martedì 28 febbraio 2017
LISTA DEGLI INVITATI di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/02/28/lista-degli-invitati/
lunedì 27 febbraio 2017
ORGANIZZAZIONI 2 di Gaetano Altopiano
Studiando i movimenti involontari si tenga conto che questi dipendono, se non soprattutto, da alcune ineluttabili necessità. Pianificare il tempo meteorologico. Lasciare le eredità al caso. Togliere le spine dalle zampe del proprio cane. Prendere la rappresentanza di una birra artigianale. Confidarsi col primo parente. Votare sì alle assemblee di qualsiasi natura. A destra, salopette in denim, top in chiffon a righe e pois e foulard, nella pagina accanto ampio scollo con collettino impreziosito da perle e impermeabile doppiopetto. (Parliamo dei movimenti involontari del sistema muscolare di uccelli tipo Serinus canaria).
NON E' MARAVIGLIA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/02/27/non-e-maraviglia-se-la-divina-provedenza-che-del-tutto-langelico-e-lo-umano-accorgimento-soperchia-occultamente-a-noi-molte-volte-procede/
domenica 26 febbraio 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (72) di Francesco Gambaro
JFK
ha un buttacarta nanerottolo in bagno. Argentato, pedalizzato, con
abbasso ritardato a molla. Lo lascia divertire, di notte, guardandolo
dal buco della serratura. Quando c'è completo silenzio e buio e
niente può essere visto, il nanerottolo fuoriesce la sua manina
argentata che felpatamente pigia sul pedalino. L'altra, intanto si
aggrappa al bordo del water e, tirandosi su il nanerottolo, ne
rovescia il contenuto. Ma non arriva a tirare l'acqua. Fida comunque
in un utilizzatore distratto:
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sabato 25 febbraio 2017
IN THE WIND di Francesco Gambaro
La
cosa più strana di questi nostri psicologi del tempo, è che
registrano basse o alte pressioni, lo spiegamento delle nuvole con
molte loro fotografie in primo piano, le piogge probabili e le
schiarite, le giornate solatie ma: mai il vento. La variabile
irragiungibile delle loro previsioni. Non sanno niente del vento
perché il vento è Eolo, un dio che si imbestialisce quando e dove e
contro chi vuole. Un terremoto aereo. Un anarchico sconfessatore di
tutte le metereologie. Fingono di parlarne, ogni tanto, a freccette
che vanno di qua e di là. Che qualche freccetta finisca nel loro
cuore e che tornasse ogni mattina la sorpresa del vento.
venerdì 24 febbraio 2017
ENOLOGIA CON SCHERMO PIATTO di Gaetano Altopiano
Maltempo circoscritto all’intero universo. Piove. Probabili schiarite tra sei/sette miliardi di anni luce, da concordare. Prendere appunti - costellazione del Cavallo, o Pegaso, coordinate carta celeste 23 00 00, + 15° 00’ 00’ del cielo boreale (già descritta da Tolomeo ma non importa). Le conseguenze di un divorzio, stando ai presenti dati, sarebbero disastrose: sopra gli ombrelli o sotto cambierebbe poco, nel suo delirio mistico l’amore anela a verdure fresche, ma quasi esclusivamente si ammala di diarrea del viaggiatore. L’enologo non basa più il giudizio, come faceva un tempo, su cose sacrosante tipo colore, limpidezza, alcolicità, odori, ritorno di fiamma di un vino. Stringe la mano al primo classificato e si congratula: nulla da dichiarare. Come potrebbe, mancando ogni materia prima? Piove sui nostri volti Silvana, o Ermione, importa poco. Piove sui vestimenti leggeri e sulle mani ignude. La bella favola che ieri ci aveva illusi e che oggi continua a illuderci, in tutte le meraviglie del possibile: sulla Milano Serravalle Liegi Bastogne o sopra uno schermo piatto da un numero di pollici infinito.
STORIE DEL SIGNOR JFK (71) di Francesco Gambaro
JFK ricorda di avere
avuto 18 anni. Pensa molte cose che avrebbe potuto pensare già a 84
anni. Si addormenta sulla sua Antares gialla, una macchina per
scrivere bellina, gialla, con coperta di plastica. JFK, a 84 anni,
non ha nostalgia della Olivetti 22 che Luigi gli scagliò sul
pavimento urlando: non devi più scrivere su quella cazzo di macchina
dei padroni. Luigi rideva esaltato, calpestandola e finendola col
tacco dei suoi stivali da cavallerizzo bordò. Bordò la sua faccia,
non gli stivali. Poi si trasferì alla Nunziatella e, a diciottanni, JFK si
comprò un'altra macchina. Da allora convive con una Antares
bellina, gialla, coperta di plastica. Lui non batte più. Lei sì.
giovedì 23 febbraio 2017
MEGLIO SE NON GUIDI PIU' (a Gea) di Francesco Gambaro
Tra
le blande scaffe, se guidi storto, rischi di ritrovarti in
California. Finisci per asfaltare Matteo Renzi. Ti rinchiudono a
Guantanamo. Ti castrano e ti obbligano a cantare Guantanamera con la
voce, non di Zucchero che porta male, ma di Farinelli. Però, subito
su You Tube e sulle prime tre pagine del tuo giornale preferito.
