In
un centro commerciale a più piani, tra la folla. Lei pìù giovane
ma senza nome. Ci riconosciamo, a volte si avvicina con uno
spolverino, a volte con un trasparente leggero. Un bacio sulle labbra
e l'impressione di compiere una missione. Scendiamo per raggiungere
il mio ufficio, la mia borsa, il mio telefono. L'ascensore ci porta
all'ultimo piano, su un antico terrazzo poppato di vestagline e
mutandine. Lei, con un aggeggio verde, blocca l'ascensore e i
passeggeri restano chiusi dentro. Scendiamo sorvolando le scale. Mi
mostra, tirandola fuori dal suo vestito senza tasche, la collezione
di pennini stilografici, nessuno della stessa misura, tutti fuori
misura, stagnati a spillo. Fuori dal centro, e senza essere riusciti
a trovare il piano, la perdo di vista. La ritrovo accanto una
bancarella che sta provandosi degli occhiali. Si gira verso di me
facendo con la testa la gatta, gli occhi oscurati da occhiali di
legno trapezoidali. Rido di gusto e le dico, divertenti, forse un po'
impegnativi. Li toglie, rovista. In questo preciso momento io temo
con gioia dentro quale carne conficcherà i suoi pennini.
Nessun commento:
Posta un commento