martedì 7 novembre 2017

CARO AMICO di Francesco Gambaro




Come ricorderai, i miei sogni non hanno profondità. Sono come gli specci in cui mi guardo, inesorabilmente piatti. Tu mi dirai, perché ti ostini a chiamarli specci. E hai pure ragione. Ma il punto è questo: non riesco mai a uccidere nessuno, non riesco mai a scopare nessuno perché, al momento dell’uppercut o della futura eiaculazione, la tridimensione onirica si sconfigura in un soggetto bidimensionale, disegnato sulla carta (per intenderci), immobile e impotente, finto e inutile. Per cui, da un po’ di tempo, anziché prendermela con i miei sogni che non arrivano mai all’aleph finale, al punto, per esempio, in cui riesco a salvare la mia donna da uno stormo di corvacci assatanati e soccombo svegliandomi, ho deciso di prendermela con gli specchi. Così va bene come l’ho detto? Così l’hai capito che se scrivo specchi non posso fare a meno di ficcarci dentro la testa? Era con la testa rotta che mi volevi? Per questo mi hanno rinchiuso in questa stanza di pareti di materasi. Anche loro, i materasi, come gli specci, non hanno profondità. Questo,  caro amico, lo ricorderai?

cfr.: Thomas Bernhard, "Il nipote di Wittgenstein"

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