puntata
precedente:
MEGLIO
L'UNICA LA SEMPRE CATTIVA STRADA DEL FABER
Se
guidi giusto. Al mezzo. Puoi anche evitare le blande scaffe. Ma
pagherai pegno per eccesso di attenzionalità. Il mancato deficit ti
trasformerà in un noioso brontolone. Protestatario fuoricorso,
fotografo di strade cattive, querulo epistolante declassato con
disonore. Quel che resta di te nelle ultime infime pagine, quelle
delle lettere al direttore, del tuo giornale preferito.
puntata
pcedente:
MEGLIO
L'OPPIO DEL LEONE DE NIRO
Se
guidi troppo teso, invece, può capitarti che anche una blanda scaffa
ti provochi una erezione. Difficile da controllare. E lo sterzo anche
lui difficile da controllare. Distogli lo sguardo dal parabrezza e
finisci dentro una vetrina di guêpières
che i tuoi occhi lubrici non hanno saputo evitare. Il resto in quarta
pagina del tuo giornale preferito.
puntata
precedente:
MEGLIO
L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA
Se
guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe
ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti
stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un
nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con
svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.
mercoledì 22 febbraio 2017
MEGLIO L'UNICA LA SEMPRE CATTIVA STRADA DEL FABER di Francesco Gambaro
Se
guidi giusto. Al mezzo. Puoi anche evitare le blande scaffe. Ma
pagherai pegno per eccesso di attenzionalità. Il mancato deficit ti
trasformerà in un noioso brontolone. Protestatario fuoricorso,
fotografo di strade cattive, querulo epistolante declassato con
disonore. Quel che resta di te nelle ultime infime pagine, quelle
delle lettere al direttore, del tuo giornale preferito.
puntata
pcedente:
MEGLIO
L'OPPIO DEL LEONE DE NIRO
Se
guidi troppo teso, invece, può capitarti che anche una blanda scaffa
ti provochi una erezione. Difficile da controllare. E lo sterzo anche
lui difficile da controllare. Distogli lo sguardo dal parabrezza e
finisci dentro una vetrina di guêpières
che i tuoi occhi lubrici non hanno saputo evitare. Il resto in quarta
pagina del tuo giornale preferito.
puntata
precedente:
MEGLIO
L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA
Se
guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe
ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti
stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un
nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con
svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.
L’INADEGUATO 3 di Gaetano Altopiano
Ho deciso di chiedere scusa, ma in ordine sparso. Le mie ragioni andranno sul marciapiede destro e i torti su quello sinistro, dove, notoriamente, passano le ragioni di chi non ha torto. Ho anche parecchi quasi ragione: andranno al centro di viali alberati dove transitano i quasi torto degli altri. Ma i miei quasi torto (non meno numerosi) scivoleranno sotto i ponti e passeranno sui lungofiume dei quasi ragione degli altri. I tu che ne pensi, gli ho fatto bene, i non mi sento coinvolto, incontreranno i tu che ne pensi gli ho fatto bene e i non mi sento coinvolto opposti diretti nella medesima (doppia) quadricorsistica direzione. Solo i rimpianti andranno compatti verso l’abisso. Un buco di culo con denti cariati gruppo RH ABCD negativo.
martedì 21 febbraio 2017
MEGLIO L'OPPIO DEL LEONE DE NIRO di Francesco Gambaro
Se
guidi troppo teso, invece, può capitarti che anche una blanda scaffa
ti provochi una erezione. Difficile da controllare. E lo sterzo anche
lui difficile da controllare. Distogli lo sguardo dal parabrezza e
finisci dentro una vetrina di guêpières
che i tuoi occhi lubrici non hanno saputo evitare. Il resto in quarta
pagina del tuo giornale preferito.
Puntata
precedente:
MEGLIO
L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA
Se
guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe
ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti
stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un
nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con
svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.
LI PO di Gaetano Altopiano
Se dico di non conoscervi, signora, avrò le mie buone ragioni. Non vi conosco. Carissima zia, vi prego di accettare le mie scuse: il topo è riemerso all’improvviso da un buco del pavimento che ricordavo di aver murato già l’anno scorso. Ricordo perfettamente di averlo fatto. Non riesco ad avere pace, è incredibile. La pasta qui è scotta, le polpettine rancide, nell’insalata si muovono esserini disgustosi. Signora, vi prego di non contrariarmi: smettetela di importunarmi, io-non-vi-conosco. Dovrei forse tendere l’arco quanto vi fa più comodo? Andai incontro agli ospiti che mi venivano incontro: “noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti, infine, in lontananza, saremo alla via lattea”. Milletrecento anni dopo Li Po.
lunedì 20 febbraio 2017
MEGLIO L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA di Francesco Gambaro
Se
guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe
ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti
stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un
nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con
svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.
