Le
volte in cui l’estensione di un braccio dovesse concludersi con una
protesi armata ci misuriamo con la paura. Un problema che riguarda
vittima e carnefice. Alle 00:07,47, all’altezza di via Giafar,
linea notturna N22, il ragazzo gli punta contro una lametta. Dammi i
soldi, gli dice. L’istinto prevede una reazione e la vista di
un’arma, a prescindere dalla concreta potenza di “fuoco”,
risveglia l’antenato che è in noi, per secoli combattuto ogni
istante tra la vita e la morte. Siamo pronti a tutto. Ma una lamina
d’acciaio, seppur minima, porta alla luce ricordi più inquietanti:
la precarietà cui tutti siamo soggetti, che ad esempio può anche
essere altro che l’esito di un onorevole combattimento.
L’incidente. Quell’oggetto insignificante - nato solo per scopi
domestici - potrebbe togliere la vita a entrambi, fosse solo per un
errore. Lo sa l’uomo, 62 anni, e lo sa anche l’altro, che di anni
ne ha appena 15. La ragione prevale. L’uomo consegna il portafogli.
Il giovane dà un calcio alla bussola e fugge mentre l’autista, in
un colpo solo, blocca l’autobus e spalanca la porta. La lametta
cade sulla seconda alzata del predellino. Un’acre odore di freni
surriscaldati invade l’aria. Come si sente? Come si sente? Chiede
insistentemente all’uomo.
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