martedì 28 febbraio 2017

lunedì 27 febbraio 2017

ORGANIZZAZIONI 2 di Gaetano Altopiano







Studiando i movimenti involontari si tenga conto che questi dipendono, se non soprattutto, da alcune ineluttabili necessità. Pianificare il tempo meteorologico. Lasciare le eredità al caso. Togliere le spine dalle zampe del proprio cane. Prendere la rappresentanza di una birra artigianale. Confidarsi col primo parente. Votare sì alle assemblee di qualsiasi natura. A destra, salopette in denim, top in chiffon a righe e pois e foulard, nella pagina accanto ampio scollo con collettino impreziosito da perle e impermeabile doppiopetto. (Parliamo dei movimenti involontari del sistema muscolare di uccelli tipo Serinus canaria).

NON E' MARAVIGLIA di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/02/27/non-e-maraviglia-se-la-divina-provedenza-che-del-tutto-langelico-e-lo-umano-accorgimento-soperchia-occultamente-a-noi-molte-volte-procede/

domenica 26 febbraio 2017

STORIE DEL SIGNOR JFK (72) di Francesco Gambaro



JFK ha un buttacarta nanerottolo in bagno. Argentato, pedalizzato, con abbasso ritardato a molla. Lo lascia divertire, di notte, guardandolo dal buco della serratura. Quando c'è completo silenzio e buio e niente può essere visto, il nanerottolo fuoriesce la sua manina argentata che felpatamente pigia sul pedalino. L'altra, intanto si aggrappa al bordo del water e, tirandosi su il nanerottolo, ne rovescia il contenuto. Ma non arriva a tirare l'acqua. Fida comunque in un utilizzatore distratto:



<iframe width="560" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/OkQlrIQhUMQ" frameborder="0" allowfullscreen></iframe>

sabato 25 febbraio 2017

IN THE WIND di Francesco Gambaro




La cosa più strana di questi nostri psicologi del tempo, è che registrano basse o alte pressioni, lo spiegamento delle nuvole con molte loro fotografie in primo piano, le piogge probabili e le schiarite, le giornate solatie ma: mai il vento. La variabile irragiungibile delle loro previsioni. Non sanno niente del vento perché il vento è Eolo, un dio che si imbestialisce quando e dove e contro chi vuole. Un terremoto aereo. Un anarchico sconfessatore di tutte le metereologie. Fingono di parlarne, ogni tanto, a freccette che vanno di qua e di là. Che qualche freccetta finisca nel loro cuore e che tornasse ogni mattina la sorpresa del vento.

venerdì 24 febbraio 2017

ENOLOGIA CON SCHERMO PIATTO di Gaetano Altopiano







Maltempo circoscritto all’intero universo. Piove. Probabili schiarite tra sei/sette miliardi di anni luce, da concordare. Prendere appunti - costellazione del Cavallo, o Pegaso, coordinate carta celeste 23 00 00, + 15° 00’ 00’ del cielo boreale (già descritta da Tolomeo ma non importa). Le conseguenze di un divorzio, stando ai presenti dati, sarebbero disastrose: sopra gli ombrelli o sotto cambierebbe poco, nel suo delirio mistico l’amore anela a verdure fresche, ma quasi esclusivamente si ammala di diarrea del viaggiatore. L’enologo non basa più il giudizio, come faceva un tempo, su cose sacrosante tipo colore, limpidezza, alcolicità, odori, ritorno di fiamma di un vino. Stringe la mano al primo classificato e si congratula: nulla da dichiarare. Come potrebbe, mancando ogni materia prima? Piove sui nostri volti Silvana, o Ermione, importa poco. Piove sui vestimenti leggeri e sulle mani ignude. La bella favola che ieri ci aveva illusi e che oggi continua a illuderci, in tutte le meraviglie del possibile: sulla Milano Serravalle Liegi Bastogne o sopra uno schermo piatto da un numero di pollici infinito.     

STORIE DEL SIGNOR JFK (71) di Francesco Gambaro




JFK ricorda di avere avuto 18 anni. Pensa molte cose che avrebbe potuto pensare già a 84 anni. Si addormenta sulla sua Antares gialla, una macchina per scrivere bellina, gialla, con coperta di plastica. JFK, a 84 anni, non ha nostalgia della Olivetti 22 che Luigi gli scagliò sul pavimento urlando: non devi più scrivere su quella cazzo di macchina dei padroni. Luigi rideva esaltato, calpestandola e finendola col tacco dei suoi stivali da cavallerizzo bordò. Bordò la sua faccia, non gli stivali. Poi si trasferì alla Nunziatella e, a diciottanni, JFK si comprò un'altra macchina. Da allora convive con una Antares bellina, gialla, coperta di plastica. Lui non batte più. Lei sì.

