Una delle mie poesie
preferite e uno dei migliori racconti che abbia mai letto hanno lo
stesso titolo: “Il nuotatore”. Non amo particolarmente né il
mare né il nuoto e in generale tutto quello che abbia a che fare col
mondo nautico mi intriga ben poco (non meno, comunque, di quanto
possa intrigarmi lo sci o la montagna, per intenderci) perciò,
volendo darmene spiegazione, non credo la mia predilezione sia legata
esclusivamente al “piacere” del titolo. Le due signorine hanno
ancora un’altra cosa che le accomuna e che io di gran lunga
preferisco nella lettura: l’essenzialità del lavoro. Sono testi
brevi e precisi, infatti. Non contengono nulla di superfluo e di
inutile. Potrebbe essere questo? Non soltanto. Quello che mi piace
veramente, forse, è l’improbabilità dei due testi rispetto al
titolo: le due cose hanno niente da spartire con l’acqua (se non
molto poco) e il nuoto in effetti è solo un movente per raccontare
un magistrale “altro”. Un po’ come seguire le indicazioni per
Palermo ma arrivare a Trapani, passando dalla terza classe alla Top
Class. Il punto è che tutto quello che toccavano ‘sti due signori
diventava oro.
(La poesia è di
Sandro Penna, Garzanti, il racconto di John Cheever, Fandango)
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