La
calligrafia di Arbasino, rubata un pomeriggio all'Hotel delle Palme
per un convegno, ca va sans dire sul Gruppo 63, esagerata, con volant
grandi quanto i palloncini del Giardino Inglese, le calligrafie di
molte mie compagne di classe, rotondeggianti come le caccole o le
coccole, la calligrafia di Gaetano Testa, piccola, precisa, quasi
infinitesimale come i suoi disegni, quella della casta dei medici,
anche se è un luogo comune tipo i cinesi si mangiano i bambini o
nascondono i loro morti, comprensibile solo dalla casta dei
farmacisti, la mia, chiara di notte ma indecifrabile al mattino,
deceduto Alan Turing giusto il giorno in cui nacqui, ma, ritornando a
Arbasino, ricordo un vegliardo commento che più che sintetizzare
interpreto: la notte vedo dalla finestra questi uomini piegati
davanti al computer, artificialmente illuminati, soli, tanti, e non
capisco.
Sono
contento di essere uno che Arbasino non capisce, che la notte non va
per pulle e teatri, che la notte si sente piegato e che la mattina fa
fatica a rialzare la schiena, un po' perché rincoglionito da quello
che gli occhi hanno visto dalla finestra del computer, un po' da
quello che ha scritto quasi in cogitosuspicione, un po' per la gioia
del fallito che si compiace di non avere scritto e riscritto (il
titolo è vintage) Fratelli d'Italia.
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