In
ombra, sul terrazzino panoramico di un piccolo bar della periferia
panormita, io e Francesco, fin dalle prime luci del giorno,
affissiamo lo sguardo sull'anziana signora vestita di chiaro, -
ingioiellatissima, spicca fra la sciatta folla che si avvicenda alla
fermata dei tram - che, con calma olimpica, tira fuori dalla borsetta
un piccolo binocolo da teatro rivestito di madreperla e tutte le
volte che uno degli scorreggianti spettri arancioni irrompe nella via
lo punta verso il numero che scorre sopra il parabrezza... Il
solito vento monello fa balbettare le tende di stoffa abbassate su di
noi permettendo ai raggi del sole indugianti sui vetri delle finestre
di fronte di punzecchiare i nostri occhi fino a farli lacrimare.
Un vecchio juke-box impantanato da decenni in un angolo del
locale improvvisamente comincia a vomitarci addosso scasciose
canzonette. E una gatta nera come la più nera delle mie notti taglia
la strada ad un brufoloso ginnasiale che rincorre un tram che certo
non vuol farsi prendere poi scompare silenziosa in fondo alla via.
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