SULLE RIVE DEL TONTO (2) di Elio Coniglio
In
ombra, sul terrazzino panoramico di un piccolo bar della periferia
panormita, io e Francesco, fin dalle prime luci del giorno,
affissiamo lo sguardo sull'anziana signora vestita di chiaro, -
ingioiellatissima, spicca fra la sciatta folla che si avvicenda alla
fermata dei tram - che, con calma olimpica, tira fuori dalla borsetta
un piccolo binocolo da teatro rivestito di madreperla e tutte le
volte che uno degli scorreggianti spettri arancioni irrompe nella via
lo punta verso il numero che scorre sopra il parabrezza... Il
solito vento monello fa balbettare le tende di stoffa abbassate su di
noi permettendo ai raggi del sole indugianti sui vetri delle finestre
di fronte di punzecchiare i nostri occhi fino a farli lacrimare.
Un vecchio juke-box impantanato da decenni in un angolo del
locale improvvisamente comincia a vomitarci addosso scasciose
canzonette. E una gatta nera come la più nera delle mie notti taglia
la strada ad un brufoloso ginnasiale che rincorre un tram che certo
non vuol farsi prendere poi scompare silenziosa in fondo alla via.
UN VECCHIO POETA di Gaetano Altopiano
Se ancora esiste poesia in un vecchio lo si scopre misurando la sua capacità di immaginare animali che non esistono: un gatto che non sia agile, un cammello che non sia resistente, un serpente che non si contorca. Secondo i canoni del maestro non bisogna pensare a bestie di fantasia poiché quelle non dimostrerebbero affatto che in lui ci sia ancora poesia, ma solo che è un pazzo. Fin quando non sarà esausta, infatti, la fiamma instillerà in lui il potere di pensare animali impossibili, compreso il tranello di lui stesso: un uomo che non riesca a immaginare animali come un gatto che non sia agile, un cammello che non sia resistente, un serpente che non si contorca.
domenica 19 febbraio 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (70) di Francesco Gambaro
Con
timore e tremore, ogni mattina, JFK carezza il suo corpo. A 84 anni,
mattina dopo mattina, c'è una novità all'inzio sgradita. Una
piccola verruca, il settimo angioma, callo o durone? un ciuffo di
capelli misteriosamente incollato alle dita dei piedi, venuzze
affioranti e pori artesiani, afta e lapsus sulla lingua, una zona di
prurito braccante, foruncoli al pus e foruncoli al sangue, pietre
occidue, la cipolla del piede sinistro che buca la calzetta, supposti
melanomi, i nei oramai un esercito, la palpebra dell'occhio destro
sgranata, inetta ad abbassarsi. JFK, dopo avere passato in rassegna
l'intera superficie eruttiva, senza nemmeno guardarsi allo specchio,
stabilisce con gli ultimi neonati un patto di non belligeranza
(un'amicizia?) principiato immancabilmente dalla domanda: e tu come
ti chiami? Oltretutto un ottimo esercizio di memoria perché, ogni
mattina, si tratta di discernere i giovani, gli anziani, i vecchi.
sabato 18 febbraio 2017
LO SCRUTATORE D’ANIME di Gaetano Altopiano
Del Libro dell’Es - romanzo epistolare di rara bellezza - ricordo che raccontava storie che avevano dell’incredibile. In una, in particolare, Georg Groddeck arrivò a sostenere di avere le prove che la morte di una tale ragazza fosse stata progettata nientemeno che dalla madre di lei quando ancora la bimba era in grembo, in base a una spiegazione alquanto articolata ma, in fin dei conti, convincente, non fosse per il fatto che la ragazza però era morta di cancro. Mi chiesi cosa significasse. Come avrebbe potuto, la donna, ingenerare una simile malattia nella figlia, tra l’altro con tanto eccezionale anticipo, quando sappiamo che nessuno di noi ha di questi poteri? Groddeck, però, annotò una serie di cause che a “valle” della vicenda, da psicanalista e studioso della psicosomatica umana, non potevano che condurlo a quella conclusione che, per quanto folle potesse apparire, mi interessò moltissimo seppure io stesso con la parola cancro mi riferisca a ogni morte che non riesco a giustificare.
ENTITA' (6) di Francesco Gambaro
Sa
che è una serata che non esce nessuno. Che incontrerà nessuno.
Niente luna. Quasi freddo. Giusta nebbia. Partorirò nel piacere,
dice.
E,
appena appena sforzandosi, chiude gli occhi.
venerdì 17 febbraio 2017
ENTITA' (5) di Francesco Gambaro
Vestito
con un giaccone verde, pantaloni fustagno, scarpe estive nere. Una
bambina in braccio. Mi chiede col tu: abbassa il finestrino. Lo
abbasso. Dammi cinquanta centesimi. Rialzo il finestrino. E' vestito
come oggi sono vestito io, penso, pensandomi. Forse sono io. Ma non
ho una bambina in braccio. Tiro dal taschino fustagno cinquanta
centesimi. Riabbasso il finestrino. Lui non c'è più.
giovedì 16 febbraio 2017
ENTITA' (4) di Francesco Gambaro
Oggi,
anche i gatti sembrano distratti. Come me. Non mi sentono, non mi
guardano. Non puntano gli occhi di tigre. Non si scansano, non
balzano, non scartano verso il bordo della strada. Oggi, devo averne
messo sotto due.