giovedì 23 febbraio 2017

MEGLIO SE NON GUIDI PIU' (a Gea) di Francesco Gambaro



Tra le blande scaffe, se guidi storto, rischi di ritrovarti in California. Finisci per asfaltare Matteo Renzi. Ti rinchiudono a Guantanamo. Ti castrano e ti obbligano a cantare Guantanamera con la voce, non di Zucchero che porta male, ma di Farinelli. Però, subito su You Tube e sulle prime tre pagine del tuo giornale preferito.

puntata precedente:
MEGLIO L'UNICA LA SEMPRE CATTIVA STRADA DEL FABER

Se guidi giusto. Al mezzo. Puoi anche evitare le blande scaffe. Ma pagherai pegno per eccesso di attenzionalità. Il mancato deficit ti trasformerà in un noioso brontolone. Protestatario fuoricorso, fotografo di strade cattive, querulo epistolante declassato con disonore. Quel che resta di te nelle ultime infime pagine, quelle delle lettere al direttore, del tuo giornale preferito.

puntata pcedente:
MEGLIO L'OPPIO DEL LEONE DE NIRO

Se guidi troppo teso, invece, può capitarti che anche una blanda scaffa ti provochi una erezione. Difficile da controllare. E lo sterzo anche lui difficile da controllare. Distogli lo sguardo dal parabrezza e finisci dentro una vetrina di guêpières che i tuoi occhi lubrici non hanno saputo evitare. Il resto in quarta pagina del tuo giornale preferito.

puntata precedente:
MEGLIO L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA


Se guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.

mercoledì 22 febbraio 2017

MEGLIO L'UNICA LA SEMPRE CATTIVA STRADA DEL FABER di Francesco Gambaro



Se guidi giusto. Al mezzo. Puoi anche evitare le blande scaffe. Ma pagherai pegno per eccesso di attenzionalità. Il mancato deficit ti trasformerà in un noioso brontolone. Protestatario fuoricorso, fotografo di strade cattive, querulo epistolante declassato con disonore. Quel che resta di te nelle ultime infime pagine, quelle delle lettere al direttore, del tuo giornale preferito.

puntata pcedente:
MEGLIO L'OPPIO DEL LEONE DE NIRO

Se guidi troppo teso, invece, può capitarti che anche una blanda scaffa ti provochi una erezione. Difficile da controllare. E lo sterzo anche lui difficile da controllare. Distogli lo sguardo dal parabrezza e finisci dentro una vetrina di guêpières che i tuoi occhi lubrici non hanno saputo evitare. Il resto in quarta pagina del tuo giornale preferito.

puntata precedente:
MEGLIO L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA


Se guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.

L’INADEGUATO 3 di Gaetano Altopiano




Ho deciso di chiedere scusa, ma in ordine sparso. Le mie ragioni andranno sul marciapiede destro e i torti su quello sinistro, dove, notoriamente, passano le ragioni di chi non ha torto. Ho anche parecchi quasi ragione: andranno al centro di viali alberati dove transitano i quasi torto degli altri. Ma i miei quasi torto (non meno numerosi) scivoleranno sotto i ponti e passeranno sui lungofiume dei quasi ragione degli altri. I tu che ne pensi, gli ho fatto bene, i non mi sento coinvolto, incontreranno i tu che ne pensi gli ho fatto bene e i non mi sento coinvolto opposti diretti nella medesima (doppia) quadricorsistica direzione. Solo i rimpianti andranno compatti verso l’abisso. Un buco di culo con denti cariati gruppo RH ABCD negativo.


martedì 21 febbraio 2017

MEGLIO L'OPPIO DEL LEONE DE NIRO di Francesco Gambaro


Se guidi troppo teso, invece, può capitarti che anche una blanda scaffa ti provochi una erezione. Difficile da controllare. E lo sterzo anche lui difficile da controllare. Distogli lo sguardo dal parabrezza e finisci dentro una vetrina di guêpières che i tuoi occhi lubrici non hanno saputo evitare. Il resto in quarta pagina del tuo giornale preferito.

Puntata precedente:
MEGLIO L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA


Se guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.

LI PO di Gaetano Altopiano






Se dico di non conoscervi, signora, avrò le mie buone ragioni. Non vi conosco. Carissima zia, vi prego di accettare le mie scuse: il topo è riemerso all’improvviso da un buco del pavimento che ricordavo di aver murato già l’anno scorso. Ricordo perfettamente di averlo fatto. Non riesco ad avere pace, è incredibile. La pasta qui è scotta, le polpettine rancide, nell’insalata si muovono esserini disgustosi. Signora, vi prego di non contrariarmi: smettetela di importunarmi, io-non-vi-conosco. Dovrei forse tendere l’arco quanto vi fa più comodo? Andai incontro agli ospiti che mi venivano incontro: “noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti, infine, in lontananza, saremo alla via lattea”. Milletrecento anni dopo Li Po.


lunedì 20 febbraio 2017

MEGLIO L'ADRENALINA DELLA RETTORE DIMENTICATA di Francesco Gambaro



Se guidi troppo rilassato può succedere che la più blanda delle scaffe ti provochi lo stocco del collo, una istantanea di ugula tra denti stretti, una scivolata del pomo d'adamo nel basso intestino, un nitido tic palpebrale, uno starnuto, un crescendo di bruciore con svenimento e il resto nella quarta pagina del tuo giornale preferito.

