In
libreria una volta la pagina 69. Di notte stanotte un libro di poesie
aperto a caso. Alla mia età posso permettermi, a casa a caso,
Patrizia Valduga. Ho odiato i collant? Ho tifato sfegatatamente per
le calze autoreggenti? Per il feticismo dei traforati neri? Buone
ragioni per provare a strapolare: “Vano spasimo oscuro d’esser
viva”. Un po' più dietro, un po' più osé: “L’alba piange su
me tutto il suo pianto”. Il secondo verso ai miei assistenti. Col
primo faccio il luminare d'abbaino, l'esatto crittografatore del
testo tasto per tasto: Vano: nel senso di stanza, stanza delle pene e
dello Spasimo: nel senso del noto nosocomio (o brefotrofio?)
palermino, sprovveduto di tetto e per questo Oscuro: nella sua cupola
astrale rudere incompreso e senza luna. D’esser: francesismo che
sta per dessert, per darci forza prima di sparecchiare e arrivare a
Viva: la scomparsa catena di supermercati con ricca giacenza di
prodotti Valduga. E' tarditardi, scusami, sveglietta.
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