“Era una di
quelle facce senz’anima, apatiche, modellata per la lotta con la
vita, di chi considera ogni propria azione lecita al fine di
assicurarsi la sopravvivenza. La natura era stata previdente.”
(Sadeq Hedayat, “La civetta cieca”). Ecco un dato di fatto: si
pretende di decifrare la natura dell’uomo attraverso la sua faccia.
Niente di più che un’equazione con la soluzione, dove il fattore
incerto, però, conta ben più dell’elemento certo. Non la materia
costituente (naso, bocca, occhi, fronte, orecchie), ma simmetria,
proporzione, luce, espressione, determinerebbero veramente una
faccia. La faccia, sia inteso, come specchio dell’anima. Il fatto
attesta una verità biologica, poiché la relazione tra faccia e
carattere è un rapporto effettivo, anche se relegato al solo ambito
personale, ossia, a un relazione esclusivamente “interna”, ed è
possibilissimo che l’espressione tradisca un comportamento rituale.
L’una vive dell’altro in fondo, finendo, così, col divenire
prevedibile. Questo creerebbe il probabile “tipo”.
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