SULLE RIVE DEL TONTO (2) di Elio Coniglio



In ombra, sul terrazzino panoramico di un piccolo bar della periferia panormita,  io e Francesco, fin dalle prime luci del giorno, affissiamo lo sguardo sull'anziana signora vestita di chiaro, - ingioiellatissima, spicca fra la sciatta folla che si avvicenda alla fermata dei tram - che, con calma olimpica, tira fuori dalla borsetta un piccolo binocolo da teatro rivestito di madreperla e tutte le volte che uno degli scorreggianti spettri arancioni irrompe nella via lo punta verso il numero che scorre sopra il parabrezza...  Il solito vento monello fa balbettare le tende di stoffa abbassate su di noi permettendo ai raggi del sole indugianti sui vetri delle finestre di fronte di punzecchiare i nostri occhi fino a farli lacrimare.  Un vecchio juke-box impantanato  da decenni in un angolo del locale improvvisamente comincia a vomitarci addosso scasciose canzonette. E una gatta nera come la più nera delle mie notti taglia la strada ad un brufoloso ginnasiale che rincorre un tram che certo non vuol farsi prendere poi scompare silenziosa in fondo alla via.


UN VECCHIO POETA di Gaetano Altopiano







Se ancora esiste poesia in un vecchio lo si scopre misurando la sua capacità di immaginare animali che non esistono: un gatto che non sia agile, un cammello che non sia resistente, un serpente che non si contorca. Secondo i canoni del maestro non bisogna pensare a bestie di fantasia poiché quelle non dimostrerebbero affatto che in lui ci sia ancora poesia, ma solo che è un pazzo. Fin quando non sarà esausta, infatti, la fiamma instillerà in lui il potere di pensare animali impossibili, compreso il tranello di lui stesso: un uomo che non riesca a immaginare animali come un gatto che non sia agile, un cammello che non sia resistente, un serpente che non si contorca. 

domenica 19 febbraio 2017

STORIE DEL SIGNOR JFK (70) di Francesco Gambaro




Con timore e tremore, ogni mattina, JFK carezza il suo corpo. A 84 anni, mattina dopo mattina, c'è una novità all'inzio sgradita. Una piccola verruca, il settimo angioma, callo o durone? un ciuffo di capelli misteriosamente incollato alle dita dei piedi, venuzze affioranti e pori artesiani, afta e lapsus sulla lingua, una zona di prurito braccante, foruncoli al pus e foruncoli al sangue, pietre occidue, la cipolla del piede sinistro che buca la calzetta, supposti melanomi, i nei oramai un esercito, la palpebra dell'occhio destro sgranata, inetta ad abbassarsi. JFK, dopo avere passato in rassegna l'intera superficie eruttiva, senza nemmeno guardarsi allo specchio, stabilisce con gli ultimi neonati un patto di non belligeranza (un'amicizia?) principiato immancabilmente dalla domanda: e tu come ti chiami? Oltretutto un ottimo esercizio di memoria perché, ogni mattina, si tratta di discernere i giovani, gli anziani, i vecchi.

sabato 18 febbraio 2017

LO SCRUTATORE D’ANIME di Gaetano Altopiano






Del Libro dell’Es - romanzo epistolare di rara bellezza - ricordo che raccontava storie che avevano dell’incredibile. In una, in particolare, Georg Groddeck arrivò a sostenere di avere le prove che la morte di una tale ragazza fosse stata progettata nientemeno che dalla madre di lei quando ancora la bimba era in grembo, in base a una spiegazione alquanto articolata ma, in fin dei conti, convincente, non fosse per il fatto che la ragazza però era morta di cancro. Mi chiesi cosa significasse. Come avrebbe potuto, la donna, ingenerare una simile malattia nella figlia, tra l’altro con tanto eccezionale anticipo, quando sappiamo che nessuno di noi ha di questi poteri? Groddeck, però, annotò una serie di cause che a “valle” della vicenda, da psicanalista e studioso della psicosomatica umana, non potevano che condurlo a quella conclusione che, per quanto folle potesse apparire, mi interessò moltissimo seppure io stesso con la parola cancro mi riferisca a ogni morte che non riesco a giustificare.


ENTITA' (6) di Francesco Gambaro



Sa che è una serata che non esce nessuno. Che incontrerà nessuno. Niente luna. Quasi freddo. Giusta nebbia. Partorirò nel piacere, dice.

