Di punto in bianco la donna si ferma sotto l’oleandro fiorito, alza gli occhi e sceglie, tra i tanti, un fiorellino rosa. Benché non più giovanissima, si solleva con grazia sulle punte dei piedi, allunga una mano e, ruotandola delicatamente prima verso destra, poi verso sinistra, lo stacca dal ramo. Lo guarda, se lo porta vicinovicino al naso e, mentre lo odora, trotterella con aria nostalgica lungo il marciapiede deserto, assolato, poi tre, quattro… cinque porte più tardi, scompare dentro l’uscio di una casa che non è casa sua…
mercoledì 31 maggio 2017
(L'OCCHIAIA. 33.) di Elio Coniglio
Di punto in bianco la donna si ferma sotto l’oleandro fiorito, alza gli occhi e sceglie, tra i tanti, un fiorellino rosa. Benché non più giovanissima, si solleva con grazia sulle punte dei piedi, allunga una mano e, ruotandola delicatamente prima verso destra, poi verso sinistra, lo stacca dal ramo. Lo guarda, se lo porta vicinovicino al naso e, mentre lo odora, trotterella con aria nostalgica lungo il marciapiede deserto, assolato, poi tre, quattro… cinque porte più tardi, scompare dentro l’uscio di una casa che non è casa sua…
LO SCAPPATO - 2 (a Barbara Ottaviani) di Francesco Gambaro
Il
dolore scende sottacqua. Ti tuffi sicuro dentro la maschera. Adesso
non senti i contorni elastici del mare né i suoi muscoli. La carne
imbalsamata dall’acqua. Solo le ossa, sensibili alle palpebre di un
caffé al vetro o al quartetto opera 105 numero 1 di Franz.
I RESPINGENTI di Gaetano Altopiano
Per questo viviamo giorni impossibili. Proprio per questo. Siamo reagenti che non reagiscono. Fuggitivi che non fuggono. Soccombenti che non soccombono. E da che mondo è mondo, da ragazzini si andava dall’arciduca nostro zio in inverno. E eravamo tutti femminucce, Marie-Marie ci chiamavamo, anche noi maschi. “Bin gar keine Russin, stamm’aus Litauen, echt deutsch.” E usavamo frasi di questo tipo: che non significavano niente. Ma mio cugino Onofrio passava i pomeriggi a guardare la gente che faceva la fila nei magazzini P.M. L’osservazione è alla base di ogni studio che aspiri a essere serio, sottolineava. E si applicava infatti e io condividevo, pane al mattino e a cena una minestra calda di verdure dell’orto. Non tutti possono essere Walt Whitman, nemmeno noi. E si contava tanta di quella gente alle casse, che mai potevamo pensare che morte tanta ne avesse disfatta.
martedì 30 maggio 2017
LO SCAPPATO di Francesco Gambaro
Dove
sarò scappato. In metropolitana fuggendo il bigliettaio. Ci saranno 200
figurine mie. In cartone animato. 200 sagome mie, occupanti i posti Palermo
Centrale-Imperatore Federico. In un orario impossibile da dirsi. Il biglietto?
No, non lo voglio. Per carità. No, sia lodato Gesù Cristo, sono venti
centesimi, il posto è vostro, sua maestà.
lunedì 29 maggio 2017
QUANDO IL CRITICO CCIA’ RAGGIONE di Francesco Gambaro
Quando il critico - categoria letteraria civilmente estinta e sostituita dalla civilmente arciletteraria categoria del lettore estinto - vuole affogare un poeta, lo affoga, sfogliando per lui il fiore dei suoi versi: "Ermafrodito baciò le sue labbra allo specchio / In un quadro profondo? Nerastro appare rosea. biaccosa la carne di lui sullo sfondo .... Il vago pallore del volto e delle tue bionde chiome." (nel qualcaso, il Ligabue della poesia italiana Dino Campana). Nel qualcaso, il critico - categoria letteraria civilmente estinta e sostituita dalla civilmente arciletteraria categoria del lettore estinto - cci'aveva raggione.
domenica 28 maggio 2017
NOTTURNO N22 di Gaetano Altopiano
Le
volte in cui l’estensione di un braccio dovesse concludersi con una
protesi armata ci misuriamo con la paura. Un problema che riguarda
vittima e carnefice. Alle 00:07,47, all’altezza di via Giafar,
linea notturna N22, il ragazzo gli punta contro una lametta. Dammi i
soldi, gli dice. L’istinto prevede una reazione e la vista di
un’arma, a prescindere dalla concreta potenza di “fuoco”,
risveglia l’antenato che è in noi, per secoli combattuto ogni
istante tra la vita e la morte. Siamo pronti a tutto. Ma una lamina
d’acciaio, seppur minima, porta alla luce ricordi più inquietanti:
la precarietà cui tutti siamo soggetti, che ad esempio può anche
essere altro che l’esito di un onorevole combattimento.
L’incidente. Quell’oggetto insignificante - nato solo per scopi
domestici - potrebbe togliere la vita a entrambi, fosse solo per un
errore. Lo sa l’uomo, 62 anni, e lo sa anche l’altro, che di anni
ne ha appena 15. La ragione prevale. L’uomo consegna il portafogli.
Il giovane dà un calcio alla bussola e fugge mentre l’autista, in
un colpo solo, blocca l’autobus e spalanca la porta. La lametta
cade sulla seconda alzata del predellino. Un’acre odore di freni
surriscaldati invade l’aria. Come si sente? Come si sente? Chiede
insistentemente all’uomo.
sabato 27 maggio 2017
SEDUTI COME DUE ALLOCCHI AL BARBELVEDERE DI SANTO STEFANO di Francesco Gambaro
Seduti
come due allocchi al barbelvedere di Santo Stefano di Camastra,
osserviamo, traverso due negroni sbagliati alla puntemmes, il
panorama allocco che anche quelli del paese (chiamatela città) di
Taormina stanno pervedendo uguale. Cerchiamo con l'occhio cannocchio
un acquascooter della polizia costiera, un cecchino postato sulla
piramide di Presti, una portaerei, un effebiai mimetizzato a riccio,
uno squadrone di subreduci del generale Montgomery, un agente della
Cia sotto il nostro stesso cuscino, cartelli di divieto di transito
in doppia lingua inglese-arabo, un Gentiloni sul canotto da
ricevimento che ci faccia strada sul tappeto di alghe negre, eppoi la
conferenza ammare. Niente. Non vediamo altro, noi allocchi cecati di
Santo Stefano, che lo stesso panorama allocco di Taormina. Non
sentiamo neppure che, in questo momento, l'Etna sta tremando di
brutto.
