lunedì 24 aprile 2017

INTRAMOENIA (Alfred Döblin) di Francesco Gambaro




Poco dopo era di nuovo intento a contare i suoi passi, uno, due, tre. Un piede dopo l'altro, le braccia ciondolanti dalle spalle. Improvvisamente, mentre il suo sguardo vagava vuoto sul ciglio del viale, il signor Michael Fiscer vide una figura tarchiata, se stesso, indietreggiare dal prato, avventarsi sui fiori e troncare di netto la testa di un ranuncolo. Davanti a lui si svolse, reale e tangibile, la scena che era accaduta dianzi sul viale oscuro. Questo fiore era preciso identico agli altri. Ma esso solo attirava il suo sguardo, la sua mano, il suo bastone. Il suo braccio si sollevava, il bastoncino sibilava nell'aria, colpiva, recideva la testa. La testa si catapultava in aria, scompariva nell'erba. Il cuore del commerciante si mise a battere all'impazzata. La testa recisa della pianta sprofondava ora pesantemente sotterrandosi nell'erba. Più giù, sempre più giù, attraverso il tappeto erboso, dentro nel terreno. Ora cominciava a girare vorticosamente nel ventre della terra, nessuna mano poteva fermarla. E dall'alto, dal moncone del corpo, cadevano gocce, dal collo bianco sgorgava sangue che colava nel buco, prima a poco a poco, come la saliva dall'angolo della bocca d'un paralitico, poi con un denso rivolo che si dirigeva viscido, con una schiuma giallastra, verso il signor Michael. Egli cercava inutilmente di sfuggirlo balzando di qua e di là, tentando di saltarlo via, mentre esso già gli lambiva i piedi. (Alfred Döblin, L'assassinio di un ranuncolo e altri racconti, Sugarco, 1980)

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