Due, perché quando mi addormento, eccoli.
mercoledì 15 febbraio 2017
NON FINITO di Gaetano Altopiano
Dopo gli studi giuridici si dedica con passione alla poesia e alla pittura. Non brillando mai in nessuna delle due, convinto a torto che quella sia la sua strada. Uomo sensibile e determinato, per mezzo secolo rimane nel limbo riuscendo a sfiorare solo di lontano la decenza. Non sempre, infatti, ciò che appassiona coincide con quello per cui si è portati, e lui ne è un esempio. Parla però un ottimo inglese. Consiglia con animo franco gli amici e vince diverse cause civili, anche piuttosto difficili. A settantanni tenta un ultimo, disperato gesto poetico cercando di riscattarsi: spara un colpo di carabina alla moglie mirando alla bocca. La palla, a causa dell’errata inclinazione dell’arma, trapassa il lato sinistro spappolandole completamente la guancia e l’orecchio, ma uscendo miracolosamente attraverso l’osso temporale, lasciando illeso il cervello. Due mesi di ospedale, una dura riabilitazione. La signora resta viva ma perde l’udito e ogni possibilità di contatto con la realtà. Due anni dopo accoltella l’avvocato nel sonno, non prima di aver cosparso di diluenti la casa ed essersi a sua volta cosparsa di tempere e di colori acrilici. E’ il solstizio d’estate. C’è una finestra aperta e il suo sguardo tende a quel buio non finito. Mentre noi scriviamo le nostre cose lei non riesce a sillabarla quella parola: in-fi-ni-to.
ENTITA' (3) di Francesco Gambaro
Due
settantenni. Forse si amano ancora. Lei scende dall'auto furiosa.
Lui, dopo un po', la cerca. Come da fidanzati, diciotto anni lui,
qualcuno in più lei. Incredulo e impaurito. Scomparsa. Ma, come
allora, la trova. Nascosta tra molta gente che aspetta, come allora,
la corriera. La tira via. Le fa male. Finiamola con questa vecchia
sceneggiata. Lei prova a scappare un'ultima volta. Lui le afferra la
lunghissima coda. Per pochi secondi migliaia di capelli grigi si
materializzano nella sua mano.
martedì 14 febbraio 2017
ENTITA' (2) di Francesco Gambaro
C'è
una curva. Autostrada Palermo-Messina. Prima di questa curva mio
padre mi si siede accanto. Mi dice: ricordati di questa curva e
rallenta. Io: abbiamo una maccina nuova papà, più moderna. Da 180
passo a 160, poi a 140 poi ai 100 che è la velocità in cui la
abbordava lui. All'uscita della curva mio padre abbassa il finestrino
e rivola via.
lunedì 13 febbraio 2017
L’UOMO DELLE PREVISIONI di Gaetano Altopiano
L’inespressività del viso è una caratteristica che accomuna diversi attori. Anche tra i più navigati. In certi casi è addirittura una benedizione, come lo fu nel caso di Buster Keaton, altre volte è invece una maledizione di cui l’attore non riesce a liberarsi. Uno di questi è Nicolas Cage: ritengo che la sua faccia non riuscirebbe a plastificarsi nemmeno dopo un intervento di chirurgia estetica, e in questo sono d’accordo con uno dei miei fratelli che è un esperto in materia. E’ altrettanto impassibile di fronte a una donna nuda quanto di fronte a una scena di sangue. Non riesce proprio a adattarsi a ciò che accade sul set, e, per quanto grande magari sia lo sforzo interpretativo, la faccia non vuole saperne e recita in “conto proprio” decretando in modo ostinato l’assoluta mancanza di sintonia con le circostanze. A eccezione del film The Weather Man, di Gore Verbinski, dove l’inespressività di Cage è una trovata scenica tanto perfettamente congegnata (e tanto sapientemente imposta a ogni attore, Michael Caine compreso) da risultare più che calzante.
ENTITA' (1) di Francesco Gambaro
Esistono microcreature di dio. Le dimensioni sono quelle delle
zanzare del diavolo. Invisibili. Come meduse solcano l'aria. I nostri occhi
possono soltanto sognarle in controluce. Confuse nel pulviscolo non si
infrattano. Hanno eliche che, nella foga di non apparire, perdono. Però non
precipitano. Continuano il volo dentro coni di luce perdendosi per sempre.
Hanno natura e sorriso trasparenti. Si distinguono perché vuote dentro. Solo
involucro. Invidiatissime dalle farfalle.
domenica 12 febbraio 2017
STORIE DEL SIGNOR JFK (69) di Francesco Gambaro
Squilla
in televisione un telefono. JFK corre a rispondere. Pronto? Nessuno.
