Sente
la pelle sotto la doccia intenerirsi. Scollarsi. Un po' coniglio
scuoiato. Attento a non leccare le ferite insaponate, si raccomanda
JFK. La carne viva fa la sua strada. Sprizza, si miscela, fuori dal
gettito, alla pelosa guazzabunaglia. Per vanità JFK non esce dal
bagno, per vanità non si fa guardare, per vanità si osserva allo
specchio e non gioisce. Alla loro vista le bruciature si infiammano.
Le campane pendule rintoccano sille cosce impietose. Rivolgiti a
qualcuno, si consiglia JFK, perdio! Ma qualcuno non c'è, in più non
sa più come muoversi. In più è spaventato dalla presunzione della
sua sussistenza. Non sei tu che devi essere soccorso, né chi ti ha
ridotto così, si lamenta JFK Il Lamentatore. Perde adesso un osso,
due gli ossi adesso. Da destra il perone, da sinistra tibia e
astragalo. Che farebbero tre. Una rotula, investita d'aria, è
indecisa se lanciarsi nel vuoto. Che facciano quello che vogliono.
Con dolore, senza paura, primattore della scena. Si allontana a
fatica dallo specchio e, come per miracolo, scompare. JFK nota che
JFK, fuggendo dallo specchio, ha lasciato in terra pezze e attrezzi
del mestiere. L'inganno non rassicura JFK. Non si insegue e non
ritorna allo specchio. Si nega il piacere di rivedersi sano anziché
a brandelli. Si abbandona sulla ciambella della tavolozza. Stupisce
sia ancora lì. In realtà, uno scheletro a pezzi.
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