JFK
ferma l’auto all’altezza della fermata dell’autobus. La solita. Quella dalla
quale aspetta ogni giorno alle 14 e 15 il 118 che lo riporta a casa. Piove,
esattamente perché è il primo venerdì della settimana di dicembre. Infatti
dovrebbe avere l’ombrello e il grazioso cappellino di ceramica, dono
prenatalizio di una graziosa alunna di nome Piccola Kety. La più brava del suo
corso di Scolpir Palpando e dell’intiero Istituto di Belle Arti. JFK abbassa il
vetro lato passeggero per chiamarlo ma tra la folla di futuri occupanti la
linea 118, stazionanti e stazzonati sotto la tettoia di cortesia, non individua
nè fedele ombrello né cappellino manufattu né, in buona sostanza, se stesso.
Controlla l’orologio, le 14 e 14, osserva il cielo, proprio la stessa pioggia
del primo venerdì di dicembre. Abbia sbagliato anno? Impossibile. A 84 anni JFK
ha sviluppato una precisione maniacale e pedante che gli impedisce perfino di
andare diversamente di corpo se non nello stesso water, come un orologio, in un
unico conatus festeggiato mentalmente con hasta la victoria siempre. Perciò
pensa piuttosto a un indebolimento della vista, ridirige gli occhi alla fermata
e con tempestiva premura, sono già le 14 e 15, profferisce la pargoletta
magica: Dài, Sali! E JFK sale.
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