,
ancora, marito osservante, ciò che succede dopo, causa quest’atto
di proditorio irretimento, dio ne scampi. Capita appena dopo,
infatti, quando l’amato infila l’altra chiave nell’altra toppa,
quella della porta di casa, che si risvegli in lui lo stordito senso
dell’olfatto. Quanto l’aveva beato nel vortice del piacere, e
nella continuazione di esso come suo correlativo (il profumo
arcichimico di lei), lì si materializza e si rivela trappola ad
orologeria. Ormai è già in casa, sente i passi dei famigli in
agguato, e gli effluvi del suo maglione spandersi come pipì di gatto
a marca del territorio. Si abbandona sulla poltrona, fingendo
sfinimento (senonché sfinito lo è davvero, e non soltanto per gli
esercizi di ginnastica straordinaria, ma per l’accelerazione
brutale subita dalle sinapsi in cerca di un’arrangiamento
convincente, di una difesa all’attacco, ecc.) ed erogando parole a
fluvio, per tema di una domanda, di un’osservazione che ponga la
questione di quel nuovo estraneo in casa, che in casa qualcuno ha
portato da fuori (qualcuno chi? non lui). Al postutto, quando
l’atmosfera si è placata e, complice, pare abbia risucchiato gli
atomi fedigrafi, la consorte gli si avvicina e spiaccicandogli in
fronte un bacio consolatorio lo invita a un drink per la ripresa, lui
ha l’improntitudine, il convincimento, la sicumera di
tranquillizzarsi pensando: se mi invita non se ne è accorta. Ma se
ne è accorta.
giovedì 22 giugno 2017
SULLE RIVE DEL TONTO (8) di Elio Coniglio
Con aria complice, Francesco estrae dalla tasca un fazzoletto di seta e, una piega dopo l'altra, lo svoltola, finché fra gli azzurri cangianti della stoffa non appare un bioccolo di lana di un biancore davvero abbacinante. "Una nuvola delle Pampas!" sussurra e i suoi occhi brillano mentre la stringe amorevolmente tra indice e pollice...
mercoledì 21 giugno 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (88) di Francesco Gambaro
A
84 anni non ce la fa più a difendere dai Tartari i pochi ortaggi di
sostentamento (comprese 3 galline e un'oca dalle uova di marzo). JFK
ha deciso di comprarsi un molto pratico, innovativo, ecologico,
autonomo (alimentato per i fatti suoi dal sole) DISSUASORE A SPRUZZO
EVOLUTO. I Tartari ossessionano la testa di JFK. Assaltano da tutte
le parti la ridotta dove da anni si è recluso, minacciosi e
minacciando la sua stessa incolumità. I Tartari sono gatti, cani,
tassi, conigli, volpi, cervi, aironi, uccelli, scoiattoli, ippogrifi,
granchi, viperelle, bisce e biscioni maledetti, zanzare e, il va sans
dire, papillons de la nuit. Il dissuasore utilizza un getto d'acqua a
pressione che spaventa gli animali intrusi, preservando terreno,
territorio e ridotta dagli effetti ferali. Funzionerebbe anche di
giorno, ma JFK sin dalle cinque di mattina è vigile e armato del suo
famoso sputo di tabacco da mastico. Per questo lo avvia solo di
notte:
spruzzo evoluto utilizza gli infrarossi per rilevare il movimento
fino a
10 mt, consuma solo 2-3 tazze di acqua per ogni spruzzo, copre ben
150 mq, è portatile e non necessita di collegamento alla rete
idrica. Tuttavia JFK avrebbe deciso di disfarsi del devastante
oppressore di animali, dopo avere constatato di essere soltanto lui,
ogni notte, l'animale bersaglio di spruzzi evoluti.
