Scoprire che uno dei libri preferiti da Philip K.
Dick era Winnie-the-Pooh mi ha dato ulteriore conferma del fatto che il “genio”
ha sempre un background felicemente infantile. Ipotesi che coltivavo da tempo.
Gli uomini che scrivono come Dick - non
quelli che inventano la lampadina o scoprono il vaccino contro la pertosse - non
possono avere referenti concreti ma che si scompongono e ricompongono in modi
che la realtà di ogni giorno in genere preclude. E questo non tanto (non solo)
per le invenzioni che riescono a imbastire, quanto per la bravura che hanno nel
raccontarle. Una struttura del possibile allargata all’inverosimile, anche
nella proposizione: la fiaba, terreno edificabile non più soltanto in gioventù.
Dove non raramente si affonda in sabbie mobili che non ci affogano mai, si
scalano salite in discesa o si precipita da altezze su pavimenti dove non ci si
schianta mai. Ma dove è possibilissimo anche stringere una mano senza averla
stretta affatto. E avere bottiglie che non si svuotano, capelli che non allungano.
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