A un certo punto
della notte telefoni. Vorresti essere telefonato. Telefoni per
illuderti di precedere una telefonata. Per capire come stanno le
persone che non ti telefonano. Non soffri di solitudine, ma della
paura che gli altri che non ti hanno telefonato stiano cambiando.
Picchi sui tasti, ti alzi, resti alzato, ripicchi sui tasti, vai,
vieni, poi afferri la cornetta e telefoni. Sei ormai un
investigatore. Non un interecettatore. Ascolti i toni delle voci, le
pause, le sorprese, il gemito di un proditorio risveglio, capisci.
Cosa capisci? Che non sei più quello di ieri notte e scopri che
anche chi ti risponde non non è più lo stesso. Questa percezione
non ti toglie il piacere di ascoltare un'altra voce, del
congiungimento sonoro tra la tua voce, che riconosci anche se ha
smesso di gorgheggiare ed è tornata a emettere parole, e la loro
che, invece, scambiano la tua chiedendoti chi é. Sei loro. Quelli
che vogliono capire come stai. Se ti sei bevuto il cervello, se hai
un cancro alla prostata, se sei finalmente riuscito a storpiare in
modo perfetto l'ultima partita di Bach. Perché telefoni? Perché
guardarsi negli occhi è semplice come grattarsi la testa. Ma sentire
le voci, ricostruire un volto, una espressione, un corpo attraverso
l'orecchio, direttamente in testa, immaginarsi l'altro nel momento in
cui lo chiami, nel suo momento, non è semplice, è un trip
psichedelico. Telefoni per sapere se sei ancora quello che sei.
Chiedi chi è stato l'ultimo a tradirti, a non reggerti. Sospiri,
torni a gorgheggiare, vai vieni a passi più veloci, torni alla
cornetta, a un altro numero. Telefoni per sapere come stai.
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