martedì 20 giugno 2017
CASTELLI VS REZZA di Francesco Gambaro
“Quando
Anto tornò a casa, trovò l'insonne e la giovane nel suo letto e
venne rapito dal fascino della ragazza. L'insonne gli ispirò solo
indifferenza. Anto guardò ancora la giovane e chiese “Perché non
apre gli occhi?”. “Perché li ha prigionieri delle incrostazioni
del sonno. Ha sempre dormito” rispose l'insonne. Anto si avvicinò
alla giovane e vide che i suoi occhi erano completamente sommersi
dalle secrezioni notturne. “E' come se il sonno si fosse recluso”
disse Anto. “Perché vuoi trovare tutte le posizioni?” chiese
l'insonne. “Per non annoiarmi mai mentre dormo” rispose Anto, che
continuava a fissare la giovane.” Antonio Rezza, Son(n)o, Bompiani
2005
“Figure
dell'insonnia. Supino, in quiete; disteso su un fianco; supino a
forbici; supino, e capovolto, con le mani piatte, sotto il costato;
supino, una gamba mollemente divaricata e un braccio pensile; supino,
col capo reclinato sulla tempia destra; disteso sull'altro fianco;
capovolto e le braccia pensili; supino, e capovolto, a rana; supino,
una gamba a cavalletto, e una mana rilasciata sul ventre; supino, con
le mani sotto la nuca e le gambe sollevate, a compasso; supino, col
capo reclinato sulla tempia sinistra; supino, con le braccia
congiunte sopra il petto; supino con le gambe divaricate, i gomiti a
cuneo sui fianchi, e le mani rilassate tra le ascelle; disteso su un
fianco, con le braccia unite e proiettate in fuori; supino con la
testa di qua dal cuscino e le braccia abbandonate, indietro, sopra di
esso (che, a riguardarla dopo, benevolmente nella memoria, pare una
stilizzazione contagiosa, elegante anche, quasi atletica, d'un atleta
che sia andato a letto senza muscoli)... Figure che si scompongono e
si ricompongono di continuo; e quando la loro animazione, di solito
interrotta, avrà attinta una tregua, sarà soltanto perché sei
stato, d'improvviso, miserdicordiosamente, assunto alla grazia docile
di un sonnellino. Al risveglio, allora, non ti parrà più di sentire
il tuo corpo, il volume e la tensione della tua carne; le membra,
divenute fresche e soffici, saranno state cullate nella levità
informe e senza peso di un'attitudine pre-natale.” Antonio
Castelli, Gli ombelichi tenui, Lerici, 1962
domenica 18 giugno 2017
LO SCONOSCIUTO DI LIVELLO 2 (cosa stai cercando piuttosto?) di Gaetano Altopiano
All’uomo cui chiediamo di risolvere un problema di livello 2 che applica un ragionamento di livello 1 o 3 (sub-ragionamento o sovra-ragionamento) non abbiamo niente da rimproverare. Noi stessi dobbiamo metterlo in conto: è possibile che fornisca un sub-risultato, come un sovra-risultato, e non quello che riteniamo esatto per i più diversi motivi. Cosa stiamo cercando, piuttosto? Questo dovremmo chiederci. In base a quale principio, a esempio, avrei dovuto applicare “intuizione” anziché “logica” alla notizia che mio figlio mi comunicava (sto andando al mare) e arrivare alla conclusione che era un’affermazione falsa dato che mercoledì ha esami.
sabato 17 giugno 2017
LA SERA C'ERA MINA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/06/17/la-sera-cera-mina/
venerdì 16 giugno 2017
SULLE RIVE DEL TONTO (7) di Francesco Gambaro
Un
po' camminiamo a zonzo. Zonzo è una località dove si cammina a
zonzo. Siamo Elio, Tà, io e forse un altro. Ripetutamente ci
attaccano uccelletti gravidi come zanzare. Ognuno di noi si strappa
gli indumenti viavia, temendoli infetti. Il sole non ci fa luce: a
Zonzo ogni ora è mezzanotte. Noi, però, abbagliamo come lucciole.
Elio vede una cisterna e dice: adesso mi ci tuffo. Tà lo frena
dicendo, è una cisterna con coperchio, se ti tuffi batti la testa e
restiamo in due (o in tre). Io mi rado con le unghie e mi strappo
anche la pelle a morsi. Che tempi abbiamo chiede l'altro dal fondo
del serbatoio.
giovedì 15 giugno 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (87) di Francesco Gambaro
La
giornata è indubbiamente calda. Uscire non è facile, Ancora meno
pensare di rientrare. Fa mezzogiorno già alle sei, un languore fa
stomaco allo stomaco. La campagna non partecipa della sopraggiunta
difficoltà deglutativa. La campagna si limita a osservarlo, sdraiato
e impossibilitato a uno stacco, veloce o rallentato, dalla sdraio.