venerdì 26 maggio 2017
MUTAZIONI 2 di Gaetano Altopiano
Continuo a non avere voglia di scrivere. Ma desiderio e consapevolezza rimangono dei sinonimi, mio malgrado, anche a distanza di quattro giorni o di quattro secoli: i due significati non si modificano come la carne, incessantemente. Durano. Ci pervadono. Ci costringono a misurarci con loro. Questo perciò mi inchioda alle responsabilità e oltretutto c’è il rischio che tanta inattività mi conduca a un punto morto. Mor-to. Ho sturato il cesso, ho pulito il giardino, ho sistemato ben bene la ghiaia in compenso. Ho cambiato due rubinetti e potato gli oleandri della stradella guadagnando un po’ di sollievo alla fine. Sudore liberatorio. Poi sono mutato in lucertola, in iguana, in varano di Komodo e di nuovo in uomo. Ma del piacere di scrivere nemmeno l’ombra.
C'E' CALDO PER TE di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/26/ce-caldo-per-te/
giovedì 25 maggio 2017
mercoledì 24 maggio 2017
SULLE RIVE DEL TONTO (5) di Elio Coniglio
Un calcio, un solo calcio ma ben assestato e i due pettoruti battenti del portone si spalancano e subito, cioè un solo attimo prima che io varchi la soglia, il ringhio minaccioso di tre cani da mandriano mi scorta fin nel cortile. Sotto un livido rettangolo di cielo dicembrino, numerosi bipedi dritti su grossi blocchi di pietra grigiastra disseminati a raggiera nei pressi di un pozzo, allungano le loro spigolose ombre da spaventapasseri verso altri bipedi, inginocchiati questi, e tutti intenti a scavare con le mani nude buche profonde nella mota bluastra. Qualunque cosa facciano, ne sono così tanto presi che, nonostante i perturbanti scagnii, non uno di loro mi degna di uno sguardo. Finalmente Qualcuno con dei cazzuti 'passi cààà!!!' zittisce i tre cagnacci e mentre scompare fra le foglioline tremolanti di un'edera che inverdisce uno dei muri del cortile, mi fa cenno di seguirlo... Subito appena fuori dagli intriganti viluppi vegetali si avverte l'inconfondibile odore dolciastro della cera bruciata: non una decina ma cento e più candele le cui fiammelle, confuse da mille soffi contrari, si piegano guizzando in tutte le direzioni immaginabili, incalzate da una tenebra soffocante costeggiano la parete di un angusto corridoio e prima che le ultime di loro di consumino, si spingono fin dentro la stanza dove, a tratti, una soccorrevole luce rugginosa gocciolando attraverso gli scuri socchiusi di una finestrella riesce a sbaragliare le appiccicose penombre acquartierate tra le pareti. E, ogni qualvolta ciò succede, l'Occhio in cerca di appigli scivola fulmineo dal nudo specchio ovale che sovrasta una bacinella appollaiata sopra un trespolo di ferro battuto alle poltroncine finto rococò addossate fianco a fianco alla parete di fronte, dagli indecifrabili sgraffi sul ripiano di un tavolinetto rotondo a Tà e Francesco, in ozio su un improvvisato giaciglio di morbidi cuscini ammonticchiati sopra un logoro tappeto di sacchi di juta, che sbocconcellano mele, a giudicare dall'aspetto, succosissime... Un orologio batte più e più volte un'ora che non è ancora scoccata. Puntualissimo un armadio sbadiglia e un rasoio da barbiere con il manico d'ambra cazzicatummula lento nei vuoti della stanza...
SOGNI A DELINQUERE (2) di Francesco Gambaro
La
strada è interrotta dalla solita frana. I cantonieri comunali
solertemente hanno spianato una bretella di cortesia, pietrosa e
inclinata del 40% verso il mare. Costeggio dal basso l'interpoderale
interrotta, derapando e con il fiato salato sul collo. A pochi metri
dal rientro in carreggiata due uomini. Il vecchio, è grasso e basso,
l'altro è altissimo e porta gli occhiali a fondo di bottiglia,
tipico dei figli. Temendo una imboscata, non nascondo avere pensato
di arruotarli e scappare. Mi fermo, abbasso il finestrino. La faccia
da luna piena, tipica dei consumatori di cortisone, olivastra e a
tratti nera di Silvestre Alcantara, mi alita di scendere. Quella di
suo figlio Mom resta fuori dalla mia portata visiva, il suo sguardo
carezza il tettuccio del mio fuoristrada. Silvestre mi abbraccia e mi
trascina poco più avanti, all'ombra di un cespuglio. Piangendo
ripete, OGGI HO AVUTO MODO DI VEDERE LA MIA SCATOLA CRANICA. Un modo
per dire che la sua serenità è a rischio. Tuo padre (qui a Ragnasco
ci si da tutti del tu), mi vuole togliere l'uva. Mi mostra la
minacciosa lettera anonima che, rileggendola, trovo veramente
benscritta ma senza darlo a vedere. Mi chiede di intercedere. L'uva
della famiglia Alcantara: una pergola di meno di un metro di
larghezza per qualcuno in più di lunghezza. Fa da pensillina
all'unica finestra e all'unica porta d'ingresso della loro casa.
Rassicuro e prendo impegno accartocciandomi a mia volta alle spalle
di Silvestre, dando un cazzotto amichevole all'inguine di Mom.
