Alla palestra del
maestro Oliva di via Bonanno si andava perché non era possibile
prenderle ogni giorno dai fascisti a scuola. Era la palestra dei
compagni e degli anarchici. Io non ho capito mai perché il maestro
aveva fama di compagno e di anarchico. Con noi non parlava mai,
svestitevi, rivestitevi. Non l'ho neppure mai sentito gridare,
chessò, taighitò, né mettere piedi sul tappeto di gomma. Ordinava
da fuori campo, era un pacchione, cinturato nero, che poi scompariva
in una gabbietta da cui ricompariva a orario finito. Noi ce le davamo
di santa ragione, cinture bianche che a ogni colpo si slacciavano e
mentre le raccoglievamo ci beccavamo pedate, piadate, piedate. Però
ero felice di quel kimono di cotone grezzo, rigato, fresco e bianco
come l'Immacolata. Più in là negli anni l'ho rispolverato usandolo
come giacca e ci facevo la mia figura con le ragazze, uguale che
d'inverno con quell'altra color cacchina alla maotze o con la mia
prima camicia a fiori. Comunque sono rimasto cintura bianca e rette
da pagare che dopo un anno non ce l'ho fatta più, non per i soldi ma
per le tante legnate prese da compagni e anarchici. (che dai fascisti
dell'Extrabar o del Cannizzaro, solo qualche calcio in culo).
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