JFK non vorrebbe nemmeno cambiare posizione anche se il sole comincia
a bruciargli pure le punte delle unghie. Fa mezzogiorno come fossero
le sei. Ha fame, questo è il problema. Ogni organismo del suo corpo
lo informa che è l'ora dell'azione del mangiare. Il contratto è
quello, è stato firmato e sottoscritto dallo stesso JFK. Ma lo
sforzo di alzarsi JFK riesce solo a pensarlo. Pensarlo è già uno
sforzo tanto antisindacale quanto immane. Distoglie lo sguardo dagli
alberi e dalle verzure complici che da qualche minuto gli negano
l'ombra e, come un miraggio, scorge, un trancio di tubo rosato dal
sole. Un tubo d'acqua da JFK stesso tagliato in epoche passate, della
lunghezza di un rigatone liscio, cinque centimetri esatti. Ah, che
meraviglia la pasta al forno con i rigatoni, gli dice. Sai a casa
tengo la teglia. Anche i rigatoni rigati. Ma tu sei liscio. Sei qui.
Su salta, salta. Fatti mangiare così come sei, crudo, prima che i
tuoi fratelli.
mercoledì 14 giugno 2017
UNA SVEGLIA TRISTE MI HA CHIESTO CHE ORA E' di Francesco Gambaro
In
libreria una volta la pagina 69. Di notte stanotte un libro di poesie
aperto a caso. Alla mia età posso permettermi, a casa a caso,
Patrizia Valduga. Ho odiato i collant? Ho tifato sfegatatamente per
le calze autoreggenti? Per il feticismo dei traforati neri? Buone
ragioni per provare a strapolare: “Vano spasimo oscuro d’esser
viva”. Un po' più dietro, un po' più osé: “L’alba piange su
me tutto il suo pianto”. Il secondo verso ai miei assistenti. Col
primo faccio il luminare d'abbaino, l'esatto crittografatore del
testo tasto per tasto: Vano: nel senso di stanza, stanza delle pene e
dello Spasimo: nel senso del noto nosocomio (o brefotrofio?)
palermino, sprovveduto di tetto e per questo Oscuro: nella sua cupola
astrale rudere incompreso e senza luna. D’esser: francesismo che
sta per dessert, per darci forza prima di sparecchiare e arrivare a
Viva: la scomparsa catena di supermercati con ricca giacenza di
prodotti Valduga. E' tarditardi, scusami, sveglietta.
martedì 13 giugno 2017
SULLE RIVE DEL TONTO (6) di Elio Coniglio
Fatico non poco a contenere gli smodati impeti d'entusiasmo di Tà che, pedalando a più non posso sul terreno accidentato che gira attorno al casolare, si diverte a fiorare col gomito ossuto l'abisso che, giusto ad uno sputo da uno dei muri, precipita a rotta di collo giùgiù verso le mammellute vallate sicane. Poco più in là, Francesco, gambe penzolanti nel vuoto, testa ad una nuvola, inciampa di continuo con occhi da bambino sul bambino e il suo volpino: due macchioline in fondo in fondo al sentiero fiancheggiato da ulivi secolari...
CON L'ACCA PRECEDENTE di Francesco Gambaro
-
Voi l'avete licenziato? - Io, io, io l'ho licenziato, L'HO, con
l'acca precedente!*
Improvvisare
è una scienza, una scienza senza copione. I paletti fissano le altre
scienze. I vincoli, per esempio quelli urbanistici, ritardano e
inquinano la crescita di agglomerati. Quello che rende bello questo
paese, mi dico osservandolo con l'occhio del fotografo ladrone, sono
le superfetazioni, gli spiazzamenti squilibrati (le piazze in leggero
pendio), l'architettura rubata, leggiadra, improvvisata, avventurosa,
imprevista. Non ce l'ha un piano regolatore chi vuole scrivere, non
può esserci un sindaco o un consiglio comunale binocoluto, in un
paese che vuole contrastare (in senso dugentesco) il farsi nel tempo.
L'improvvisazione è scienza, sa chiudere l'occhio, fuori reflex o
copione, quando e dove meno te l'aspetti.