Come d'abitudine, ingaggia lo stesso un dialogo. Non molto bene. Gli
acciacchi della menopausa. Quello sempre sull'attenti. 85 ancora no,
però, 84 sì. Perché, cosa gli è successo? Ma glielo avevi detto
di non farlo? Quello sempre baci bacetti e poi. Che tempo vuoi che
faccia, da qui non si capisce molto. Piuttosto, invece di telefonare,
perché non venite a trovarmi. Ah siete a Salaparuta. Aspetta, spengo
il televisore perché non sento bene. Ma, spento il televisore,
caddero linea e conversazione.
sabato 11 febbraio 2017
TENTO DA 5 MILIONI DI ANNI di Gaetano Altopiano
I miei clienti mi conoscevano bene. Per questo venivano numerosi, e con abbondante anticipo. Pagavano bei soldoni l’unico quadro che usciva dopo una vita intera. Il titolo era sempre lo stesso, Una natura morta, i miei clienti lo sapevano bene, ma anche il risultato era inequivocabilmente lo stesso: un autoritratto. Il mio, s’intende. (Sapevano bene anche questo, per questo venivano numerosi). Avevo10.500 anni e vivevo nei pozzi di bitume di Los Angeles, dove ho battuto la tigre dai denti a sciabola. Cent’anni dopo ero solo polvere raggrumata, e un brandello di pelle nerastra, ma nel ‘32 coltivai con successo grandi estensioni di papaya in Brasile. Le rughe che segnano la mia disfatta, qui, le ho conquistate a Zama, sotto Publio Cornelio Scipione, detto Africano, e quest’osso è il solo a essermi rimasto, una scheggia dell’occipite fracassatomi durante un abbordaggio a Mompracem. A Stalingrado sono stato un ballerino, ma vissi anche alla corte fiorentina da castrato. Osservate. Facendo sempre la stessa cosa, dicono sia impossibile ottenere un risultato diverso, non crederete a niente di più falso: una minima variazione di gravità basta già a rendere l’uomo infecondo. Io provo da cinque milioni di anni a dipingere una natura morta ma ogni volta il risultato è una mia faccia diversa. Qui peso 130 chili, in quell’altro sono padre di sette figli. I miei clienti vengono numerosi, amano molto i miei quadri. Qui, mentre corro a New York, Central Park, anno ‘77. Preso nell’attimo in cui, chiaramente, la mia faccia presagisce un diluvio.
venerdì 10 febbraio 2017
ALTRI INCIPIT (Domenico Conoscenti) di Francesco Gambaro
La
prima volta di solito è a scuola, mentre qualcuno è interrogato o
la professoressa blatera senza fine. Apri il diario all'ultima pagina
e dai forma al malessere che ti trascini da quando hai cominciato a
capire o trasformi in parole l'impazienza per il viaggio della
settimana prossima oppure annoti che il suo volto, sempre chiuso o
distratto, stamattina ha mostrato di accorgersi di te. E scrivi
perché a qualcuno lo devi dire, anzi, scrivi perché lo devi dire e
basta.
Cominci
così, senza rendertene conto, come si prende il vizio di fumare, di
masturbarsi, di rimuginare le cose per cui non c'è spiegazione o
soluzione. Per questo vizio però, dopo, non senti un fondo di
rimorso, non hai bisogno di ripeterti che tanto puoi smettere quando
vuoi. Dopo giorni, settimane, distrattamente apri l'agenda, salti
frasi tra virgolette, cazzate che ti hanno fatto ridere senza
ritegno, sfogli pagine bianche, strofe di una canzone, schizzi,
espressioni in codice che un altro solo potrebbe decifrare, ancora
bianco, parole con una grafia che non è la tua, scarabocchi. Alla
fine impugni la penna e scrivi, a scatti, con pause brevi, in
silenzio; anche la musica che ami in quel momento ti disturberebbe,
con i neuroni impegnati a stare dietro le fibrillazioni che si
inseguono nella scatola cranica.
Domenico
Conoscenti, Quando mi apparve amore, Mesogea, 2016
giovedì 9 febbraio 2017
IL GIOCATORE di Gaetano Altopiano
Non c’era alcuna causa plausibile che spiegasse l’esistenza di un animale come la blatta, non di natura biologica almeno. Si trattava di una di quelle specie abbandonate a se stesse. Sopravviveva immutata dal Carbonifero, 350 milioni di anni al solo scopo di ovificare e perpetuarsi suggendo zucchero dalle dispense mal ripulite. E’ totalmente inutile, pensai, convalida l’imperfezione della natura. Sentirla scricchiolare sotto la suola non comporterà dunque una grande perdita. Ma quella notte ebbi sogni disturbati. Mi agitai, mi svegliai più di una volta e ripiombai altrettanto spesso in un incubo. L’essere si ripresentava assumendo la ferocia del puma. Insediatosi sul mio sincipite, lo scarafaggio rodeva la carne succhiandomi il sangue. Non saprei dire con esattezza che dimensioni avesse, né che lunghezza avessero guadagnato le sue antenne. Mi dibattevo. Cercavo mia moglie. E all’alba, infine, mi risvegliai completamente svestito. Seppi quel giorno stesso, grazie a un amico, che lo scrittore Tommaso Landolfi aveva dedicato a questa bestiola immonda un intero racconto, Il mar delle blatte. Ma cosa ancora più stupefacente fu venire a sapere che con Landolfi, morto ormai da diversi anni, avevo condiviso soprattutto la passione del gioco. Ordinai un tè, rovistai nelle tasche e estrassi il telefono. Dissi a Carmen che l’avrei raggiunta a casa dei suoi per l’ora di cena. La bestiolina fuggevolmente si spostò dal taschino al risvolto del rever della mia giacca a quadri. La sentii sfrigolare e pregai mi lasciasse in pace. Accesi una sigaretta. Mi concentrai sul gioco.
