A
PALERMO DOPO L'INFERNALE INVERNATA di Francesco Gambaro
A.
A
Palermo, dopo l'infernale invernata di maggio, uomini in canotte
vistosamente griffate che arrotolano doviziosamente per fare
respirare pance e ombelichi, non certo tenui, carichi di bile
accumulata, gonfi come grappoli di emorroidi non rincasate, giusto
all'inizio serrati a doppia mandata che solo un verme, quello sì
tenue, può inoltrarvisi. Indiani sri lanka, pachistane gravide,
marocchini del niger e libici siriani, fanno tesoro del genio
indigeno palermitano. Dopo poco, dopo l'esodo di tutti i vermi tenui
da quelle pance, dalla moltitudine multietnica di ombelichi
scoperchiati al gran caldo, schizzano mosche tavane, indelebili
ragnetti rossi detti trombidium holosericeum, lucertoline del Gange,
biscette nere affamate d'acqua rocchetta, gracule religiose che
gracchiano, dov'è dio, dov'è dio, dov'è dio, abbiamo sbagliato
strada, abbiamo svagliato strada, abbiamo sbagliato strada.
Poi
qualcuno si ingegna per fare uscire dal finestrino aggrippato, non
l'aria sudata, ma quegli ombelicali insetti e animaletti tremens. Il
guidatore canticchia una canzoncina napoletana, insieme alla
passeggera sedicenne, aggrippata alla cabina di guida e non
interessata a rialzare la saracinesca del suo lato...
B.
Linea
stazione Centrale-Statua della Libertà, Palermo, temperatura
percepita 101 gradi mercalli.
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