E, appena appena sforzandosi, chiude gli occhi. 

venerdì 17 febbraio 2017

ENTITA' (5) di Francesco Gambaro




Vestito con un giaccone verde, pantaloni fustagno, scarpe estive nere. Una bambina in braccio. Mi chiede col tu: abbassa il finestrino. Lo abbasso. Dammi cinquanta centesimi. Rialzo il finestrino. E' vestito come oggi sono vestito io, penso, pensandomi. Forse sono io. Ma non ho una bambina in braccio. Tiro dal taschino fustagno cinquanta centesimi. Riabbasso il finestrino. Lui non c'è più.

giovedì 16 febbraio 2017

ENTITA' (4) di Francesco Gambaro




Oggi, anche i gatti sembrano distratti. Come me. Non mi sentono, non mi guardano. Non puntano gli occhi di tigre. Non si scansano, non balzano, non scartano verso il bordo della strada. Oggi, devo averne messo sotto due. 
Due, perché quando mi addormento, eccoli.

mercoledì 15 febbraio 2017

NON FINITO di Gaetano Altopiano






Dopo gli studi giuridici si dedica con passione alla poesia e alla pittura. Non brillando mai in nessuna delle due, convinto a torto che quella sia la sua strada. Uomo sensibile e determinato, per mezzo secolo rimane nel limbo riuscendo a sfiorare solo di lontano la decenza. Non sempre, infatti, ciò che appassiona coincide con quello per cui si è portati, e lui ne è un esempio. Parla però un ottimo inglese. Consiglia con animo franco gli amici e vince diverse cause civili, anche piuttosto difficili. A settantanni tenta un ultimo, disperato gesto poetico cercando di riscattarsi: spara un colpo di carabina alla moglie mirando alla bocca. La palla, a causa dell’errata inclinazione dell’arma, trapassa il lato sinistro spappolandole completamente la guancia e l’orecchio, ma uscendo miracolosamente attraverso l’osso temporale, lasciando illeso il cervello. Due mesi di ospedale, una dura riabilitazione. La signora resta viva ma perde l’udito e ogni possibilità di contatto con la realtà. Due anni dopo accoltella l’avvocato nel sonno, non prima di aver cosparso di diluenti la casa ed essersi a sua volta cosparsa di tempere e di colori acrilici. E’ il solstizio d’estate. C’è una finestra aperta e il suo sguardo tende a quel buio non finito. Mentre noi scriviamo le nostre cose lei non riesce a sillabarla quella parola: in-fi-ni-to.   

ENTITA' (3) di Francesco Gambaro




Due settantenni. Forse si amano ancora. Lei scende dall'auto furiosa. Lui, dopo un po', la cerca. Come da fidanzati, diciotto anni lui, qualcuno in più lei. Incredulo e impaurito. Scomparsa. Ma, come allora, la trova. Nascosta tra molta gente che aspetta, come allora, la corriera. La tira via. Le fa male. Finiamola con questa vecchia sceneggiata. Lei prova a scappare un'ultima volta. Lui le afferra la lunghissima coda. Per pochi secondi migliaia di capelli grigi si materializzano nella sua mano.

martedì 14 febbraio 2017

ENTITA' (2) di Francesco Gambaro




C'è una curva. Autostrada Palermo-Messina. Prima di questa curva mio padre mi si siede accanto. Mi dice: ricordati di questa curva e rallenta. Io: abbiamo una maccina nuova papà, più moderna. Da 180 passo a 160, poi a 140 poi ai 100 che è la velocità in cui la abbordava lui. All'uscita della curva mio padre abbassa il finestrino e rivola via.

lunedì 13 febbraio 2017

L’UOMO DELLE PREVISIONI di Gaetano Altopiano




L’inespressività del viso è una caratteristica che accomuna diversi attori. Anche tra i più navigati. In certi casi è addirittura una benedizione, come lo fu nel caso di Buster Keaton, altre volte è invece una maledizione di cui l’attore non riesce a liberarsi. Uno di questi è Nicolas Cage: ritengo che la sua faccia non riuscirebbe a plastificarsi nemmeno dopo un intervento di chirurgia estetica, e in questo sono d’accordo con uno dei miei fratelli che è un esperto in materia. E’ altrettanto impassibile di fronte a una donna nuda quanto di fronte a una scena di sangue. Non riesce proprio a adattarsi a ciò che accade sul set, e, per quanto grande magari sia lo sforzo interpretativo, la faccia non vuole saperne e recita in “conto proprio” decretando in modo ostinato l’assoluta mancanza di sintonia con le circostanze. A eccezione del film The Weather Man, di Gore Verbinski, dove l’inespressività di Cage è una trovata scenica tanto perfettamente congegnata (e tanto sapientemente imposta a ogni attore, Michael Caine compreso) da risultare più che calzante.  