*Totò,
in Gambe d'oro, di Turi Vasile, 1958
sabato 10 giugno 2017
SOLERESTE di Francesco Gambaro
Oddio
signor giudice, in effetti non sapevo quando scendendo in cantina mio
marito fosse seduto alla sua scrivania o morto sulla scrivania. Ma
voi, signor giudice, solereste scendere in cantina ogni notte per
verificare lo stato di mio marito che ci parla delle nocche, della
sua sostanza astrale. Ogni notte, signor giudice.
venerdì 9 giugno 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (86) di Francesco Gambaro
Nel
suo bunker JFK si muove con agio e spensieratezza, non soffrendo
dell'eventualità che alcuni possano vederlo zoppicare, trasferirsi
da una sedia all'altra senza l'uso dei piedi, giungere in gabinetto
bagnato, invocare infermiera mancante e letto mancato, strisciare
come lumaca lasciando culo per terra e schiuma indigesta, osservare
formiche moscerini e acari fossero passanti o tracce di passanti. A
84 anni, con mani sottili, diventate matite, disegnando e
ridisegnando, graffia sul vetro delle cataratte la sua faccia così
com'è.
giovedì 8 giugno 2017
ALLA TRIGLIA MORIBONDA (Quando votai Quasimodo) di Francesco Gambaro
Quando votai Quasimodo per il Nobel me ne pentii (Una notte ad Atena nel mare bianco dell'Acropoli la civetta disse Atena). Votando Ungaretti me ne pentii uguale, dio ci salvi dall'enfasi stagionale (si sta come d'autunno, eccetera) e le rondini non fanno primavera non sono aquile avrei detto a Montale per giustificare il mio voto nemmeno a lui, pescivendolo (le tue parole iridavano come le scaglie della triglia moribonda). Avrei votato Dylan alle prossime elezioni: contro De André e alla sua picchiata (di vibrante protesta). Mi capitò in ritardo di leggere questa deposizione, chi vorrà scrivere le sottoscriva pagine Nobel così:
Tratto dagli Atti del processo a Riina:"Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva. Nel momento della aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello ce abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire."
Grazie Vincenzo Scimonelli per averla girata su FB
Grazie Vincenzo Scimonelli per averla girata su FB
mercoledì 7 giugno 2017
DA PRESIDENTE A PRESIDENTE di Francesco Gambaro
Scusate, ma vi risulta che Papa Benedetto XVI abbia mai mandato, o mediti mandare, veline di smentita, in conferenza stampa, a Papa Ciccio?
IL BUIO di Gaetano Altopiano
Con modi cerimoniosi il cameriere accompagnò l’Ospite in uno dei cinque salotti della casa. Dato che gliene diede possibilità l’uomo scelse il nero, a motivo - fantasticò il domestico - della forma del suo sincipite e di un carattere particolarmente difficile. D'altronde, supponeva il motivo di quella visita: l’Ospite non aveva figli e aveva poca dimestichezza coi colori sgargianti come il rosso, il giallo, il verde o l’azzurro, considerandoli colori inferiori, e inoltre amava la penombra; non amava invece il fuoco né le belle distese di margherite della tenuta sulle quali lui, invece, si deliziava a correre nei giorni di permesso, e al mare decise che quello andava di rado a prendere i bagni. Salutatolo con un inchino lo pregò di aspettare. L’Ospite sprofondò in una delle poltrone e lì, infatti, attese di essere ricevuto. Il cameriere, piuttosto giovane in verità e poco esperto, fantasticava spesso le vite degli altri considerandole fonte di curiosità e di divertimento, perlomeno di quelle delle persone che venivano ricevute in quella casa, per quanto meste - come la figura di quella sera - potessero apparire. Del resto, altre non ne conosceva. Sapeva niente di quello che accadeva all’esterno e raramente otteneva di uscire. Fermatosi sul corridoio fissò il suo interesse su un antipatico moscone che ronzava contro un vetro. Si chiese se non fosse il caso di schiacciarlo, temendo di sporcare però tirò un sospiro e passò oltre. L’uomo sedeva nel salotto nero e aspettava. Si fece buio presto. Sulla fazenda calò la sera e migliaia di moscerini volteggiarono nel cortile. Il ragazzo tornò con un candeliere acceso. L’uomo si era alzato e ora fumava vicino la finestra, ma con insolita eleganza per essere un meticcio - rifletté il ragazzo - : teneva la sigaretta tra le dita lanciando dense boccate bluastre da una bocca perfetta. Il ragazzo decise che l’uomo era venuto per conquistare la proprietà di quel posto. Immaginò una battaglia legale e scene in cui la signora padrona batteva il pugno sul tavolo di un notaio. Appena fuori fu nuovamente sul corridoio e lì incrociò la sua faccia in uno specchio. Nel buio vide soltanto la metà di se stesso. Giocò a falsificare maggiormente la realtà, e fu lui l’Ospite.
