sabato 14 ottobre 2017

Al CUI ARRIVO di Alfonso Lentini



La scrittura parte calda e fluente, densa di energia, ma quando si dirama per quel complicato sistema di tubazioni, canali, fognature, condotte sotterranee e attraversa pianure, scavalca colline, percorre rettilinei nella vallata, e infine si arrampica su, fino ai piani più alti dei caseggiati – nel frattempo ingiallita e frammista a sabbie, detriti, microrganismi, batteri, sostanze inquinanti – quando finalmente giunge nei rubinetti delle case, scorre ormai fredda e lenta, esausta, gocciolando adagio nelle bacinelle o nei lavabi; e dentro ogni recipiente forma piccole pozzanghere di parole sfinite che vi ristagnano mollicce, mezze marce. Per quanto a tutti incomprensibili, quelle sgocciolature suscitano nella popolazione un grande rispetto e ogni famiglia le accoglie col riguardo dovuto ai misteri e tende a custodirle, pur non riuscendo a decifrare il senso di quelle scritture e non sapendo a quale uso destinarle.
Alcune di queste parole, quelle più vitali e meglio dotate di zampette prensili, a volte risalgono su dai recipienti, riescono a scappar via e vagano cieche qua e là, sino a quando non trovano un giardino o anche solo una zolla fertile dove si infossano in attesa della primavera, al cui arrivo germogliano.

La popolazione, che pur venera e diligentemente conserva la scrittura sfinita che cola giù dai rubinetti, teme questi rigogliosi germogli verbali e li considera altamente pericolosi.

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