Il periodo più bello è quando cadono le croste, quando piovono
come le rane di magnolia. JFK a lungo ha sofferto di eczema microbico. Per
lunghi mesi il suo corpo è via via via via via diventato un plastico dei campi
flegrei. Sino al fuoco dell'acme. Poi, quasi improvvisamente, la carne, viva in
eccesso, ha maturato la sua stessa consunzione. Le croste. Belle da vedere ma
non da toccare. A una a una, talvolta a due a due, talvolta tante in un solo
barlume, hanno cominciato, incredule spiazzate, la discesa dal monte Sinai. JFK
le vede cadere e squittisce con jingle di piacere quando le sente
atterrare. Poi tante, poi tutte, sino a riempire l'intera e unica stamberga in
cui vive. Le croste si depositano sul pavimento come i diavolicchi sulla glasse
dei dolci di mandorla siciliani. A 84 anni JFK ha proprio voglia di carnevale,
di festeggiare, di ballare, di liberarsi della calce delle creme, degli
indumenti bianchi, dei fantasmini incolori, dei suoi 84 anni leggeri.
Improvvisa una danza cheyenne, un tiptap fredastaire a piedoni nudi che
rispondono sonori e croccanti, palloncini di ciungam, ossicini del lobo
dell'orecchio quando mani istruite li fanno scrocchiare. In cortocircuito le
stelle di San Lorenzo. Piove manna. A Sant'Antonio non ci potette l'acqua di
mare, pensa JFK, ormai all'ultima spiaggia. E l'uccello di JFK, sbalzato su e
giù come sulle montagne urali, se la ride.
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