TANTO PER di Francesco Gambaro
TANTO
PER di Francesco Gambaro
Questi
balconcini di Palermo, città di porto e di sole, riempiti di vasi, pomelie
felci selvebeniamine cani e, nello stretto necessario, di poltroncina sempreverde
sulla quale nessuno siede mai (dovremmo pulirla uno di questi giorni, hai
visto, ci hanno sputato pure i piccioni). Tanto per dipingere una confezione di
vita.
mercoledì 8 febbraio 2017
LIMITI di Gaetano Altopiano
(commento a una poesia di J. L. Borges)
Nel grigio passaggio della sua esistenza, per cent’anni quell’uomo sopportò l’affronto di un nome. Trovò distrazione nella coltivazione di un orto, studiò l’aritmetica, prese moglie. Ma non reputò niente di più doloroso e volgare della condanna di essere individuato tra tutti. Se ne chiese continuamente la ragione e studiò il caso: è risaputo, però, che il terrore dell’oblio spinge alla gravità la miseria umana. Un nome ti accompagnerà per sempre, per quanto tu possa aspirare, a diritto, alla dimenticanza. Pensò alla libertà dei giaguari, alla naturale inesattezza degli scimpanzé e alle piante che crescevano spontaneamente, e si disperò. Credette di individuare l’errore nella natura timorosa dei suoi antenati. Sperò nell’eternità e chiese di essere sepolto senza nome: “Credo nell’alba di udire un operoso tramestio di folle che si allontanano; tutti quelli che mi hanno amato e dimenticato; già spazio e tempo e Borges mi abbandonano.”
STORIE DEL SIGNOR JFK (68) di Francesco Gambaro
Ogni giorno JFK vuole fare una sorpresa a qualcuno. Ma, non essendoci qualcuno, JFK, ogni giorno, fa una sorpresa a se stesso. Fa pipì all’indietro. Svuota una bottiglia vuota. Con gli occhi colora di rosa antico una fotografia di Henry Cartier Bresson. Soffia controvento gli spifferi della casa. Suona coi piedi la sua vecchia macchina da scrivere alla maniera di Jerry and Jerry Lee Lewis. Urla, io ti odio a un fiore di sterlizia appena sbocciato. Caccia dentro col dito il nuovo che vorrebbe uscire. Si affaccia dal suo seminterrato e ringrazia.
martedì 7 febbraio 2017
SE NON E' GUTTUSO CHI E' di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/02/06/se-non-e-guttuso-chi-e/
lunedì 6 febbraio 2017
INCIPIT VS INCIPIT (Raymond Queneau & Goffredo Parise) di Francesco Gambaro
Il
venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del
giorno, il Duca d'Auge salì in cima al torrione del suo castello per
considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco
chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e
là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco
distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella
fresca corrente. Si disegnavano all'orizzonte le sagome sfatte di
qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto
Vandalo. I Normanni bevevano calvadòs. (I fiori blu, 1965)
Una
domenica d'inverno, al crepuscolo, un uomo che si sentiva straniero
senza però esserlo arrivò con un rapido, dal nord, alla stazione di
Roma. Già dal treno, col primo apparire della città e delle sue
enormi case come innescate sui colli rognosi di rifiuti e di untume e
poi quelle pietre dell'Arco di Porta Maggiore da cui sorgevano ciuffi
d'erba e alberelli, vide il cielo color violetta e tirato come una
seta dall'aria quieta e fredda della tramontana. Sentì, come sempre
quando arrivava, la mortale presenza dei secoli e della storia. Uscì
dalla stazione per prendere un tassì e, a mano a mano che che il
crepuscolo si trasformava lenissimamente in sera, si trovò sul
piazzale. La luce del cielo si fondeva con quella del grande faro
centrale ed era qua e là spezzata di riverberi di neon rosa e
azzurro. Sotto questa luce nelle aiuole della stazione stavano
accovacciati sull'erba bruciata dai turni di umanità sempre distesa,
gruppi di donne africane vestite di bianco che chiaccheravano la loro
lingua con movimenti continui delle mani scure e magre con unghie
laccate di uno smalto color metallo. (Sillabari, 1997)
domenica 5 febbraio 2017
IL MOSTRO CHE E' IN ME di Gaetano Altopiano
