JFK si sveglia con un
senso di oppressione che non sa spiegarsi. In pigiama, per
liberarsene al più presto, apre il portoncino del suo sottoscala per
fare il solito giro della casa. Sull'ottavo e ultimo gradino uno
straccio chiaro intriso di quello che, ad occhio, sembra sangue. Sul
marciapiedi, ad angolo, una federa decisamente macchiata di sangue.
Si preoccupa. Procede per la circonvallazione, subito dopo la prima
curva, un pugno di lenzuolo stracciato stropicciato e insanguinato.
Sempre più preoccupato procede verso l'altro portoncino del
pianterreno, seguendo una brillante scia di gocce porporina. Entra e
sotto l'abat jour dell'ingresso i resti di un reggipetto,
dell'inconfondibile culotte regalatole per l'anniversario di
matrimonio e di un ciuffo smbagiato di assorbente. Si inoltra in
corridoio, unghia spezzate e colorate di rosso. Apre con orrorosa
circospezione la stanza da letto. Sangue schizzato dappertutto,
pendente pure dai pendenti del lampadario. Nessun corpo, né una
sagoma sul materasso, nessun'ombra. Scuote avvilito la testa
maledicendosi per il suo alzhaimer galoppante. Si gratta la testa.
Dove diavolo avrà occultato questa volta il cadavere di sua moglie?
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