ENTITA' (1) di Francesco Gambaro




Esistono microcreature di dio. Le dimensioni sono quelle delle zanzare del diavolo. Invisibili. Come meduse solcano l'aria. I nostri occhi possono soltanto sognarle in controluce. Confuse nel pulviscolo non si infrattano. Hanno eliche che, nella foga di non apparire, perdono. Però non precipitano. Continuano il volo dentro coni di luce perdendosi per sempre. Hanno natura e sorriso trasparenti. Si distinguono perché vuote dentro. Solo involucro. Invidiatissime dalle farfalle.

domenica 12 febbraio 2017

STORIE DEL SIGNOR JFK (69) di Francesco Gambaro




Squilla in televisione un telefono. JFK corre a rispondere. Pronto? Nessuno. Come d'abitudine, ingaggia lo stesso un dialogo. Non molto bene. Gli acciacchi della menopausa. Quello sempre sull'attenti. 85 ancora no, però, 84 sì. Perché, cosa gli è successo? Ma glielo avevi detto di non farlo? Quello sempre baci bacetti e poi. Che tempo vuoi che faccia, da qui non si capisce molto. Piuttosto, invece di telefonare, perché non venite a trovarmi. Ah siete a Salaparuta. Aspetta, spengo il televisore perché non sento bene. Ma, spento il televisore, caddero linea e conversazione.

sabato 11 febbraio 2017

TENTO DA 5 MILIONI DI ANNI di Gaetano Altopiano






I miei clienti mi conoscevano bene. Per questo venivano numerosi, e con abbondante anticipo. Pagavano bei soldoni l’unico quadro che usciva dopo una vita intera. Il titolo era sempre lo stesso, Una natura morta, i miei clienti lo sapevano bene, ma anche il risultato era inequivocabilmente lo stesso: un autoritratto. Il mio, s’intende. (Sapevano bene anche questo, per questo venivano numerosi). Avevo10.500 anni e vivevo nei pozzi di bitume di Los Angeles, dove ho battuto la tigre dai denti a sciabola. Cent’anni dopo ero solo polvere raggrumata, e un brandello di pelle nerastra, ma nel ‘32 coltivai con successo grandi estensioni di papaya in Brasile. Le rughe che segnano la mia disfatta, qui, le ho conquistate a Zama, sotto Publio Cornelio Scipione, detto Africano, e quest’osso è il solo a essermi rimasto, una scheggia dell’occipite fracassatomi durante un abbordaggio a Mompracem. A Stalingrado sono stato un ballerino, ma vissi anche alla corte fiorentina da castrato. Osservate. Facendo sempre la stessa cosa, dicono sia impossibile ottenere un risultato diverso, non crederete a niente di più falso: una minima variazione di gravità basta già a rendere l’uomo infecondo. Io provo da cinque milioni di anni a dipingere una natura morta ma ogni volta il risultato è una mia faccia diversa. Qui peso 130 chili, in quell’altro sono padre di sette figli. I miei clienti vengono numerosi, amano molto i miei quadri. Qui, mentre corro a New York, Central Park, anno ‘77. Preso nell’attimo in cui, chiaramente, la mia faccia presagisce un diluvio.  

venerdì 10 febbraio 2017

ALTRI INCIPIT (Domenico Conoscenti) di Francesco Gambaro


La prima volta di solito è a scuola, mentre qualcuno è interrogato o la professoressa blatera senza fine. Apri il diario all'ultima pagina e dai forma al malessere che ti trascini da quando hai cominciato a capire o trasformi in parole l'impazienza per il viaggio della settimana prossima oppure annoti che il suo volto, sempre chiuso o distratto, stamattina ha mostrato di accorgersi di te. E scrivi perché a qualcuno lo devi dire, anzi, scrivi perché lo devi dire e basta.
Cominci così, senza rendertene conto, come si prende il vizio di fumare, di masturbarsi, di rimuginare le cose per cui non c'è spiegazione o soluzione. Per questo vizio però, dopo, non senti un fondo di rimorso, non hai bisogno di ripeterti che tanto puoi smettere quando vuoi. Dopo giorni, settimane, distrattamente apri l'agenda, salti frasi tra virgolette, cazzate che ti hanno fatto ridere senza ritegno, sfogli pagine bianche, strofe di una canzone, schizzi, espressioni in codice che un altro solo potrebbe decifrare, ancora bianco, parole con una grafia che non è la tua, scarabocchi. Alla fine impugni la penna e scrivi, a scatti, con pause brevi, in silenzio; anche la musica che ami in quel momento ti disturberebbe, con i neuroni impegnati a stare dietro le fibrillazioni che si inseguono nella scatola cranica.


