La scrittura parte calda e fluente, densa di
energia, ma quando si dirama per quel complicato sistema di tubazioni, canali,
fognature, condotte sotterranee e attraversa pianure, scavalca colline, percorre
rettilinei nella vallata, e infine si arrampica su, fino ai piani più alti dei
caseggiati – nel frattempo ingiallita e frammista a sabbie, detriti, microrganismi,
batteri, sostanze inquinanti – quando finalmente giunge nei rubinetti delle
case, scorre ormai fredda e lenta, esausta, gocciolando adagio nelle bacinelle o
nei lavabi; e dentro ogni recipiente forma piccole pozzanghere di parole
sfinite che vi ristagnano mollicce, mezze marce. Per quanto a tutti incomprensibili,
quelle sgocciolature suscitano nella popolazione un grande rispetto e ogni
famiglia le accoglie col riguardo dovuto ai misteri e tende a custodirle, pur
non riuscendo a decifrare il senso di quelle scritture e non sapendo a quale
uso destinarle.
Alcune di queste parole, quelle più vitali e
meglio dotate di zampette prensili, a volte risalgono su dai recipienti, riescono
a scappar via e vagano cieche qua e là, sino a quando non trovano un giardino o
anche solo una zolla fertile dove si infossano in attesa della primavera, al
cui arrivo germogliano.
La popolazione, che pur venera e diligentemente
conserva la scrittura sfinita che cola giù dai rubinetti, teme questi
rigogliosi germogli verbali e li considera altamente pericolosi.
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