In uno dei suoi viaggi fantastici l’hidalgo (il coraggioso)
ebbe modo di incontrare il suo doppio. Era il 1956 e la palpebra cadente già
cominciava a tradire in lui la cecità a cui era condannato, perciò, nella
penombra di un vecchio salone, l’uomo fissò lo specchio temendo si trattasse di
uno gioco della vista. I due si scrutarono a lungo e infine uno tentò il primo
passo rivolgendo all’altro la parola. Si avviò una conversazione che presto si
trasformò in polemica vera e propria. Il tema si concentrò sulla realtà
parallela del sogno, e entrambi sostennero la loro autenticità a discapito
della finzione dell’altro. L’incontro fu piuttosto uno scontro, che tuttavia
restò senza soluzione: era impossibile
continuare, ovvero, poteva continuare all’infinito, poiché domande e risposte
erano formulate dalla stessa persona. Questo fino al mattino, quando, volendo
azzardare un epilogo, chi esaminò l’occhio spento del “coraggioso” pensò a due
possibili conclusioni, in una delle quali si confermava l’autenticità
dell’hidalgo che ossessionato dal tema del doppio si era illuso di averlo
veramente incontrato, del resto, le ferite alla mano, testimoniavano i pugni
che avrebbe dato allo specchio. L’altra è la seguente: Don Juan si sarebbe
svegliato di soprassalto. Aveva chiesto un bicchiere d’acqua alla moglie
restando a mezzo letto a guardare la luce dell’alba. Un sogno. Aveva fatto un
sogno terribile. Si vedeva in una stanza in penombra di fronte a uno specchio
che non rifletteva niente. Niente, capisci, diceva alla moglie. Io stavo di
fronte ma lo specchio non rimandava indietro la mia immagine. Gridavo, mi
dannavo, urlavo domande che non ebbero una risposta. Ero solo capisci? Solo.
Mai come questa notte avevo percepito l’angoscia della
solitudine: sentivo che nessuna cosa avrebbe mai potuto cambiare la mia
condizione.
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