Dopo
la grande febbre il grande gelo. La temperatura precipita.
L'appropinquarsi della fine che JFK immaginava ghiaccio bollente -
arancinetta di neve svedese infarinata e immersa per pochi secondi
nell'olio in tempesta - è invece catatonismo irreversibile. Già il
fantasma di Buster riesce a spostarsi più veloce, coprendo specchi e
fissando l'orologio. JFK misura la temperatura a ritmo proditorio ma,
a ogni anticipo, la sentenza impietosa: 35,7, 35 e mezzo, 35,1, 34.7,
34. JFK scommette che quel prudore ai polmoni sia dovuto al formarsi
di cristalli allotropici sulla crosta pleuritica. Presto non
respirerà più. Quando, questa mattina, dalla finestrella alta del
suo bunker, salta una ranocchia spelacchiata. Ella s'era
verisimilmente persa. Per un petit balzellò al centro della stanza.
Poi, senza cognoscer tremore, s'assise davanti lo scranno ospedaliero
ove eretto giaceva lo scolpito di JFK. Fu amore a prima vista. Dal
che esso stesso scolpito, lentamente tramutossi in egli, riprendendo
a sudare.
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