Una
forma precoce di “sindrome della gamba senza riposo” lo colpì già nella seconda
infanzia. E’ ereditaria, non c’è dubbio, sentenziò il
medico mentre cercava di fargli star ferma la
sinistra, e anche se mamma e papà non ne soffrono di certo qualcuno tra
i suoi antenati ne aveva portato il fardello. E’ un disturbo neurologico, di causa
sconosciuta, e nemmeno tanto di rado colpisce anche i più piccoli. Il fatto è che
- con possibili periodi di tregua - doveva tenersela per tutta la vita: non esisteva
rimedio. E questo sarebbe stato ancora niente rispetto a quello che l’aspettava, e che ovviamente - al
momento - nessuno poteva sapere. Alle tre e un quarto di un certo mattino si sarebbe
svegliato di soprassalto, avrebbe tastato il comodino e cercato il cellulare: un
messaggio. Patrik Hyvarionen avrebbe rimesso a posto il telefono e pensato per
un attimo a Inati Muokatavaara, la sua fidanzata. Poi avrebbe guardato verso la cortina polare, in direzione di Hipun
Kellari, il fiume dove da quarant’anni, la domenica, trascorreva le sue giornate: alle sei sarebbe sceso verso quel fiume e avrebbe
iniziato la sua giornata di pesca al salmone. Alle tre e trenta invece sarebbe
morto, schiattando per un infarto. Immaginate, ora, la sua gamba che continua a
muoversi nonostante sia morto. Senza riposo. Ostinata. Più giovane di lui per
almeno altri quindici minuti.
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