Domenico Conoscenti, Quando mi apparve amore, Mesogea, 2016

giovedì 9 febbraio 2017

IL GIOCATORE di Gaetano Altopiano







Non c’era alcuna causa plausibile che spiegasse l’esistenza di un animale come la blatta, non di natura biologica almeno. Si trattava di una di quelle specie abbandonate a se stesse. Sopravviveva immutata dal Carbonifero, 350 milioni di anni al solo scopo di ovificare e perpetuarsi suggendo zucchero dalle dispense mal ripulite. E’ totalmente inutile, pensai, convalida l’imperfezione della natura. Sentirla scricchiolare sotto la suola non comporterà dunque una grande perdita. Ma quella notte ebbi sogni disturbati. Mi agitai, mi svegliai più di una volta e ripiombai altrettanto spesso in un incubo. L’essere si ripresentava assumendo la ferocia del puma. Insediatosi sul mio sincipite, lo scarafaggio rodeva la carne succhiandomi il sangue. Non saprei dire con esattezza che dimensioni avesse, né che lunghezza avessero guadagnato le sue antenne. Mi dibattevo. Cercavo mia moglie. E all’alba, infine, mi risvegliai completamente svestito. Seppi quel giorno stesso, grazie a un amico, che lo scrittore Tommaso Landolfi aveva dedicato a questa bestiola immonda un intero racconto, Il mar delle blatte. Ma cosa ancora più stupefacente fu venire a sapere che con Landolfi, morto ormai da diversi anni, avevo condiviso soprattutto la passione del gioco. Ordinai un tè, rovistai nelle tasche e estrassi il telefono. Dissi a Carmen che l’avrei raggiunta a casa dei suoi per l’ora di cena. La bestiolina fuggevolmente si spostò dal taschino al risvolto del rever della mia giacca a quadri. La sentii sfrigolare e pregai mi lasciasse in pace. Accesi una sigaretta. Mi concentrai sul gioco. 

TANTO PER di Francesco Gambaro

TANTO PER di Francesco Gambaro


Questi balconcini di Palermo, città di porto e di sole, riempiti di vasi, pomelie felci selvebeniamine cani e, nello stretto necessario, di poltroncina sempreverde sulla quale nessuno siede mai (dovremmo pulirla uno di questi giorni, hai visto, ci hanno sputato pure i piccioni). Tanto per dipingere una confezione di vita. 

mercoledì 8 febbraio 2017

LIMITI di Gaetano Altopiano


(commento a una poesia di J. L. Borges)

Nel grigio passaggio della sua esistenza, per cent’anni quell’uomo sopportò l’affronto di un nome. Trovò distrazione nella coltivazione di un orto, studiò l’aritmetica, prese moglie. Ma non reputò niente di più doloroso e volgare della condanna di essere individuato tra tutti. Se ne chiese continuamente la ragione e studiò il caso: è risaputo, però, che il terrore dell’oblio spinge alla gravità la miseria umana. Un nome ti accompagnerà per sempre, per quanto tu possa aspirare, a diritto, alla dimenticanza. Pensò alla libertà dei giaguari, alla naturale inesattezza degli scimpanzé e alle piante che crescevano spontaneamente, e si disperò. Credette di individuare l’errore nella natura timorosa dei suoi antenati. Sperò nell’eternità e chiese di essere sepolto senza nome: “Credo nell’alba di udire un operoso tramestio di folle che si allontanano; tutti quelli che mi hanno amato e dimenticato; già spazio e tempo e Borges mi abbandonano.”  

STORIE DEL SIGNOR JFK (68) di Francesco Gambaro




Ogni giorno JFK vuole fare una sorpresa a qualcuno. Ma, non essendoci qualcuno, JFK, ogni giorno, fa una sorpresa a se stesso. Fa pipì all’indietro. Svuota una bottiglia vuota. Con gli occhi colora di rosa antico una fotografia di Henry Cartier Bresson. Soffia controvento gli spifferi della casa. Suona coi piedi la sua vecchia macchina da scrivere alla maniera di Jerry and Jerry Lee Lewis. Urla, io ti odio a un fiore di sterlizia appena sbocciato. Caccia dentro col dito il nuovo che vorrebbe uscire. Si affaccia dal suo seminterrato e ringrazia.

martedì 7 febbraio 2017

lunedì 6 febbraio 2017

INCIPIT VS INCIPIT (Raymond Queneau & Goffredo Parise) di Francesco Gambaro



Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d'Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all'orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevano calvadòs. (I fiori blu, 1965)


Una domenica d'inverno, al crepuscolo, un uomo che si sentiva straniero senza però esserlo arrivò con un rapido, dal nord, alla stazione di Roma. Già dal treno, col primo apparire della città e delle sue enormi case come innescate sui colli rognosi di rifiuti e di untume e poi quelle pietre dell'Arco di Porta Maggiore da cui sorgevano ciuffi d'erba e alberelli, vide il cielo color violetta e tirato come una seta dall'aria quieta e fredda della tramontana. Sentì, come sempre quando arrivava, la mortale presenza dei secoli e della storia. Uscì dalla stazione per prendere un tassì e, a mano a mano che che il crepuscolo si trasformava lenissimamente in sera, si trovò sul piazzale. La luce del cielo si fondeva con quella del grande faro centrale ed era qua e là spezzata di riverberi di neon rosa e azzurro. Sotto questa luce nelle aiuole della stazione stavano accovacciati sull'erba bruciata dai turni di umanità sempre distesa, gruppi di donne africane vestite di bianco che chiaccheravano la loro lingua con movimenti continui delle mani scure e magre con unghie laccate di uno smalto color metallo. (Sillabari, 1997)