Mio fratello (l’altro non c’era ancora) ricorda perfettamente il giorno in cui ci trasferimmo dalla città alla nostra tenuta di campagna: era estate, mia madre era incinta, avevano una coupé grigio scuro. Avevi 11 anni, no, aspetta, 11e mezzo. Facemmo più di un viaggio, con una ditta di traslochi che aveva un camion centinato e un furgoncino bianco, due per l’esattezza. Un mucchio di coperte, un tale che fumava in continuazione, il montacarichi a castelletto, finimmo col sistemarci solo nel tardo pomeriggio. Giugno ‘74. Come fai a non pensarci? Per conto mio, di quei giorni, non ricordo che un particolare agghiacciante: la sagoma di Peter Lorre in M, il mostro di Dusseldorf, il film che noi tutti vedemmo la sera del trasferimento. Il resto è come non fosse accaduto. Ma visto che è accaduto riconosco che deve aver avuto molta poca importanza rispetto al terrore che la faccia di un attore può esercitare nella fantasia di un ragazzo. Quell’uomo popolò i miei incubi per diverse settimane, tanto da non consentirmi di uscire più solo la sera nemmeno per le piccole commissioni. Ricordo che mia madre notò questo cambiamento e mi guardò più spesso con aria preoccupata, senza però chiedermi mai nulla. Probabilmente condivideva le mie ansie: anche in lei il mostro aveva preso dimora.
EPPUR MI GUARDA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/02/05/eppur-mi-guarda/
sabato 4 febbraio 2017
ALTERNATIVE di Gaetano Altopiano
Non sempre le sue azioni coincidono coi suoi pensieri. O, più precisamente, con le sue intenzioni. Tanto più nei momenti di tensione. E non perché, come qualunque altro animale, lui risponda con uguale probabilità con azioni volontarie e involontarie alle insidie o perché, come alcuni altri animali, di fronte al dubbio può produrre endorfine e cortisone e sintetizzare glucosio e colesterolo in eccesso. Ma perché, come un ristrettissimo numero di animali, ha anche la facoltà di concepire alternative. Ad esempio la possibilità di organizzare i suoi pensieri in intenzioni che producano effetti preclusi a ogni statistica. Ossia, che sragioni a suo esclusivo vantaggio. Io voglio essere l’ultimo dei tuoi pensieri le ha detto. Lei ha detto: va bene, farò prima le mie cose. Lui l’ha piantata nel bel mezzo, inaspettatamente. (L’ultimo dei pensieri, comunque, non è l’ultimo dei desideri).
IL PUNTO ORIENTATIVO di Francesco Gambaro
Mio
padre, era un ragioniere, non guardava mai la tastiera. La prima
volta che lo vidi in azione, nel suo tetro ufficio che però aveva
finestra sul Viale della Libertà, lo sentii battere tutto il
pomeriggio e con le mie gambette penzoloni seguii quel suo ritmo
strampalato: un allegro veloce, una sincope, un lento andante, un
adagio rumoroso, un fox trot sforbiciante, l'edera rampicante
curiosava dai vetri. La calcolatrice ticchettava a destra, gli occhi
silenziosi ticchettavano a sinistra sui numeri. Mi spiegò che non
era difficile, mi fece vedere il tasto centrale della calcolatrice,
aveva un minuscolo punto bitorzoluto che bastava alle sue mani per
orientarle. Mi piace ricordarlo perché è così che scrivo, come mio
padre conteggiava. Chiudo gli occhi, sfioro la tastiera, non trovo
mai un punto orientativo e, puntualmente, i conti non tornano.
venerdì 3 febbraio 2017
UNA TAZZINA DI CAFFE’ 2 di Gaetano Altopiano
Mi è stata contestata la tesi sostenuta in “Una tazzina di caffè”. Impossibile non riconoscersi, anche se il nostro volto cambiasse non milioni, ma miliardi di volte. E questo in ogni luogo e in ogni tempo: noi non ci riconosciamo per le sembianze che uno specchio rimanda del nostro viso, o perché quelli che ci sono vicini ce lo confermano continuamente, ma per la coscienza che abbiamo di noi stessi. Difatti ci riconosciamo anche al buio. E in assenza di specchi. E non abbiamo alcun bisogno di palpare ripetutamente le linee della nostra faccia in un’esistenza angosciante. Ma Charles Bennet, com’era solito, percorreva la strada che lo portava in ufficio a piedi. Da Stanley road a Queen’s road, anche se diluviava. Migliaia di volte, ancora, aveva percorso quello stesso tragitto unicamente in un senso e in un altro al ritorno. E non vendeva elettrodomestici ma era un funzionario della Banca d’Inghilterra. E non si era neanche mai mosso da Londra, questo da quarantott’anni. Il fastidio che sostenne di sentire ogni qualvolta sorbì il caffè di Mrs. Randall non era che una ferita del labbro causata da una maldestra rasatura. Non c’era alcuna tazzina. In quanto all’imbarazzo, bè, Charles Bennet era un solitario. Mai sarebbe entrato in case sconosciute. Molto spesso si metteva a pensare: questo è un sogno, una pura diversione della mia volontà, e dato che io ho un illimitato potere voglio causare le belve che desidero. Chi conosca quella via, poi, sa benissimo che non ha alcun numero tre: Stanley road non ha affatto numeri dispari. Le case sono disposte solo sul fianco destro della strada.
