Mai
pensato a quegli stupidi esperimenti di Icaro. JFK cammina
immaginando sotto di sé l'acqua. La terracqua. Fa questi esercizi di
mattina. Approfittando della brina si alleggerisce di passo in passo.
Sono un hovercraft, si convince, né Icaro né Gesù Cristo.
Definisce questo suo desiderio di levità, felicità indotta. Allunga
la gamba e prima che questa si poggi lancia l'altra. Sicché si
trova, di sforbiciata in sforbiciata, come Dorando Pietri staccato
dalla terra per nanosecondi. Accelera, e i nanosecondi diventano
tanti che più non si raccapezza. Il sangue pulsa violento in testa
sino all'ammaraggio nella grande vasca da bagno della sua piccoletta
casa di montagna. Il sangue ora sbocca dai piedi, colora di
rossocielo la masse d'eau. Allora è tutto un arrestare, fasciare,
coprire papole, pustole, bubboni, felici ferite indotte. Pegno che
JFK consegna volentieri all'insano desiderio di volare.
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