domenica 5 febbraio 2017

IL MOSTRO CHE E' IN ME di Gaetano Altopiano







Mio fratello (l’altro non c’era ancora) ricorda perfettamente il giorno in cui ci trasferimmo dalla città alla nostra tenuta di campagna: era estate, mia madre era incinta, avevano una coupé grigio scuro. Avevi 11 anni, no, aspetta, 11e mezzo. Facemmo più di un viaggio, con una ditta di traslochi che aveva un camion centinato e un furgoncino bianco, due per l’esattezza. Un mucchio di coperte, un tale che fumava in continuazione, il montacarichi a castelletto, finimmo col sistemarci solo nel tardo pomeriggio. Giugno ‘74. Come fai a non pensarci? Per conto mio, di quei giorni, non ricordo che un particolare agghiacciante: la sagoma di Peter Lorre in M, il mostro di Dusseldorf, il film che noi tutti vedemmo la sera del trasferimento. Il resto è come non fosse accaduto. Ma visto che è accaduto riconosco che deve aver avuto molta poca importanza rispetto al terrore che la faccia di un attore può esercitare nella fantasia di un ragazzo. Quell’uomo popolò i miei incubi per diverse settimane, tanto da non consentirmi di uscire più solo la sera nemmeno per le piccole commissioni. Ricordo che mia madre notò questo cambiamento e mi guardò più spesso con aria preoccupata, senza però chiedermi mai nulla. Probabilmente condivideva le mie ansie: anche in lei il mostro aveva preso dimora.  

EPPUR MI GUARDA di Francesco Gambaro

https://francescogambaro.wordpress.com/2017/02/05/eppur-mi-guarda/

sabato 4 febbraio 2017

ALTERNATIVE di Gaetano Altopiano







Non sempre le sue azioni coincidono coi suoi pensieri. O, più precisamente, con le sue intenzioni. Tanto più nei momenti di tensione. E non perché, come qualunque altro animale, lui risponda con uguale probabilità con azioni volontarie e involontarie alle insidie o perché, come alcuni altri animali, di fronte al dubbio può produrre endorfine e cortisone e sintetizzare glucosio e colesterolo in eccesso. Ma perché, come un ristrettissimo numero di animali, ha anche la facoltà di concepire alternative. Ad esempio la possibilità di organizzare i suoi pensieri in intenzioni che producano effetti preclusi a ogni statistica. Ossia, che sragioni a suo esclusivo vantaggio. Io voglio essere l’ultimo dei tuoi pensieri le ha detto. Lei ha detto: va bene, farò prima le mie cose. Lui l’ha piantata nel bel mezzo, inaspettatamente. (L’ultimo dei pensieri, comunque, non è l’ultimo dei desideri).

IL PUNTO ORIENTATIVO di Francesco Gambaro



Mio padre, era un ragioniere, non guardava mai la tastiera. La prima volta che lo vidi in azione, nel suo tetro ufficio che però aveva finestra sul Viale della Libertà, lo sentii battere tutto il pomeriggio e con le mie gambette penzoloni seguii quel suo ritmo strampalato: un allegro veloce, una sincope, un lento andante, un adagio rumoroso, un fox trot sforbiciante, l'edera rampicante curiosava dai vetri. La calcolatrice ticchettava a destra, gli occhi silenziosi ticchettavano a sinistra sui numeri. Mi spiegò che non era difficile, mi fece vedere il tasto centrale della calcolatrice, aveva un minuscolo punto bitorzoluto che bastava alle sue mani per orientarle. Mi piace ricordarlo perché è così che scrivo, come mio padre conteggiava. Chiudo gli occhi, sfioro la tastiera, non trovo mai un punto orientativo e, puntualmente, i conti non tornano.

venerdì 3 febbraio 2017

UNA TAZZINA DI CAFFE’ 2 di Gaetano Altopiano







Mi è stata contestata la tesi sostenuta in “Una tazzina di caffè”. Impossibile non riconoscersi, anche se il nostro volto cambiasse non milioni, ma miliardi di volte. E questo in ogni luogo e in ogni tempo: noi non ci riconosciamo per le sembianze che uno specchio rimanda del nostro viso, o perché quelli che ci sono vicini ce lo confermano continuamente, ma per la coscienza che abbiamo di noi stessi. Difatti ci riconosciamo anche al buio. E in assenza di specchi. E non abbiamo alcun bisogno di palpare ripetutamente le linee della nostra faccia in un’esistenza angosciante. Ma Charles Bennet, com’era solito, percorreva la strada che lo portava in ufficio a piedi. Da Stanley road a Queen’s road, anche se diluviava. Migliaia di volte, ancora, aveva percorso quello stesso tragitto unicamente in un senso e in un altro al ritorno. E non vendeva elettrodomestici ma era un funzionario della Banca d’Inghilterra. E non si era neanche mai mosso da Londra, questo da quarantott’anni. Il fastidio che sostenne di sentire ogni qualvolta sorbì il caffè di Mrs. Randall non era che una ferita del labbro causata da una maldestra rasatura. Non c’era alcuna tazzina. In quanto all’imbarazzo, bè, Charles Bennet era un solitario. Mai sarebbe entrato in case sconosciute. Molto spesso si metteva a pensare: questo è un sogno, una pura diversione della mia volontà, e dato che io ho un illimitato potere voglio causare le belve che desidero. Chi conosca quella via, poi, sa benissimo che non ha alcun numero tre: Stanley road non ha affatto numeri dispari. Le case sono disposte solo sul fianco destro della strada.  