Risalgo in auto. Li lascio allontanare di una decina di metri. Do
tutto il gas che vuole al mio diesel 4 cilindri aspirato e, questa
volta sì, li arruoto.
martedì 23 maggio 2017
MAZURCHEGGIA COME UNA SCHEGGIA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/23/mazurcheggia-come-una-scheggia/
lunedì 22 maggio 2017
MUTAZIONI di Gaetano Altopiano
Andiamo e veniamo da posti che non ci risultano. Perché questa città, e perché questo nome? Proviamo a cercare su tavole geografiche, su un dizionario, su un atlante elettronico, ma non troviamo niente. La strada è lastricata dall’ottavo secolo - la cattedrale costruita nel mille e qualchecosa - e qui, proprio da qui, sarebbe passata. Luce, terra, alberi, temperatura gradi ventuno. Ma non troviamo niente. La ragazzina (una qualsiasi, non importa chi) guarda la propria lingua come fosse di qualcun altro: per lei occorre una medicina, conclude, e la rimette in bocca tutta spaccata e biancastra com’è. Parla della sua lingua come fosse la lingua del vicino. E della luce come potesse spegnerla in qualsiasi momento. E della temperatura come se da migliaia di anni non l’avesse mai vista mutare.
domenica 21 maggio 2017
A VOI, UOMINI MESCHINI di Francesco Gambaro
Pochi
italiani ricordano, letto, citato, saputo Gaspara Stampa. Ingeborg
Bachmann, austriaca antiaustriaca felicissima italiana, ja.
L'epigrafe a una sua raccolta è il famoso verso di Gaspara: “vivere
ardendo e non sentire il male”. Che è la prova provata che
Ingeborg non si diede fuoco e quella del suicidio una leggenda tutta
romana.
A
voi, miei uomini meschini, come se non avessi mai / nascosto in me
cento di voi, a voi sì, miei uomini / la bocca tumefatta dalla sua
purezza insidiosa / ho liberato e il mio choc blando e desolato,
gustato / assaporato. Respiravo: di più. Più di voi, più di me /
più di tutto insieme. /
Ho
messo fine a questa muta ribellione / nella proprietà, ho deriso
voi, la vostra proprietà, la carogna / che avete posseduto, non me,
solo questo torso morto, / questa mano storpiata, niente di più –
Io respiravo sempre: di più. / la vergogna mi è venuta meno in
quest'orgia, / l'infamia borghese con le sue umiliazioni / della noia
e del rapido giudizio conclusivo / su una carne che è viva come il
suo spirito. /
Il
deserto ha accolto i miei occhi con la sabbia, del mio cuore /
devastato ho potuto parlare soltanto prima, ora è devastato /
meravigliosamente, i veli di sabbia si alzano, le dune lo hanno
preso, / mitigano i miei sguardi con il loro disegno infinito / la
mia marcia verso il mar Rosso. Dico di più, io di più, ancora / di
più della sabbia. /
Questa
infamia, la cui croce ho portato per metà della vita / finché mi ha
spezzato la schiena, lo sfruttamento / senza scrupoli di un
appassionato inizio di Tu. / Tu, è dove è poco, dove la razza vile
/ alla tua vile razza bianca dà un ceffone, tanto / che tu
dimentichi le sere con i nonni bianchi, / non porta la camicia ciò
che è qui, è vecchio e giovane, / reale e senza scrupoli.//
Ingeborg Bachmann
“Felicissima
lei, da che sostenne / per sì chiara cagion danno sì chiaro!”
Gaspara Stampa
sabato 20 maggio 2017
IL CACCIATORE DI PISELLI di Gaetano Altopiano
Le industrie alimentari producono premeditatamente più cibo di quanto ne occorra. Si stima che piuttosto che produrne per sette miliardi di persone (è solo un’ipotesi) ne producano quasi per ventuno miliardi. Si favoleggia che questo sia conseguenza dell’impossibilità di coordinamento con i ministeri nazionali competenti e gli istituti di statistica, e che le industrie abbiano un loro ciclo produttivo inarrestabile. Ma tutti sanno che non è così. Tutti sanno che questo “surplus” produttivo è perpetrato con un obiettivo preciso: è destinato a tutte quelle aree geografiche dove sarà comprato. Anche se mai effettivamente consumato. Il principio si chiama “iperproduzione programmata”. Guardando all’iperproduzione programmata è legittimo che qualcuno se ne domandi il motivo. Oltre che in termini di spreco, ma anche in termini di perdite da un possibile invenduto, perché produrre più di quanto occorre sapendo che un solo prodotto su tre sarà realmente utilizzato? La risposta è già nota. Sappiamo tutti che comprare una scatola di piselli e consumarla non è direttamente proporzionale. Ossia. Sappiamo tutti che la facilità con cui ormai possiamo ottenerla ha generato un legame solo apparente tra il suo acquisto e il concreto utilizzo. E questo per l’inarrestabile svalutazione dei significati nella società occidentale - in questo caso, cibo e sacrificio. Il cibo non ha più il suo “spirito” nutritivo e non è più una “fonte di sostentamento” per la quale sacrificarsi. Acquistarlo (procurarlo) non è più un’azione per la quale si era disposti a rischiare la vita, mirata a un approvvigionamento preciso, necessario e programmato, ma un’azione slegata dal suo antico significato: non ha più niente a che vedere con la caccia.
SOGNI A DELINQUERE di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/20/sogni-a-delinquere/
venerdì 19 maggio 2017
QUANDO I PALERMITANI PRECEDETTERO I NAPOLETANI di Francesco Gambaro
Fu nel maggio del 1906, prima
Targa Florio vinta da Alessandro Cagno su Itala. All’ultimo rifornimento i
francesi Rigal e Bablot, testa della corsa, chiesero benzina ma furono serviti
di un pieno d’acqua. Tre quarti di secoli dopo, il testimone era già passato e
saldamente in mano ai napoletani. Sceso al Molo Beverello mi fu offerto, per il
mio primo viaggio di autostoppista una bottiglia di wiskey a lira stracciata.
Ne presi addirittura due, ma ne bastò una per stonarmi al primo, paglierino
effluvio di ammoniaca.
giovedì 18 maggio 2017
ALTRI INCIPIT (Byung-Chul Han) di Francesco Gambaro
La libertà sarà stata un
episodio. Il termine episodio
significa “parte intermedia”: il sentimento della libertà si manifesta nel
passaggio da una forma di vita all’altra, fino a che anche quest’ultima non si
rivela una forma di costrizione. Così, alla liberazione segue una nuova
sottomissione: è questo il destino del soggetto, il cui significato letterale è
“essere sottomesso”.
