martedì 13 dicembre 2016

CERVELLI di Gaetano Altopiano






La parte più bella e istruttiva del romanzo Zero K di Don DeLillo - mi pare l’inizio della seconda parte - è il dialogo del cervello di Artis Martineau con un non ben identificato interlocutore che si suppone possa essere uno dei medici di Convergency (la società che si occupa dell’ibernazione dei corpi) che ne segue il traghettamento. L’organo ormai crioconservato e separato dal corpo giace in una delle capsule di vetro sepolte nei sotterranei del centro di quell’organizzazione e si pone delle domande. Non solo chi è - dove si trova - cosa gli stia succedendo, ma anche “cos’è” e “cos’è” in relazione a un corpo che non lo contiene più. In relazione alla mancanza di un’esperienza sensibile e alla sopravvenuta inevitabile impossibilità di comprendersi se non come intelligenza in sé. Ma il cervello di Artis Martineau curiosamente non riesce a concepirsi se non come cervello di Artis Martineau, e il tentativo di Don DeLillo di immaginare la possibilità che un cervello separato dal corpo diventi un cervello perfetto fallisce istruttivamente.


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