martedì 6 giugno 2017
ALTRI INCIPIT (Mark Strand) di Francesco Gambaro
Il
braccio di fumo, assottigliatosi, si protende oltre lo specchio
d'acqua e si posa un poco su una casetta al limitare del bosco.
Marito e moglie, ciascuno con un cocktail in mano, sono seduti lì
dentro e discutono su chi di loro morirà prima. “Io”, dice il
marito. “No, io”, dice la moglie. “Forse moriremo nello stesso
istante” dicono entrambi, all'unisono. Non riescono a credere che
si stiano esprimendo in questi termini, così la moglie si alza e
dice: “Se fossi un'artista, ti dipingerei un ritratto”. “E se
fossi io un artista” replica il marito “farei la stessa identica
cosa.”
Mark Strand, “La silhouette dell'amore alla luce di una lampada”, in
“Quasi invisibile”, Mondadori 2012
lunedì 5 giugno 2017
SORRENTINO NON E' SOLTANTO UN DIMINUTIVO di Francesco Gambaro
C'è,
per esempio, pure il piacentino, il pecorino, fior di fiorino e pure
il vino che, non può essere distrattamente diminutivo ma
antropologicamente accrescitivo. Come, per esempio, il finale del
quarto tempo del film – adesso i films li chiamano serie o episodi
o fictions - di The Young Pope. Mariarosa Mancuso non lo avrà visto,
altrimenti consentirebbe che un film lo può salvare anche un finale,
che un film non sempre, quasi mai, è intoto, più spesso inqualche:
una immagine che si imprime, una scena centrale o ferale, un primo
piano solare alla Brass. Il finale del quarto tempo di The Young
Pope, che Mariarosa Mancuso scanzona perfino perché adesso pure in
dvd (e invece a me piace tutto, anche i desueti dvd e il 3D, anche on
demand, i recuperandi super-8 al pari delle sonorità viniliche e mi
piace anche andare in elicottero per fotografare le dive e i divi di
Beverly Hills) lo vedo stanotte per la prima volta. Il finale del
quarto tempo del film è l'imprevisto che non prevedi in stanze
vaticane: la figura di Nada in campo lungo, oscurata come un pentito
in videoconferenza, si muove e balla e canta Senza un perché. La sua
voce surround riconcilia e richiama l'inizio del primo tempo del
film, che invece la Mariarosa ha veduto e straveduto e non taciuto.
In quell'inizio accrescitivo, Sorrentino, che non è soltanto un
diminuitivo e nemmeno uno juventino, ustiona cinematograficamente gli
occhi che solo le creature rotolanti nella sabbia di Zabriskie Point.
domenica 4 giugno 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (85) di Francesco Gambaro
JFK
odia il rituale del farsi le unghie. Ricorda che da universitario,
passeggiando per via Montegrappa, intravide tra i fruscii ventosi di
un muretto di passiflora, una donna, vecchia e bassa, seduta
sull'unico gradino del suo ingresso, vestita di nero, e un cagnaccio
con l'antipatica faccia da barboncino (abbaiando malauguratamente
proprio costui aveva attirato l'attenzione di JFK), e una tenda
antimosche con mosche alla spalle, intorno muri screpolati, interra
un tubo d'acqua seccato dal sole, plastiche minute come profilattici
sul vialetto incolto con cinquecento cadente ruggine e ciao verde
paonazzo, a vista di balconi di alti palazzi circondariali, e suoni
di tromba e adesso spostati rivolti all'impietrito, che quella volta
vide, e da quella volta obliò l'arte di farsi le unghie, una donna,
tra i foschi fruscii di un muretto di passiflora, accavallare la
gamba sinistra, tirare il piede e leccarsi le unghie, a una a una.