Oggi non ci riteniamo soggetti sottomessi, ma progetti liberi, che delineano e reinvestono
se stessi in modo sempre nuovo. Il conseguente passaggio dal soggetto al
progetto è accompagnato dal sentimento della libertà: ormai, il progetto stesso
si rivela non tanto una figura della costrizione, ma piuttosto una forma ancora più efficace di soggettivazione
e di sottomissione. L’io come progetto, che crede di essersi liberato da
obblighi esterni e costrizioni imposte da altri, si sottomette ora a obblighi
interiori e costrizioni autoimposte, forzandosi alla prestazione e alla
ottimizzazione.
Byung-Chul Han, Psicopolitica, Nottetempo, 2017
mercoledì 17 maggio 2017
PALERMO A MAGGIO di Francesco Gambaro
Un
giovane quarantaseienne insiste, con la sua chitarra elettrica, in un giro di
do sbagliato. Lo propone a maggio, a finestre schiuse e con un piede già in
terrazzo. I genitori sinodali, sordociechi davanti il televisore. I genitori di
un imbecille, va da sé, geneticamente imbecilli. I genitori sicuri, il loro
figliolo sarà Janis Joplin. Un dirimpettaio acustico, non riuscendo a svellere
le orecchie, pensa seriamente di tirare al chitarrista una granata. Calibra con
fasulla dovizia il braccio per un lancio immaginario. Giù una famigliola di
nove dipendenti scende dal Suv e attraversa la strada per raggiungere la
suocera a ore 23 e 11, quinto piano. La più piccina delle figlie, in braccio al
padre, piange con voce di bambola. In effetti, è la bambola che la piccina
tiene in braccio che piange per lei a empatia bioelettrica. Il buonuomo, attraversando
la strada con le piccine in braccio, figlia e bambola, incrocia un condomino
che corre, a testa bassa come un toro, verso il bar all’angolo. Non vi fa caso.
Già pensa, prima di raggiungere l’altro lato del marciapiedi, al futuro. Al
domani, alle 7, quando dovrà aprire il cancello dell’azienda del suocero e
riferire degli operai ritardatari. Nel salotto della suocera i famigli
cinguettano con la piccola e con la bambola, ma quanto sono cresciute. Il toro
del terzo piano, ha finalmente raggiunto il bar. Ordina, con la stessa
similvoglia di una donna incinta, un gelato di zuppa inglese. Ma il corpo del
gelato è bucherellato da pallettoni di cioccolato. Che risputa, a rosa di
fuoco, sull’incolpevole ministrante. Protestando l’invasione dei comunisti e
della cioccolata, anche lui trama, tornando ferito a casa, di lanciare una
granata a chi sa lui. La granata arriva prima del previsto, bella fresca dalla
Siria. Un foreign fighters -
secondo figlio di quella famiglia di spiantati schiusi a maggio
dell’ultimo piano terrazzato - l’ha lanciata da al-Raqqa. Colpisce in pieno i
cassonetti della raccolta differenziata con gran risveglio condominiale. Che
però non sveglia il papà della bambina con bambola, sprofondato nel suo sogno
di una zuppa inglese senza cioccolata e con zuccata.
martedì 16 maggio 2017
AVVISO AI NAVIGANTI di Francesco Gambaro
Se volete risparmiare eurini (per i vs figli), evitare la coda di lemmings negli store Feltrinelli o Mondatori, scaricate da google o da youtube le 13 righe di “Poteri forti (o quasi)” di Ferruccio De Bortoli e le 32 di “Di padre in figlio” di Marco Lillo. Queste poche righe, una volta dette fascette promozionali, concentrano la summa dei più antichi e moderni romanzieri del giornalismo italiano.
L’OPOSSUM di Gaetano Altopiano
“Parlo della bellezza. Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile. Quando lo si incontra ci si sente rianimati. Ci si sente rianimati quando si incontra in Platone un pensiero che corre veloce, o un bel profilo di statua.” Ezra Pound. Il quale ribattezzò l’autore de La Terra Desolata (T.S. Eliot) l’Opossum. E a quanti gliene chiedevano rispondeva: perché credi che l’abbia ribattezzato l’Opossum? L’Opossum vuol dire l’abilità di apparire morti mentre si è ancora vivi. Raccomandò inoltre di non usare mai parole superflue, né alcun aggettivo che non rivelasse qualcosa.
STORIE DEL SIGNOR JFK (84) di Francesco Gambaro
JFK
capisce che qualcosa non va quando trova ogni mattina il cassetto delle posate
pieno di pipì. Pieno no, bagnato sì. Eppure, pensa. O tenta di pensare. Sono tanto
sicuro di riuscire a pensare? E’ così, vero, sto pensando? Ma a che serve
pensare se poi non ricordo dove l’insolente prostata ha conducato l’oro
notturno. JFK capisce che qualcosa non va quando comincia a sospettare che potrebbe
non essere lui, ogni notte, a disonorare
le plebee posate. Dopotutto, ragiona, io è un altro. E poi c’è da
mettere in conto che la cucina è più a portata di mano del gabinetto. In conto?
Di mano? JFK capisce che qualcosa non va quando comincia a sospettare di stare chiamando
mano qualcosaltro. Una pen drive da 32 GB? Un Ab rotante a 12 ingressi USB? Volendo
sturare il cassetto delle posate, avrà usato il blueutooth o il wi-fi? E lo
scarico, unico testimone, che dice? Che dice il buon vecchio scarico? Dove sarà
scappato?
lunedì 15 maggio 2017
L’AMMICCANTE di Gaetano Altopiano
Vive nella speranza che un giorno avrà una convinzione. Per il momento, e ormai da cinquant’anni in verità, non riesce a vivere - per dirla alla Yeats - di “intensità appassionate”. Il quale aggiungeva anche che solo i peggiori tra noi però ci riescono. Ma neanche passare per essere tra i migliori lo convince. Niente lo conquista, nemmeno chi scrisse parole tanto memorabili né quelle stesse parole. Vive come i buoi sacri di Atene, che nelle Dipolie, si racconta, andavano consenzienti incontro alla mannaia.