IO MI METTO SEDUTA E TU TIRAMI IL COLLO di Francesco Gambaro



Il marito non sperava di meglio. Inesperto di slogature e di distorsioni cervicali, avrebbe potuto invocare, in sede giudiziaria, l'umano errore. Agganciò a tre mani il mento della moglie e, dopo tre giri, si ritrovò con la sua testa, completamente svitata dal corpomacchina. Provò a riavvitarla tre volte. Per ben tre volte sua moglie, prima disperata poi ingiustamente imbufalita, rifiutò di essere riavvitata.

giovedì 2 febbraio 2017

DEL TRAMONTO DELL'ORGANICO E DEL RIFIUTO UMIDO di Francesco Gambaro




Ieri paura. Usciti dall'evaquatore: cinque usb, un triller-wifi, sette spinotti hardcoop, centouno piccoli visori a orologio in formato sguinch (piattola vagante), quattro Mauser e-bay, due attenuatori di fase digitale HMGG 2019, 37 MCU a 37 bit e un backflit del connettore FPC con passo da 0,20 millimetri. Ieri paura, solo un'ombra di cacca.

mercoledì 1 febbraio 2017

UNA TAZZINA DI CAFFE’ di Gaetano Altopiano






Potrebbe essere che in passato io abbia suonato al numero tre di Stanley road, là dove la strada s’incurva per Queen’s più o meno, e che una vecchietta a me sconosciuta abbia voluto a tutti i costi offrirmi del caffè, ma che no –no, non le occorreva proprio niente in quel momento, meno che mai un’aspirapolvere. Potrebbe essere che io ne abbia bevuto da un servizio di buona fattura, ma da una tazza che aveva un’evidente incrinatura sul bordo tanto da consentirmi di rilevarne con perfezione il graffio ogni qualvolta abbia succhiato una sorsata di liquido. Potrebbe essere che, sebbene io non abbia mai messo piede in quella città né abbia mai conosciuto quella signora né, tantomeno, venduto mai elettrodomestici, il mio disagio abbia reso incresciosa quella seduta fino a renderla plausibile in ogni luogo e in ogni tempo. E quando dico in ogni tempo, intendo proprio questo: anche in futuro. Prevedendo, in quel caso, la tremenda possibilità che io ancora una volta non mi riconosca, considerato che potrei avere un volto un milione di volte dissimile da quello di adesso. 

STORIE DEL SIGNOR JFK 67 di Francesco Gambaro




Il ritiro di JFK è facilmente riconoscibile per via dei due rotoli di carta igienica posati sul panchetto. Per tema che, una di quelle volte, possa trovarsi sprovveduto e sprovvisto, JFK sul finire di uno ne approvvigiona un altro. Certo JFK conosce bene la storia, sa perfettamente che gli antichi greci non soltanto evacuavano, ovunque e immantinente, appena il bisogno chiamava ma, addirittura non si scartavetravano. Il che è una conseguenza della prima abitudine in quanto la natura dice, sotto la specie della buona salute, che se al corpo ingegni di non forzarsi d'attesa, rimarrai dignitosamente animale. Ma JFK si sente intutto e pertutto un anthropos del ventunesimo secolo e anzi, questi riferimenti remoti, vieppiù aumentano in lui il terrore di ritrovarsi, una di quelle volte, senza: assantumato e con gli occhi sgranati sul panchetto. Occorre aggiungere che, da qualche tempo, per cagione di una maturata lentezza dell'agorà sfinterica, si è passati a tre elementi identificativi del sopraddetto abitacolo giornaliero.

A CULO NUDO SU UN CATINO DI ACQUA FREDDA di Gaetano Altopiano

Il filosofo racconta che nella Russia del ‘500 i soldati misuravano la loro resistenza accucciandosi a culo nudo su un catino d’acqua fredda dentro al quale rimanevano immobili fino a ghiacciare. Solo allora potevano rialzarsi. Quando il catino, nell’atto che il corpo si risollevasse, restava loro attaccato per avvenuto congelamento delle parti. Il filosofo lo riferisce a scopo pedagogico: pensa che la prova volesse dimostrare che un buon soldato, ma più in generale l’essere umano, poteva essere in grado di abituarsi a tutto, se solo ne avesse avuto il coraggio. E di fatto era vero. Ed è ancora così. Dal brivido provato appena iniziata la lettura sono passato al terzo martini senza nemmeno accorgermene. Mi ero abituato.