Poco
dopo era di nuovo intento a contare i suoi passi, uno, due, tre. Un
piede dopo l'altro, le braccia ciondolanti dalle spalle.
Improvvisamente, mentre il suo sguardo vagava vuoto sul ciglio del
viale, il signor Michael Fiscer vide una figura tarchiata, se stesso,
indietreggiare dal prato, avventarsi sui fiori e troncare di netto la
testa di un ranuncolo. Davanti a lui si svolse, reale e tangibile, la
scena che era accaduta dianzi sul viale oscuro. Questo fiore era
preciso identico agli altri. Ma esso solo attirava il suo sguardo, la
sua mano, il suo bastone. Il suo braccio si sollevava, il bastoncino
sibilava nell'aria, colpiva, recideva la testa. La testa si
catapultava in aria, scompariva nell'erba. Il cuore del commerciante
si mise a battere all'impazzata. La testa recisa della pianta
sprofondava ora pesantemente sotterrandosi nell'erba. Più giù,
sempre più giù, attraverso il tappeto erboso, dentro nel terreno.
Ora cominciava a girare vorticosamente nel ventre della terra,
nessuna mano poteva fermarla. E dall'alto, dal moncone del corpo,
cadevano gocce, dal collo bianco sgorgava sangue che colava nel buco,
prima a poco a poco, come la saliva dall'angolo della bocca d'un
paralitico, poi con un denso rivolo che si dirigeva viscido, con una
schiuma giallastra, verso il signor Michael. Egli cercava inutilmente
di sfuggirlo balzando di qua e di là, tentando di saltarlo via,
mentre esso già gli lambiva i piedi. (Alfred Döblin, L'assassinio
di un ranuncolo e altri racconti, Sugarco,
1980)
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