DEBORAH E BENEDETTA di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/15/deborah-e-benedetta/
domenica 14 maggio 2017
ANGOLAZIONE di Gaetano Altopiano
La fotografia non è il mio campo. E oltre a poter dire “mi piace - non mi piace” non ricordo di aver mai potuto aggiungere qualcosa in proposito, di aver mai potuto fornire una vera opinione insomma e se l’ho fatto l’ho fatto d’istinto, dato che manco della minima competenza tecnica. Non ci capisco granché, a dirla tutta. Non ho idea dei fatti tecnici indispensabili alla sua comprensione, di quanto tempo occorra, del chiaro/scuro, del colore, di quanta esposizione alla luce, dell’angolazione o di quelle altre decine di particolarità che in definitiva occorreranno per fare di una foto una buona foto. Ma penso che molto sia dovuto alle circostanze: esiste un momento in cui la fotografia va scattata e mai più in un altro, momento che chiameremo “prediletto dal caso”. Questo ad esempio. L’attimo in cui il barista abbassa in un colpo la leva della macchina a pressione su due cucchiaiate di caffè macinato. Quello in cui una lama di luce solare colpisce la porzione di universo contenuta tra la parete su cui poggia la caldaia e il bancone. Quello in cui milioni di particelle di polvere si alzano all’improvviso, seguendo il movimento del braccio che a sua insaputa esprime una regola geometrica universale. Cateti, ipotenusa, angolo di sessanta gradi.
RIPESCAGGI (1) di Francesco Gambaro
Un
signore andava per via Pignatelli Aragona. All’altezza del numero
23 incontrò un uomo che non aveva da dirgli niente. Non gli disse
niente e passò innanzi. Questo lo insospettì. Lo inquietò
obbligandolo al gesto involontario di infilare la mano in tasca e
saggiare l'impugnatura della pistola. Un gesto inabituale che lo
distrasse, lo fece sbandare e non gli impedì di urtare un signore,
un portatore di pizza irritabile. Che si irritò per il sugo di pizza
scivolato sulla punta delle scarpe a causa dell'urto. Quest’altro
signore, occasionale e non avvezzo portatore di pizza, non potè fare
a meno di infilare la mano in tasca e saggiare il manico della sua
pistola. La portava in tasca da circa trent’anni e non vedeva l'ora
di disfarsene. Ogni volta, la sera quando usciva per passeggiare il
cane o per fumare una sigaretta, ci provava: sciaguratamente,
incrociando sempre qualcuno sul marciapiedi, per trent'anni ha dovuto
desistere. Finché quella sera, in via Pignatelli Aragona, un
signore, sbadato o sbandando, gli venne praticamente addosso facendo
arabbiare, prima di tutto, le sue scarpe. Pensò che quella fosse
l’occasione buona per dare un senso a trent'anni di frustrazioni.
Nel cuore tutto di un pezzo di un uomo normale, seppure da trent'anni
frustrato, una pistola pesa più di una pizza, e la mano sinistra non
è la destra. Dunque non doveva e non poteva sbagliare ma,
sciaguratamente, dal portone del civico 23 di Pignatelli Aragona,
uscì in quel momento un condomino parecchio arrabbiato perché aveva
finito di leticare con la propria oncubina oscana. Nelle tasche aveva
due pistole. Non gli sembrò vero.
sabato 13 maggio 2017
IL RIMPROVERO di Gaetano Altopiano
Giunta al momento in cui è, considerare gli errori le sembrerebbe perverso. Si abbandona perciò alla volontà della natura che giustamente per lei ha previsto una strada su due: erano azioni improntate a un tentativo di giustizia ma inevitabili. Non fosse che si hanno minime possibilità saremmo liberi di sbagliare e in continuazione rimediare si ripete. Anche all’infinito. Ogni rimprovero potrebbe essere inflitto milioni di volte e milioni di volte ritirato senza uccidere mai fin quando non lo si decida. Ma qui è tutto diverso. Lui è piegato su se stesso in posizione innaturale e i suoi occhi tendono a un colore indefinito. Nella periferia decine di persone si incrociano in questo momento. E al tramonto lei disprezza ogni cosa che non riesce a dimenticare.
ADAMO IN CITTA' di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/13/adamo-in-citta-2/
venerdì 12 maggio 2017
MICROCEFALIA
di Gaetano Altopiano
L’uomo occidentale tende alla microcefalia. Assisto
a una sempre più manifesta riduzione del volume cranico umano (figli molto alti
ma con teste ridotte) e a una inevitabile conseguente diminuzione delle facoltà
intellettive. Ho pensato si trattasse di un calo in centimetri cubici dovuto al
fatto che alcune zone del cervello deputate a compiti particolari erano divenute
inutili: calcolo, traduzione, scrittura manuale, disegno, rassegnazione alla fatica
fisica. Ho dedotto invece che non era solo questo. Si tratta soprattutto di un
adeguamento genetico volto a arginare il problema del sostentamento di un
numero di individui inimmaginabile - spropositato secondo il target che
garantivano fino a meno di un secolo fa in autotutela guerre e epidemie, e rimpinguato
inaspettatamente anche dalle ultime recenti ondate immigratorie. Un sistema che,
prima fra tutte quelle facoltà intellettive, ridimensionerebbe la più pericolosa
e dispendiosa per la razza: il desiderio alimentare specialistico; di cui
l’uomo moderno è inventore e unico fruitore, essendo il solo che in natura - a
partire da un certo momento – si sia nutrito di alimenti preparati
appositamente per il piacere del palato e col minor numero di nutrienti. Abitudine
che col tempo ha costretto economie potenti allo stremo, prodotto costi di
produzione insostenibili, generato una dieta alimentare impossibile da
mantenere per così tanti individui con le sole proprie forze di uno stato. Un
disastro. Ipotizzabile, in futuro, lo sviluppo di una sub-specie con cervello
ridotto da 1350 cc a 1000/800 cc, irragionevole ma consenziente a nutrirsi di
cibo non preparato e reperibile in natura o agli angoli delle strade: erba,
corteccia d’alberi, carcasse di animali, materiali di risulta, forse anche plastica.
