Non
riesco a bere un boccale di birra in santa pace. Tutte le volte che
lo faccio, puntualmente, ho un attacco di colite e la pancia mi
diventa un tamburo. Eppure per la stragrande maggioranza degli esseri
umani l’assunzione di birra non ingenera alcun problema. Dunque? Il
medico ha parlato di allergia alimentare o, ancor più precisamente,
di “intolleranza”. Niente di preoccupante, basta eliminare la
causa del problema. Stop. Non significa un cazzo. In termini enterici
non esiste l’intolleranza e la stessa parola in generale non ha
alcun senso. Riferendomi alla lettura di “Il secondo cervello” di
Michael D. Gershon, pubblicato da Utet, ricordo che lo scienziato
sostiene che l’intestino abbia capacità neuronali indipendenti dal
cervello e dal sistema nervoso centrale. Ovverossia, ragiona per
conto proprio (la peristalsi, tanto per fare un esempio, avviene
anche se si interrompe la connessione col SNC). Se l’intestino
ragiona, allora, è ovvio che abbia anche una memoria e se ha una
memoria, questa, conserverà le informazioni utili al suo regolare
funzionamento. Concludo: è più probabile che la birra a me non
facesse alcun male all’origine ma che un evento traumatico di cui
il mio cervello ha perso memoria (ma non il mio intestino) abbia
provocato un danno enterico che il colon non vuole replicare. Un
tocco di birra colossale?
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