sabato 3 giugno 2017
SI CHIAMAVA TOSHIBA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/06/03/si-chiamava-toshiba/
venerdì 2 giugno 2017
I CANTANTI di Gaetano Altopiano
Il signor Liju e la signora Liju sono sposati da settantotto anni. Vivono nell’isola di Honshu, in Giappone, e sono ultracentenari. Come del resto un buon numero di loro conterranei. Sembra che il segreto di tanta salute sia il selenio, che dalle loro parti abbonda considerevolmente, ma la verità, nello specifico, a detta di testimoni oculari, è che il signore e la signora Liju cantano in continuazione. A ogni ora del giorno. E fin da quando hanno compiuto i cinquant’anni. A questo sarebbe da ricondurre la loro longevità, al canto. Questo mercoledì, alle quattro del mattino, il signore e la signora Liju inforcano le biciclette e partono per il mercato intonando melodie.
IL SELVAGGIO di Francesco Gambaro
Leggo,
con sostanziale complicità, l'articolo di Marco Archetti su Il
Foglio di qualche giorno fa,“Elogio dello scrittore stupido” e
ricordo che 8 o 9 lustri fa, Gaetano Testa e io avremmo commentatolo:
“acqua frisca”. L'articolo gira intorno una citazione del
Noiosissimo: “Se nella gerarchia delle virtù l'intelligenza occupa
il secondo posto, solo lei è in grado di proclamare che l'istinto
occupa il primo”. Glisso sull'oscuro neologismo proustiano di
'istinto', e rifletto sul significato della parola intelligenza, cioé
del vestitino che ognuno di noi si porta in fronte se vuole andare in
televisione. In un passo di Wislawa Szymborska, che rintraccio in
toilette tra “Il piacere di leggere” di Vittorio Sermonti e “Il
lettore di immagini” di Charles Simic, leggo: “Il poeta (si
perdoni l'improprietà, Gaetano e io avremmo corretto cristianamente
“Colui che scrive”) può anche avere conseguito in modo trionfale
sette lauree, ma nel momento in cui si mette a scrivere (versi, sic)
l'uniforme del razionalismo comincia a stargli stretta. Ecco che
allora si agita, sbuffa, slaccia un bottone dopo l'altro, finché
alla fine non salta fuori dal suo vestitino, mostrandosi a tutti come
un selvaggio ignudo con l'anello al naso. Sì, proprio un selvaggio,
come chiamare altrimenti una persona che chiacchera (in versi, sic)
con i morti e i non nati, con gli alberi, gli uccelli e perfino con
una lampada o la gamba di un tavolo, senza ritenere tuttociò una
idiozia?”
giovedì 1 giugno 2017
IL PASSEGGIANTE di Gaetano Altopiano
Tra tanti oggetti incredibili il passeggiante notò il più incredibile: ai margini della cunetta un serpentello nero di merda di cane su una pietra solitaria, bianca, liscia e immacolata. Che l’abbiano messo lì apposta? Il passeggiante rimuginò poco convinto vagliandone la perfezione, nondimeno annotò sul suo bel taccuino la data esatta, l’ora, il chilometro della provinciale e la direzione del vento, che in quel momento era ovest nord-ovest. Come del resto soleva fare abitualmente. Giacché era anche abbastanza preciso scattò una foto e telefonò alla moglie per un consulto, nel caso le fosse mai capitato niente di simile. No, non le era mai capitato, fu la risposta. Telefonò anche a altri due passeggianti, il cognato e un amico, ma anche loro dichiararono di esserne alieni. Ripresa la passeggiata ebbe però quasi subito un ripensamento: poteva davvero fidarsi di quei pareri? D’altronde, i tre, non erano passeggianti professionisti e perdipiù, ora che ricordava, due di loro erano anche piuttosto distratti. Un gatto morto giaceva poco più avanti e nuvole minacciose si ammassavano a occidente. Il passeggiante, più risoluto che mai, decise per la seconda versione. Si trattava di un falso.
CHARLES PEGUY VS PAUL CELAN di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/06/01/sentii-dire-charles-peguy-vs-paul-celan/
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