Mio
padre, era un ragioniere, non guardava mai la tastiera. La prima
volta che lo vidi in azione, nel suo tetro ufficio che però aveva
finestra sul Viale della Libertà, lo sentii battere tutto il
pomeriggio e con le mie gambette penzoloni seguii quel suo ritmo
strampalato: un allegro veloce, una sincope, un lento andante, un
adagio rumoroso, un fox trot sforbiciante, l'edera rampicante
curiosava dai vetri. La calcolatrice ticchettava a destra, gli occhi
silenziosi ticchettavano a sinistra sui numeri. Mi spiegò che non
era difficile, mi fece vedere il tasto centrale della calcolatrice,
aveva un minuscolo punto bitorzoluto che bastava alle sue mani per
orientarle. Mi piace ricordarlo perché è così che scrivo, come mio
padre conteggiava. Chiudo gli occhi, sfioro la tastiera, non trovo
mai un punto orientativo e, puntualmente, i conti non tornano.
Nessun commento:
Posta un commento