giovedì 11 maggio 2017
mercoledì 10 maggio 2017
IERI 2 di Gaetano Altopiano
In quella comunità sentivano di non essersi evoluti. Dovevano non poterlo sentire in effetti, era impossibile percepire la mancanza di sviluppo di una parte di loro (o anche di tutti loro) in mancanza di una rappresentazione diversa di quello che li circondava. Ossia, in mancanza di un possibile “altro rispetto a loro”. Come potevano pensare di non essersi evoluti nel mondo che conoscevano dato che quella comunità era l’unica che avevano fatto? Lo sentivano proprio per questo: perché qualcosa suggeriva loro che non era l’unica che avrebbero potuto fare. Che, nonostante fossero passati dalla caccia del sostentamento alla sua produzione, dall’essere raccoglitori-cacciatori all’essere agricoltori, e si erano riuniti in una tribù stanziale sulla riva di un corso d’acqua non erano riusciti a soppiantare la figura del leader. E ancora adesso ognuno di loro si identificava in un “io” altrui convinto che veramente quello solo potesse racchiudere in ogni senso il loro “noi”. Ciononostante non riuscivano a capacitarsi di una cosa: del fatto che pur alzando la mano, pur pronunciando potenti parole magiche e segni propiziatori Emmanuel Macron fosse stato eletto lo stesso.
SULLE RIVE DEL TONTO (4) di Elio Coniglio
A notte fonda, trovo Tà seduto a gambe incrociate sulle stoppie al centro della radura e mi accomodo di fronte a lui assumendo la sua stessa identica posizione. Tà, per diversi minuti, mi ignora. Cala un silenzio estremo. Tutto tace, persino il Tempo s'inceppa, poi Tà serra le labbra e io sento rimbombare dentro la mia testa la sua voce stizzita: "Il 'Tà' che cerchi non è certo il 'Tà' che hai davanti! Tal Tà si trova lassù, su quel costone di rocce biancastre, proprio nel punto in cui si vede, ma puoi vederlo solo se hai una mente aperta, vorticare quel palpitante grappolo di lucine violacee. D'ora in avanti, rivolgiti solo ed esclusivamente a 'quel'Tà'! e bada a non frammischiarti alle mie letargie!". Nello stesso attimo in cui una luna occhiuta, di un pallore spettrale, scrollatasi di dosso una spessa coltre di nuvole, illumina a giorno la radura rendendo le lucine violacee ancora più elusive, distolgo lo sguardo dal Tà corporeo e chiedo con voce ferma al Tà astrale se può farmi da guida. Il Tà astrale, esita a lungo, poi: "... ma, giusto perché tu lo sappia, non dovrei!"... Sotto una pioggia battente, incollato alle sue spalle, seguo passopasso Tà lungo un sentiero che serpeggia vicinissimo a un burrone scavato dall'impeto di un torrente in piena. Ma quando, pocopoco più avanti, ad una svolta, il sentiero improvvisamente si biforca dividendoci, non nasce in me alcuna perplessità, una sola incertezza...
martedì 9 maggio 2017
MACRONISMO, MALATTIA SENILE DELL'EUROPEISMO di Francesco Gambaro
Da
qualche parte su Il Foglio si titola: Salvata la Francia, ora
salviamo l'Italia. L'entusiasmo della stampa e della televisione
nostrana per la vittoria di Macron è, come sempre, superiore al
massimo entusiasmo che gli italiani abbiano mai avuto per se stessi o
per i loro eletti. La vocazione a volersi fare sodomizzare continua
a essere pari all'incapacità di sapersi vendere e di sapere vendere.
Il genio generoso dei napoletani l'Italia francesista ed europeista
l'ha sempre tenuto a cuccia, e la Fontana di Trevi resta sempre là,
a muffire nella commedia. Nei talk ci si diletta a dissertare se i
francesi non dovremmo chiamarli fratelli invece che cugini,
dimenticando che la parola più tenera che i francesi, in camera
caritatis, pronunciano nei nostri confronti è 'merde' (esclusi i
'poeti', che già il lungimirante Platone riconosceva apolidi e, dopo
averli unti di mirra, scacciava dalla sua repubblica). Qualcun altro
contesta che la Francia sia soltanto Parigi, rinnegando l'oro delle
nostre 121 piccole e grandi parigi. Molti politici-giornalisti di
questo governo già si masturbano al pensiero della prossima
consumazione del matrimonio MM. E cos'ì anche Giuliano Ferrara, che
solo poco tempo fa avrebbe dichiarato farlocche le recenti elezioni
francesi, si ritrova a essere l'unico vero giacobino nell'attuale
moderato e modesto schieramento delle forze in campo: sul Foglio, in
prima pagina, intona la Marsigliese. E' bello dire questo su
Facebook; se mai volessimo o dovessimo essere salvati, saranno
infatti i social network a salvarci. Salviamo l'Italia che ci piace:
Per il bene che ti voglio - avrebbe potuto dire il maggiore
Alessandro Haber al suo aiutante in campo nel sequel mai realizzato
dell'ultimo film di Mario Monicelli - per il bene che ti voglio,
stasera lavamelo tu il culo.
L'OMINO E' OBESO di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/09/lomino-e-obeso/
lunedì 8 maggio 2017
FINO AL 3124 di Gaetano Altopiano
Nessuno
amigo mio - tranne i bene informati - crederebbe che ogni intestino
nasconde fatti che la storia non ha mai svelato. Inutile cercare sul
Camera-Fabietti: niente racconta la verità come una colonscopia. Lì,
scopriamo che un lembo di retto, anche isolato da tutto il resto,
basterebbe a ripopolare il mondo. Che il Medioevo è tutto racchiuso
nell’angolo splenico, e nello spazio di un diverticolo s’incrociano
legioni romane in viaggio per la Britannia con soldati che rientrano
dalla campagna di Russia. Le dinastie Ming, il primo vaccino, la
bonifica dell’Agro Pontino e la demolizione del muro di Berlino. Ma
in più, il tuo, è capace persino di predire il futuro. “Carissimo”,
ti disse l’ispettore vedendoti arrivare, “si è deciso
finalmente”. “Racconterò tutto”, rispondesti, “tutto quello
che so. A cominciare dalla fine”. E finalmente (dopo 8 secoli)
vuotasti il sacco. Fino al 3124.
