Stacco un pezzetto di mare e me lo metto in
saccoccia. Lo intrufolo nella tasca più spaziosa del pastrano nero, quella
abitata da vespe e mosconi. Assetato, mi stendo su un divano pungente dove si
svolgono voci. Penso alle piccolezze del mondo. Dei mondi. Da lontano giungono
notizie dell'invasione. Però le voci vicine discordano e gemono. Mi sveglia la
Luce del Sud, tutta voci visibili, tutta sporca di sabbia e lumache. Mi
arrivano gechi a decine. Le loro ventose si attaccano sulla pelle del mondo,
sulle piccolezze del mondo. Assetato, mi attacco a ventosa sulle voci
succhiando dalla loro pelle un umore
salino che non mi appaga. Una ragazza di passaggio mi guarda da una distanza di
237 metri e mezzo. Mi guarda e lacrima come una Madonnina di maiolica. Spuntoni
arrugginiti in cima ai cancelli non hanno ali o vele, ma voci. Dappertutto
formiconi alati. Bottiglie di birra spaccate. Erba sanguinolenta. Chiodi. Spuntoni.
Mi sveglia una Luce paonazza, sudata. Prima rossissima, vira poi in vinaccia
punteggiata di guizzi. Poi bluette. La ragazza di passaggio si ferma. Si toglie
le scarpe e poi anche le calze. Si attorciglia la capigliatura in cima alla
testa scoprendo un collo invitante. Sembra una tortora o una nuvola appena
nata. I formiconi diventano mentali. Mi sveglio ma non proprio. Al limite del
Tempo non c’è nessun abisso, ma un burrone sporco di spazzatura e carcasse di
cavallo. Le voci cercano posto fra il divano e la ragazza che nel frattempo ha
smesso di lacrimare e adesso, non essendo più di passaggio, si trasforma in
Paesaggio. Una battaglia è in corso, dicono le voci. Poi la Luce sfuma
definitivamente in voce; e nient'altro. Il Tempo prende la rincorsa e vola via.
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