IO MI METTO SEDUTA E TU TIRAMI IL COLLO di Francesco Gambaro
Il
marito non sperava di meglio. Inesperto di slogature e di distorsioni
cervicali, avrebbe potuto invocare, in sede giudiziaria, l'umano
errore. Agganciò a tre mani il mento della moglie e, dopo tre giri,
si ritrovò con la sua testa, completamente svitata dal
corpomacchina. Provò a riavvitarla tre volte. Per ben tre volte sua
moglie, prima disperata poi ingiustamente imbufalita, rifiutò di
essere riavvitata.
giovedì 2 febbraio 2017
DEL TRAMONTO DELL'ORGANICO E DEL RIFIUTO UMIDO di Francesco Gambaro
Ieri
paura. Usciti dall'evaquatore: cinque usb, un triller-wifi, sette
spinotti hardcoop, centouno piccoli visori a orologio in formato
sguinch (piattola vagante), quattro Mauser e-bay, due attenuatori di
fase digitale HMGG 2019, 37 MCU a 37 bit e un backflit del connettore
FPC con passo da 0,20 millimetri. Ieri paura, solo un'ombra di cacca.
mercoledì 1 febbraio 2017
UNA TAZZINA DI CAFFE’ di Gaetano Altopiano
Potrebbe essere che in passato io abbia suonato al numero tre di Stanley road, là dove la strada s’incurva per Queen’s più o meno, e che una vecchietta a me sconosciuta abbia voluto a tutti i costi offrirmi del caffè, ma che no –no, non le occorreva proprio niente in quel momento, meno che mai un’aspirapolvere. Potrebbe essere che io ne abbia bevuto da un servizio di buona fattura, ma da una tazza che aveva un’evidente incrinatura sul bordo tanto da consentirmi di rilevarne con perfezione il graffio ogni qualvolta abbia succhiato una sorsata di liquido. Potrebbe essere che, sebbene io non abbia mai messo piede in quella città né abbia mai conosciuto quella signora né, tantomeno, venduto mai elettrodomestici, il mio disagio abbia reso incresciosa quella seduta fino a renderla plausibile in ogni luogo e in ogni tempo. E quando dico in ogni tempo, intendo proprio questo: anche in futuro. Prevedendo, in quel caso, la tremenda possibilità che io ancora una volta non mi riconosca, considerato che potrei avere un volto un milione di volte dissimile da quello di adesso.
STORIE DEL SIGNOR JFK 67 di Francesco Gambaro
Il
ritiro di JFK è facilmente riconoscibile per via dei due rotoli di
carta igienica posati sul panchetto. Per tema che, una di quelle
volte, possa trovarsi sprovveduto e sprovvisto, JFK sul finire di uno
ne approvvigiona un altro. Certo JFK conosce bene la storia, sa
perfettamente che gli antichi greci non soltanto evacuavano, ovunque
e immantinente, appena il bisogno chiamava ma, addirittura non si
scartavetravano. Il che è una conseguenza della prima abitudine in
quanto la natura dice, sotto la specie della buona salute, che se al
corpo ingegni di non forzarsi d'attesa, rimarrai dignitosamente
animale. Ma JFK si sente intutto e pertutto un anthropos del
ventunesimo secolo e anzi, questi riferimenti remoti, vieppiù
aumentano in lui il terrore di ritrovarsi, una di quelle volte,
senza: assantumato e con gli occhi sgranati sul panchetto. Occorre
aggiungere che, da qualche tempo, per cagione di una maturata
lentezza dell'agorà sfinterica, si è passati a tre elementi
identificativi del sopraddetto abitacolo giornaliero.
A CULO NUDO SU UN CATINO DI ACQUA FREDDA di Gaetano Altopiano
Il filosofo racconta che nella Russia del ‘500 i soldati misuravano la loro resistenza accucciandosi a culo nudo su un catino d’acqua fredda dentro al quale rimanevano immobili fino a ghiacciare. Solo allora potevano rialzarsi. Quando il catino, nell’atto che il corpo si risollevasse, restava loro attaccato per avvenuto congelamento delle parti. Il filosofo lo riferisce a scopo pedagogico: pensa che la prova volesse dimostrare che un buon soldato, ma più in generale l’essere umano, poteva essere in grado di abituarsi a tutto, se solo ne avesse avuto il coraggio. E di fatto era vero. Ed è ancora così. Dal brivido provato appena iniziata la lettura sono passato al terzo martini senza nemmeno accorgermene. Mi ero abituato.
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