STORIE DEL SIGNOR JFK (83) di Francesco Gambaro
Conta
le olive che si è mangiato ogni giorno rientrando a casa. Sono
12452, di cui 3113 bianche. Conta quante volte, quando abitava in
Palermo, ha fatto la spesa alla cooperativa Coop. Sono 127. Come la
FIAT. Centoventisettevoltefiat. Conta una (1) volta che è entrato in
una cooperativa COOP di Bologna, con signora. Conta le scopate fatte
e quelle mancate: la forbice si blocca a -773. Il debito in banca va
peggio: - 82.345 tra rosso, mutuo e recuperito crediti. Conta le dita
di una mano, 10. Conta le dita dell'altra, 0. Qualcosa non va. Anche
il computer glielo conferma: qualcosa non va. Conta le camicie a
righe e di ognuna il numero delle righe, quanti sternuti, quante
formiche schiacciate e con quali scarpe, quante volte ha tagliato le
unghie più di quelle dei piedi 4781 volte e tre volte si è fatto
saltare il guanciotto destro dell'alluce destro. Conta quante volte
ha odorato una rosa e quante ha desiderato farlo, più quante volte
non ha voluto. Conta i capelli e se gliene restano. Cazzo,
esattamente il doppio dei capelli di Gaetano. JFK conta anche gli
anni che gli rimagono: 84 su 63. Qualcosa non va, questi conti non
tornano. E ricomincia.
domenica 7 maggio 2017
(L'OCCHIAIA. 32.) di Elio Coniglio
Digestioni lente, da poltrona o, tutt’al più, da letto. Goffo come un adolescente che non conosce ancora le potenzialità del proprio corpo, non mi riesce di spiccare un vero volo. Pigrizia: nel leggere e nello scrivere. Ozio però, che, alla lunga, accende lo sguardo, sbronza la mente, favorisce le faloticherie… accattivanti migrazioni!
STORIA TRAGICA DI UN MASCHIO DI OCA ALSAZIANA di Gaetano Altopiano
Un ragazzo in luna di miele nel nord della Spagna ci confessa di essere stato male dopo aver cenato al “Martin Berasategui” di Lasarte-Oria. Il giovane ci scrive di non avere retto al sovraccarico di sapori che tanto sapientemente il pluristellato cuoco basco Berasategui gli ha imposto con ben 15 portate sparate una di seguito all’altra, e che all’uscita del ristorante ha vomitato spudoratamente. Tiene a precisare che non c’entra il prezzo - euro 220 a cranio più i vini - e che Martin fu inoltre ospite gentile e premuroso. Ma questo è stato. E visto che era in forma perfetta, più che soddisfatto della vacanza e in uno dei ristoranti più rinomati, a sangue freddo non può che riferire il malessere a una questione appresa subito dopo l’uscita dal locale: come viene preparato il foie-gras. Documentatevi, ci consiglia. Provate a chiedere cosa sia il “gavage”.
sabato 6 maggio 2017
COGLIONCINI MIEI di Francesco Gambaro
https://francescogambaro.wordpress.com/2017/05/06/coglioncini-miei/
venerdì 5 maggio 2017
giovedì 4 maggio 2017
IL DUBBIO DEL BRUCO di Gaetano Altopiano
Due ricercatori italiani anzi tre scoprono un bruco che mangia la plastica. Lo individuano tra i tanti esistenti in natura per l’esattezza, non è una vera e propria scoperta, e si tratta di un insetto conosciutissimo ma non abbastanza bene osservato a quanto pare: la tarma della cera. La notizia fa il giro del mondo e le agenzie immediatamente titolano “Scoperto il sistema ecologico per distruggere il trilione di borse di plastica che consumiamo ogni anno. Si delineano scenari straordinari. Ancora una volta grazie al progresso l’umanità è salva.” Ma in realtà le cose sono ben diverse. Questo insetto non si nutre affatto di plastica, o di suoi derivati, ma “forse” potrebbe mangiarla, visto che, racchiuso in sacchetti di cellofan, riesce a fare piccoli buchi per uscire. E “forse” potrebbe anche digerirla, visto che la cera di cui già si nutre ha una struttura molecolare molto simile a quella dei polimeri dei sacchetti che riesce a bucare. E “forse”, ancora, e non senza una punta di sano ottimismo, col tempo potremmo anche trovare il sistema di liberarci delle inevitabile scorie che i bruchi produrrebbero post-ingestione: un fantastilione di merda polietilenica.
MISERIA E DIGNITA' di Francesco Gambaro
La
signora Annina Mazzola (dei Mazzuleddi di Castelbuono), un giorno si
vide tornare affranto il proprio figliuolo Domenico (detto Micuzzu)
con il pane in mano. Piangendo confessò che gli era caduto su una
ciotta (torta in lingua) di merda vaccina. Senza rimproverarlo né
perdersi d'animo, mamma Annina prese il quarto di guastedda (forma
tonda di pane fatto in casa o alla maniera casereccia) che la mattina
aveva tagliato per Micuzzu, lo immerse nella bacinella d'acqua e,
dopo averlo strofinato per bene e asciugato col proprio grembiule, lo
riconsegnò al suo sbadato pastorello che così poté tornare a
governare le vacche. Questo episodio l'ha raccontato oggi il parroco
della Matrice Vecchia, nell'orazione funebre per esaltare le virtù
imprenditoriali della santa donna che fu Annina Mazzola. La sua salma
ora finalmente riposa accanto a quella dell'amato Micuzzu, molto
prematuramente e misteriosamente defunto.
mercoledì 3 maggio 2017
DAL DIARIO DI UN DELICATO di Gaetano Altopiano
Quasi due ore fa, per la prima volta, il mio cane mi ha rivolto la parola. Frasi piuttosto timide all’inizio, si capisce, a domanda risposta, sì no, d’accordo va bene, no non va bene: cose così, ma non da illetterato, piuttosto come se all’occasione stesse studiandomi. Difatti. Dopo un po’ ha tirato fuori la questione dei libri e con stupore, si capisce, ho dovuto riconoscere che è soprattutto un ottimo lettore. Mi ha citato passi rari e raffinati spiazzandomi spesso, Pierre Drieu La Rochelle, il Racconto segreto, Breton - Nadja, Philip Dick - In questo piccolo mondo, e altri titoli e autori altrettanto eccellenti che adesso non ho il tempo di elencare. Una conversazione che mi ha subito dato un piacere insolito, probabilmente per l’insolita delicatezza del mio interlocutore. E’ così raro al giorno d’oggi incontrare bestie tanto colte.
martedì 2 maggio 2017
lunedì 1 maggio 2017
(L'OCCHIAIA. 31.) di Elio Coniglio
Maggio? Non ancora. Aprile marzolino, semmai! Grandine e pioggia: grossi chicchi frammischiati a secchiate d’acqua. E un cielo che resta nuvolo anche a rovesci finiti. Solo nel tardo pomeriggio, un sole bugiardo esce allo scoperto. Qua dentro la luce dei neon fredda ogni cosa mentre scivola, sospettosa come un lampo, tra le mie mani pronte ad aggranfiarla, poi sgattaiola via verso l’esterno e lo argenta. Una sfacciata cavalletta verdina vi saltella dentro, ignara… Sono appena le 19:00 e la sera che cala ha un’aria spavalda, da ciaociao.
GAMBARO / ALTOPIANO UNO / DUE
Rendere
una superficie lucida, intangibile, è compito della cameriera della
sua testa. La cameriera strofina per cancellare aggettivi e nastretti
adesivi di un facile carnevale grammaticale, der heiland fallt vor
seinem vater nieder... gene will ich mich bequemen. Spezza le unghie.
Tenorizza l'evangelist, il pontifex, il jesus, il korus soccombendo
ai violini. Spazzola compulsivo i dossi dossuti del proprio deretano.
Canta nel vasetto d'acqua spiantata di una pianta grassa emettendo
bollicine erbarme dich, mein gott. Soprassiede al dolore dei tatuaggi
che stupidiggiano le ragazze sue figlie e residui simili. Un coretto
di bambine dentro un coro soprano. Rendere una superficie lucida,
sino a che la polvere non depositi, a pochi millimetri, ettari di se
stessa senza avere peranza di atterrare. Rendere una superficie
refrattaria all'elettrico polpastrello che adesso gocciola sangue
come un cancro malfermo su se stesso. Un pianto di violini, un
coretto di bambine, dentro un vassoio virtuoso di escrementi. Una
testa non sa affogarsi, l'uomo, con coraggio, trascina dentro casa lo
specchio trovato stanotte per strada, lo porta in cucina, si annega
di birra, poi gli si siede davanti. Accende tutte le sante santuzze
di casa. Un uomo lucido, intangibile (che si pulisce ossessivamente),
si addormenta e scompare in grazia di se stesso.
/
Ora
- mentre beve un liquido amaro - immagina un uomo. Non uno qualsiasi,
uno in particolare ma frutto di una sua possibile invenzione. Non è
detto che esista infatti, potrebbe non esistere affatto, o forse sì:
lo immagina perfettamente, volto compreso, il che avrà un suo
preciso significato. Una sua importanza, diciamo. Se lo figura
vestito di blu, camicia bianca, scarpe nere. Se lo figura con molti
capelli. Lo immagina che entra in un bar e ordina da bere. Possibile
esistita in un altro tempo? Non saprebbe dire. Se sopravvive a prove
come questa, decide, è solo per il suo sangue di lupo mannaro.
Niente può farlo indietreggiare, nemmeno la scortesia del barista
che invita l’uomo a fare posto a altri possibili uomini. Che si
sbrigasse per favore. Ora, non crede a storie come quelle che
raccontano che ognuno di noi se immagina qualcuno lo immagina perché
cerca un ampliamento del suo essere: usiamo frasi che a volte non
dicono niente, gesti che a volte non servono a niente e molto spesso
girovaghiamo senza una meta. Perché, dunque, immaginare un uomo
invece dovrebbe avere un senso? La cameriera, però, spegne la
sigaretta e guarda lui mentre beve appoggiato al banco. E lui è lì.
Esiste. E aspetta un plenilunio che lo liberi.
STORIE DEL SIGNOR JFK (82) “un primo maggio 10 anni fa” di Francesco Gambaro
STORIE
DEL SIGNOR JFK (82) “un primo maggio 10 anni fa” di Francesco Gambaro
Alle
7 del primo maggio JFK nuotò lungo il corridoio per raggiungere la
cucina. Volendo onorare la giornata dei lavoratori pensò, come tutti
i giorni, di prepararsi un buoncaffè. E, per l'occasione, di
servirlo in tazzina vergine. Ma, di tutte quelle che riuscì a
trovare, nessuna risultò illibata. In più avevano - chi una, chi
due, chi tutte - i manici rotti. Ora non può essere, disse. Una
volta per tutte bisogna comprarne una con supermanici
superinfrangibili. Detto fatto, spense il fuoco della caffettiera e
scese deciso. Non fu difficile trovare un supermercato aperto. Tutti
i supermercati, per il primo maggio, restano ormai aperti sin dalla
notte del 30 aprile di dieci anni fa. Nemmeno fu facile: lunghe file
di consumatori bloccavano chiassose tutte le entrate. A sera, quando
finalmente arrivò il suo turno, JFK beccò un travailleur
efféminé et très gentil che gli rifilò
un servizio da coppia: due dolci vergini da caffè senza manici: ma
che mi dici? le vuoi col manico? un bell'uomo come te pensa ancora al
manico? ma chi le cerca più col manico? brrrrr, al solo pensiero.
Dài, prendile e aspettami fuori che appena smonto le proviamo.
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